Nel mio personalissimo concetto di reunion c’è un momento ben preciso che credo abbia segnato la memoria di tutti gli appassionati di musica rock.
Era il 2 luglio del 2002, ricordo una giornata afosa passata al mare sul litorale pisano fino a tarda serata e per tutto il tempo eravamo stati accompagnati dal sottofondo del Live 8 da Londra organizzato dal leggendario Bob Geldof che era riuscito a mettere insieme una lineup incredibile, soprattutto se si considera ciò che erano riusciti a tirar su in Italia. Per tutto il giorno aveva circolato questa notizia, quasi sussurrata per paura di veder sparire questa possibilità se solo si fosse alzata la voce un decibel in più: i Pink Fkloyd potrebbero tornare sul palco tutti insieme, dopo 15 anni dall’ultimo tour e, soprattutto, alla fine del set degli Who.
Roger Waters e David Gilmour nuovamente uniti, qualcosa di impensabile fino al giorno precedente e, pertanto, qualsiasi radio del mondo penso fosse collegata con Londra aspettando solo ed unicamente quel momento. Alle 23:23 Waters, Gilmour, Wright e Mason fanno la loro comparsa sul palco installato in Hyde Park per regalarci 24 minuti di pura magia con solo 4 brani. Una breve ma intensissima reunion che avrebbe senza dubbio lasciato il suo indelebile segno nella storia. A nove anni di distanza da quel glorioso momento ho provato le stesse sensazioni di gioia, stupore e ammirazione grazie al museo Poldi Pezzoli che è riuscito in un’impresa titanica.
Erano ben 555 anni che le tavole, ad oggi note, del Polittico agostiniano di Piero della Francesca non venivano ricomposte in un unico evento espositivo che ha visto prestiti internazionali dal Museu de Arte Antiga di Lisbona, dalla National Gallery di Londra e Washington ed ovvimamente dalla Frick Collection di New York. La Bob Geldof del caso è stata la direttrice del museo Alessandra Quarto che ha personalmente ideato quella che per certi versi poteva sembrare una follia coinvolgendo nella curatela Machtel Bruggen Israels (del Rijksmuseum di Amsterdam) e Nathaniel Silver (Isabella Stewart Gardner Museum di Boston) che già si erano occupati di questo tema nel 2013 proprio presso la Frick a NY.
All’interno di un intelligente allestimento curato da Italo Rota e dallo studio Carlo Ratti Associati troviamo le quattro pale che occupavano il comparto centrale: S. Agostino, San Michele Arcangelo, San Giovanni evangelista e San Nicola da Tolentino. La disposizione ci offre la possibilità di godere del pennello di uno genio indiscutibile in un momento di maturità assoluta dove riesce a fondere realismo e metafisica, sospendendo queste quattro mastodontiche figure in una assenza di coordinate spazio temporali.
Accanto alle quattro pale centrali si snodano le predelle superstiti con le raffigurazioni della Crocifissione, Santa Monica e san Leonardo insieme con la Santa Apollonia che presentano, in una dimensione più intima, un Piero attentissimo alla ieraticità delle figure rappresentate quasi come se scolpisse più che dipingere.
La presenza del fondo oro per le tre figure dei santi tende ad inasprire questa tendenza collegando soprattutto la santa Apollonia a quella tradizione che riconduce ai mitici encausti di Faiyum e regalandoci un paradigma lucido di quella formazione classica che fu fondamentale per il pittore di Sansepolcro. L’operazione risulta ancor più importante se, alla ricomposizione, si unisce una intensa campagna diagnostica volta a indagare in maniera specifica le tecniche utilizzate per la realizzazione del San Nicola da Tolentino di Proprietà Poldi Pezzoli per l’appunto.
I risultati del tutto interessanti hanno svelato la poliedricità tecnica del pittore che utilizza delle tracce di spolvero ben evidenti alle indagini radiografiche, le quali hanno saputo raccontare moltissimo non solo sulla genesi dell’opera, ma anche su quelle che sono state le pratiche di smembramento. Abbiamo compreso, ad esempio, che Piero non ha avuto la possibilità di lavorare su apposite tavole ma si è dovuto adeguare ad una struttura lignea precedente di origine medievale e che la tavola, in seguito alla rimozione delle fasce posteriori, è stata assottigliata nel suo spessore.
L’evento pertanto non ha solo “fatto scendere il cielo in terra” come affermato da Alessandra Quarto nel suo intervento di presentazione, ma funge anche da catalizzatore per un livello di indagine che supera quello meramente critico o storico-artistico, per fondersi con l’elemento scientifico che diventa rivelatore. La reunion del polittico agostiniano, peraltro sostenuta con estremo entusiasmo dalla fondazione Bracco e da Intesa Sanpaolo, segna un momento irripetibile per studiosi, collezionisti ed appassionati, un evento che andrebbe festeggiato e che apre a nuovi orizzonti di approfondimento su una delle figure centrali del rinascimento italiano e della pittura internazionale europea del XV secolo.
Senza dubbio rappresenta un ottimo esempio per parlare di quali debbano essere le politiche museali in Italia, di come un museo, grande o piccolo che sia, debba puntare alla formazione di una serie di relazioni internazionali che possano portare a mettere in comunicazione il patrimonio artistico mondiale, rendendolo fruibile a latitudini impensabili… un esempio per tanti, troppi musei dormienti.