Sgarbi? Da trent’anni è il vero ministro della cultura in Italia”: lo ha dichiarato, con il gusto per l’anticonformismo che contraddistingue spesso i suoi interventi, Tommaso Cerno, opinionista e attuale direttore de Il Tempo, oltre che ex senatore e attivista per i diritti civili (è stato dirigente nazionale dell’Arcigay), di fronte a un pubblico applaudente nella suggestiva corte del Castello di Castellabbate, nel Cilento, durante la cerimonia di premiazione della dodicesima edizione del Premio Pio Alferano, come ogni anno condotta dalla giornalista e conduttrice Greta Mauro. Sgarbi ha ricordato il suo rapporto trentennale con Tommaso Cerno, di quando lo aveva conosciuto “adolescente curioso e inquieto, che si aggirava nelle aule dell’Università di Udine quando io vi insegnavo storia dell’arte”, “divertito dai miei modi, dalle mie stravaganze, dalle mie provocazioni”. “Per questo”, ha aggiunto Sgarbi, “ancora mi chiama padre, intendendo una relazione umana e affettiva che si riconosce nell’educazione”, e che oggi viene premiato per riconoscere il talento di chi ha saputo mostrare nella sua esperienza politica, di opinionista e di attivista “indipendenza e originalità“.
Cerno era infatti uno delle sei personalità a ricevere il riconoscimento nell’edizione di quest’anno (assieme a lui sono stati premiati lo scrittore Maurizio de Giovanni, il pittore Giovanni Gasparro, il cantautore Amedeo Minghi, la scrittrice e direttrice delle Gallerie Estensi Alessandra Necci, l’imprenditore e mecenate Francesco Tavassi e la Città di Siena). Voluto e curato da Vittorio Sgarbi, che ne è direttore artistico, e da Santino Carta, Presidente della Fondazione Pio Alferano, nata nel 2012 su iniziativa di Virginia Ippolito per onorare la memoria del marito, il Generale dei Carabinieri Pio Alferano, tra i fondatori del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, il Premio è consegnato ogni anno a personalità dell’arte, della cultura, dello spettacolo e della politica, nel corso di una cerimonia che fa da cornice a mostre d’arte di ottimo livello. Quest’anno è stata la volta degli artisti Agostino Arrivabene, Enrico Robusti e Antonella Cappuccio, oltre a una mostra di opere d’arte antica appartenenti alla collezione Parenza Angeli. Un premio che è stato definito da Sgarbi “del sentimento“, perché destinato alle persone che meritano un riconoscimento in ambito culturale e artistico “per il loro merito, la loro natura, la loro anima e per il loro spirito”.
La statuetta del Premio, invece, è stata realizzata come ogni anno da Livio Scarpella, che, in onore del cinquantenario della fondazione del Ministero dei Beni Culturali (la cui tutela era in passato lasciata al Ministero della Pubblica Istruzione), ha realizzato una bellissima Composizione archeologica, rappresentante una figura femminile, mancante di entrambe le braccia, circondata da tronconi di colonne e da un drappeggio che richiama, più ancora che la tradizione antica, l’impostazione di raffigurazioni successive di taglio esplicitamente citazionistico, come le figure di De Chirico della celebre serie de Gli Archeologi, omaggio inequivocabile alla memoria, al rispetto e alla conservazione dei Beni Culturali.
Nel corso della cerimonia, Cerno si è lanciato in un’apologia di Sgarbi, che “da trent’anni”, ha detto, “insegna agli italiani le meraviglie dell’Italia, ci fa scoprire chiese, affreschi, dipinti e sculture di quello straordinario contenitore di tesori che è il nostro paese, e in questo senso è e sarà sempre il vero Ministro della cultura italiana”. Lui, ringraziando, ha consegnato le statuette ricordando, per ciascuno dei premiati, i loro meriti e riconoscimenti in campo artistico, letterario o come mecenati dell’arte e della cultura, come nel caso dell’imprenditore Francesco Tavassi, che con la sua società ha collaborato con il Museo di Capodimonte per il restauro del dipinto di Elisabeth Vigée Le Brun Il Ritratto dell’infante Francesco di Borbone (1790), e ha sostenuto integralmente il restauro del capolavoro del Rinascimento fiorentino Annunciazione e i santi Giovanni Battista e Andrea di Filippino Lippi.
Tra gli altri, ha premiato il pittore Giovanni Gasparro, di cui anche noi avevamo già parlato su queste pagine in merito al drappellone del Palio di Siena di quest’anno: Gasparro “ha reso felice una città con il suo nobile drappellone”, ha detto Sgarbi: “finalmente tutti i senesi hanno visto la Madonna senza deformazioni o ricerche sperimentali, tanto care agli artisti che, piuttosto che amare, amano provocare. Gasparro vede, dipinge l’apparizione, in alto, nella sua veste bianca, della Vergine che parla con gli angeli, mentre, sotto, un paggio guarda Siena da dietro il velo. Gasparro”, ha continuato Sgarbi, “ha dipinto la Madonna nel registro superiore dell’opera, in una gloria di angeli, coronata come nell’effige venerata nell’insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano e guarda, con una mano posta sul petto, verso il basso, ovvero verso i fedeli e verso la città di Siena, riunita per il Palio. Un lembo del velo azzurro della Madonna di Provenzano, calato dal cielo, diventa esso stesso la seta con cui è realizzato il Drappellone, sorretto da un’asta dorata per tutta l’estensione del Cencio. Il velo della Madonna diventa così il Drappellone”.
“Davanti a un vero pittore”, ha concluso Sgarbi ricordando il favore ottenuto dai senesi (abituati a contestare e guardare con sospetto ai dapprelloni che di discostano troppo dalla tradizione), “il popolo è felice. E Gasparro ha guardato i grandi maestri del Seicento napoletano, soprattutto caravaggeschi, per farli rivivere, sentendo la carne di Ribera, il teatro delle passioni di Mattia Preti, la danza di Bernardo Cavallino, l’armonia di Giaquinto, in un delirio di mani. Per Siena, lui pugliese, ha pensato anche a Paolo Finoglio, i cui panneggi si accartocciano e si accarezzano. Chi lo ha visto non lo può dimenticare. E ora a Castellabate torna per essere premiato”.