Il restauro della Cappella Brancacci rivela importanti novità

Il ciclo della Cappella Brancacci è uno dei capolavori del primo Rinascimento fiorentino, caratterizzato da un procedimento lungo e complesso che ha richiesto per la sua realizzazione la partecipazione di due grandi maestri: Masolino da Panicale (1383 ca. – 1440 ca.) e Masaccio (1401-1428). Gli affreschi commissionati nel 1423 da Felice Brancacci, ricco mercante e influente personaggio politico del tempo che ricopriva il ruolo di ambasciatore nonché avversario di Cosimo dei Medici, raffigurano le Storie di San Pietro protettore di Pietro Brancacci, fondatore della Cappella. 

Firenze Cappella Brancacci

L’intero programma compositivo prevede una chiara ripartizione dei compiti tra i pittori, le scene organizzate su due registri costruiscono dunque un calibrato e delicato equilibrio compositivo. I due autori sono perfettamente riconoscibili per via delle loro evidenti differenze stilistiche, apprezzabili nella figura di San Pietro, raffigurato con una fisionomia (barba lunga e bianca o capelli corti) e un abbigliamento differente a seconda della mano. 

A Masaccio sono state attribuite le scene raffiguranti la “Cacciata di Adamo ed Eva”, “San Pietro in cattedra”, “San Pietro che risana gli infermi”, il “Battesimo dei neofiti e la “Distribuzione dei beni”, mentre a Masolino il “Peccato originale”, la “Predica di San Pietro”, la “Guarigione dello storpio” e la “Resurrezione di Tabita”.

Nel 1425 Masolino si trasferì in Ungheria, lasciando l’opera nella mani del collega più giovane, che a sua volta interruppe bruscamente il ciclo per motivi ignoti. Inoltre, gli affreschi rimasero incompiuti per alcuni anni, a causa dell’esilio della famiglia Brancacci, che fu allontanata da Firenze (dal 1436 al 1480) per via delle sue simpatie anti medicee. Controversie politiche che spinsero i frati carmelitani ad intervenire sul ciclo di affreschi rimuovendo i personaggi appartenenti alla famiglia titolare della cappella.

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Le Storie di San Pietro furono quindi terminate solamente alla fine del Quattrocento grazie all’intervento di un altro celebre pittore fiorentino Filippino Lippi (1457-1504), figlio di Filippo Lippi e allievo prima del padre e poi di Sandro Botticelli, che dipinse la “Resurrezione del figlio di Teofilo”, la “Disputa di Simon Mago”, la “Crocifissione di San Pietro” e “San Pietro in cattedra” (per metà compiuta da Masaccio). Non è possibile stabilire quanto l’artista si attenne al programma originale, tuttavia egli cercò evidentemente di adeguare il proprio stile a quello dei maestri più anziani, soprattutto di Masaccio, riprendendo l’impostazione solenne delle figure e adeguando le cromie dei suoi affreschi a quelle dei precedenti per garantire una certa armonia dell’insieme. 

Le scene più famose del ciclo sono gli episodi della Genesi: il “Peccato originale” dipinto da Masolino e la “Cacciata di Adamo ed Eva” affrescato da Masaccio. Quest’ultima scena è divenuta celebre per la sua drammaticità, Adamo ed Eva camminano a piedi nudi uno accanto all’altro stravolti dalla disperazione, pronti a farsi carico delle proprie responsabilità e a lasciare il Paradiso Terrestre. Il patetismo della rappresentazione è impressionante, come apprendiamo dalla posa di Adamo che chiaramente in preda allo sconforto si copre il volto con le mani. È proprio il confronto con la scena dipinta da Masolino, intrisa di una composta grazia e dipinta marcando i contorni con un’eleganza dal gusto tardo gotico, a fornirci un’esemplificazione delle differenze nella resa pittorica e nel carattere dei due pittori. 

Una peculiarità degli affreschi è la rappresentazione realistica della Firenze quattrocentesca con i suoi scenari urbani moderni perfettamente riconoscibili, scelta come ambientazione degli eventi biblici nella quale si muovono figure tratte dalle strade con vesti contemporanee, personaggi veri e credibili. Caratteristica apprezzabile nell’episodio di San Pietro che risana gli storpi, dove Pietro seguito da Giovanni cammina per strada e guarisce con il solo passaggio alcuni infermi sfiorati dalla sua ombra, soggetti le quali invalidità sono rappresentate con una fedeltà incredibile per l’epoca

Del resto, la bellezza di queste pitture risiede nei dettagli come i panneggi morbidi e sinuosi, le campiture ampie e rapide, la varietà degli atteggiamenti e la resa chiaroscurale che rende sinteticamente i corpi che appaiono massicci e scultorei, o ancora la restituzione in pittura dell’illuminazione naturale dell’ambiente. Virtuosismi pittorici che donano al ciclo un aspetto veritiero e realistico precedentemente raggiunto solo da Giotto. Ulteriore elemento di realtà in questo esemplare teatro dell’azione umana sono i ritratti di artisti dell’epoca nascosti negli affreschi, nei quali possiamo riconoscere Brunelleschi, Alberti, Masolino, Masaccio, Botticelli e Filippo Lippi.

L’opera pittorica rischiò più volte di essere distrutta a causa di una serie di ammodernamenti volti a trasformare in stile barocco la cappella che eliminarono le pitture della volta e delle lunette, seguiti dalla settecentesca copertura della nudità delle figure con foglie di fico e dal terribile incendio del 1771, che danneggiò l’interno della chiesa. Successivamente, gli affreschi furono trascurati per tutto l’Ottocento, per poi essere sottoposti a vari restauri: un primo processo di spolveratura nel 1904 ed un secondo intervento negli anni Ottanta del Novecento, che ha permesso di recuperare la loro limpida e brillante cromia e consentito il ritrovamento di due sinopie, ossia i disegni preparatori sottostanti a due affreschi, il “Pentimento di Pietro” di Masaccio e la “Chiamata di San Pietro” di Masolino. In tale occasione sono state anche eliminate le foglie settecentesche che censurarono i nudi di Adamo ed Eva.

Lunga serie di restauri a cui si aggiunge la recente campagna del 2021, avviata per far fronte al distacco di una piccola porzione di intonaco dell’episodio raffigurante la “Disputa di Simon Mago”. Intervento appena concluso che ha fatto emergere numerose novità concernenti la composizione e le scelte figurative, permettendo contemporaneamente di stilare un protocollo aggiornato della manutenzione del capolavoro. Strategie che garantiscono la sicurezza di uno dei testi pittorici più celebri della storia dell’arte.

Il progetto di restauro concluso lo scorso aprile e condotto dall’Opificio della Pietre Dure di Firenze con il supporto della Fondazione Friends of Florence e della Jay Pritzker Foundation, ha richiesto quasi tre anni di lavoro e un finanziamento di circa 200mila euro

Tuttavia, quest’ultima operazione si è distinta per un’iniziativa rivolta al pubblico, ossia la possibilità di visitare il cantiere duranti i lavori che ha fornito l’opportunità a 76 mila persone di ammirare da vicino gli affreschi direttamente dai ponteggi. Un’esperienza unica e dall’incredibile impatto visivo che ha permesso di avvicinare i visitatori alla pratica del restauro. Il termine della procedura di restauro era attesissimo, non solo per una migliore fruizione dell’opera, ma anche per apprendere le nozioni scientifiche e storico-artistiche scoperte durante l’operazione realizzata con l’ausilio di tecniche innovative, che hanno fatto emergere dettagli inediti del ciclo fondamentali per una migliore codifica degli affreschi tramite la pulitura superficiale a base di gel viscoelastici e l’utilizzo di mattonelle “di controllo”, progettate per programmare i prossimi interventi. 

Alla luce delle ultime rivelazioni possiamo attribuire con maggior certezza le porzioni dipinte dai diversi artisti, distinguendo i successivi interventi pittorici che pare abbiano mutato la composizione originale. Scoperte che saranno trattate con maggior chiarezza in occasione di un convegno accademico in previsto per il 2025. 

Da quanto già trapelato apprendiamo alcuni dettagli di interesse, come la discussa presenza di foglie e fronde nella scena di Masolino con la “Tentazione di Adamo ed Eva”, poste attorno alle gambe delle figure. L’analisi chimica dei pigmenti ha dimostrato che l’intervento non può essere ricondotto alla copertura delle nudità subite nel Settecento (poi rimosse in epoca moderna). Rivelazione che mette in dubbio le precedenti teorie degli storici dell’arte, evidenziando la possibile presenza delle foglie rimosse già nel disegno originale ideato da Masolino, oppure nel periodo legato all’operato di Filippino Lippi (1481-1493). Mentre per quanto concerne la conservazione degli affreschi, il restauro ha evidenziato svariate problematiche (numerosi distacchi di intonaco), palesando le pecche delle metodologie utilizzate durante il restauro degli anni Ottanta, a cura di Umberto Baldini

Merita di essere citata anche un’altra novità resa possibile dalla campagna: lo sviluppo di un’esperienza interattiva realizzata in 3D attraverso un’applicazione concepita per esplorare il ciclo in ogni suo più piccolo particolare arricchendo la visita fisica. Negli scorsi giorni, la Cappella Brancacci è tornata accessibile al pubblico. Dopo tre lunghi anni, apre nuovamente le sue porte a visitatori e appassionati d’arte, offrendo anche un calendario di visite guidate organizzate dal circuito dei Musei Civici Fiorentini. 

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