Il nostro contributor Francesco Liggieri ha intervistato Alessandro Marinello, presidende dell’Universita Internazionale dell’Arte (UIA), il più prestigioso centro di formazione professionale nel campo del restauro e della conservazione di beni culturali di Venezia.
Volevo fare capire ai nostri lettori chi è lei attraverso il titolo di un’opera d’arte.
Immagino che con “opera d’arte” intendesse quello che nell’immaginario comune si intende, ossia prevalentemente l’arte pittorica, performativa o simile. Ma se accettiamo la definizione di cinema come settima arte allora le dico “Big Fish” di Tim Burton, per la metafora del pesce rosso che adatta la sua crescita alla boccia di vetro in cui è contenuto.
Penso di essere un pesce rosso che ha avuto la fortuna di trovare uno spazio un po’ più grande di quello che aveva in partenza.
In Italia, nel settore culturale a più piani, c’è carenza di giovani che lavorano. Lei crede che sia una questione culturale, sociale o semplicemente di coraggio?
Penso sia un mix di tutte le motivazioni che ha indicato, in dosi diverse da caso a caso. È indubbio che viviamo in un paese in cui si cercano giovani con esperienza, il che è ovviamente un paradosso.
Una figura giovane può darti energia, entusiasmo, nuove idee, non di certo l’esperienza.D’altro canto, è anche vero che essere “giovani” di per sé non è un merito, è una cosa che capita a tutti almeno una volta nella vita.
Ci sono casi in cui i giovani non hanno il coraggio, o la voglia, di prendersi posizioni o ruoli che sarebbero alla loro portata, così come c’è una quota di inetti come in qualsiasi altra categoria umana. Per la mia esperienza devo dire che penso sia valida la Teoria X e Teoria Y di Douglas McGregor, applicandola nel caso specifico ai giovani.
Ossia se ci aspettiamo che i giovani siano pigri, immaturi, poco responsabili e applicheremo politiche gestionali conseguenti (Teoria X), avremo nei nostri organici giovani che risponderanno a questo assunto. Se invece siamo convinti che i giovani possono essere ambiziosi, auto-motivati e responsabili, agendo di conseguenza, ci troveremo in questo scenario (Teoria Y).
In estrema sintesi si raccoglie ciò che si semina. Il tutto senza generalizzazioni all’estremo opposto, del tipo: tutti i giovani sono bravi in quanto giovani.
Come ha influito la pandemia sul suo lavoro?
Se togliamo le tensioni e le preoccupazioni personali e private che hanno influito sulla mia vita, come su quella di chiunque altro, professionalmente devo dire che ha avuto un impatto positivo.
Lavorando per più istituti auspicavo l’integrazione nelle prassi quotidiane di forme di smartworking e digitalizzazione di alcuni processi, ma venivano viste come innovazioni fantascientifiche.
Sto parlando di fare call da remoto o simile, nulla di trascendentale. Post covid sono diventate, fortunatamente, azioni comuni a tutti e quindi sono stato, per così dire, facilitato.
Cosa si fa in UIA? Perché dovrebbero iscriversi ai vostri corsi?
In UIA si fa.
Quindi le persone dovrebbero iscriversi ai nostri corsi se hanno voglia di fare.
La caratteristica peculiare che hanno i nostri corsi è che, a prescindere dalla materia, pensiamo in termini analogici.
Che siano corsi di management degli istituti culturali, illustrazione, ceramica o restauro nei nostri corsi si impara a fare qualcosa. Fin dalla sua fondazione nel 1969 l’UIA è infatti un luogo di sperimentazione tra il mondo accademico e quello del lavoro.
C’è ovviamente una componente teorica imprescindibile alla formazione e comprensione, ma vogliamo che l’aspetto laboratoriale abbia la prevalenza.
Mi spiego meglio: se facciamo un corso di illustrazione non insegniamo a disegnare bene, ma a pensare tramite l’illustrazione, se insegniamo come si gestisce un istituto culturale non lo facciamo leggendo teoricamente come andrebbe fatto, ma portiamo le studentesse e gli studenti a parlare con chi lo fa tutti i giorni.
Il corso di tecnico del restauro poi è basato su un triennio in cui i ragazzi e le ragazze toccano in prima persona manufatti in legno, pietra e superfici pittoriche da restaurare, mettendo così in pratica fin da subito ciò che imparano in aula.
Insomma, come dicevo: in UIA si fa!
Il pubblico va formato o va intrattenuto all’interno di un evento culturale, mostra o simili?
È una questione complessa, la prima risposta sincera che darei è “dipende”. Esponendomi maggiormente devo dire che l’atteggiamento del tipo “io sono il tenutario della verità mentre tu non sai nulla”, sintetizzabile nel principio “Marchese del Grillo” (per la celeberrima battuta di un impareggiabile Alberto Sordi), non funziona più.
I motivi sono molteplici, alcuni anche molto negativi a mio modo di vedere, come la messa in discussione di qualsiasi forma di ruolo e conoscenza. Credo però la vera sfida sia coniugare questi aspetti, cioè riuscire a passare concetti più complessi e “alti”, andando quindi a formare, con mezzi che tocchino le logiche dell’intrattenimento.
Penso poi che le azioni andrebbero pensate per “livelli”. Ci debba cioè essere un primo livello di contatto nel quale il messaggio (della mostra, evento, ecc) sia verosimilmente più vicino all’intrattenimento e meno all’approfondimento, ma che questo sia prodromo di possibili livelli più specifici e puntuali. Una sorta di navigazione open world per mutuare un linguaggio dal mondo del gaming.
Trovo che la convinzione che ogni tanto ancora si respira nel settore culturale per cui l’eventuale inefficacia di una attività sia responsabilità, per non dire colpa, del pubblico sia al limite dell’infantile. Il nostro compito è fornire prodotti culturali che intercettino il pubblico, se non ci riusciamo la responsabilità è solo nostra.
Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse intraprendere il suo stesso percorso professionale?
Il consiglio che gli darei è di trovare un maestro.
Mi rendo conto sembri anacronistico e complesso, ma ritengo davvero sia una forma di relazione fondamentale, e che vada riscoperta.
Kanh diceva che la scuola sono due uomini che parlano sotto un albero, e io trovo sia una definizione perfetta.
I maestri che un giovane può incontrare lungo il suo cammino possono essere tanti, ma come mi ha insegnato uno dei miei maestri è l’allievo che crea il maestro, intendendo che è l’atteggiamento dell’allievo che permette la creazione di questa relazione.
Quindi consiglierei ad un giovane di cercare dei mentori, delle figure che lo ispirino, e per far questo di puntare in alto, non di accontentarsi di quello che trova nel suo giardino.
Una volta fatto questo, di porsi nella relazione in maniera accogliente per quello che l’altro avrà da dare, non pretendendo di sapere cosa gli sarà utile.
Quali sono gli obiettivi per l’anno 2024 di UIA?
Il percorso che abbiamo iniziato tre anni fa con il nuovo Consiglio di Amministrazione aveva l’ambizione di proseguire quanto di buono era stato fatto negli anni precedenti, ma dandosi come obiettivo di arricchire l’offerta didattica di UIA con più corsi e più tematiche.
Il lavoro svolto, grazie al contributo di molti, credo si possa considerare un ottimo punto di partenza, ma appunto un primo passo.
Ora la vera sfida è consolidare quanto fatto finora, con nuove edizioni dei nuovi format attivati, penso a Marea per l’illustrazione e all’Arte in Pratica per il management culturale, ma anche agli Eventi in Laguna i nostri talk nella splendida Villa Hériot.
Senza dimenticare il corso per Tecnico del Restauro, al quale applichiamo ogni anno piccole, ma sostanziali, migliorie per far si che la nostra offerta sia adeguata al compito che i restauratori avranno una volta usciti dalle nostre aule.
8) Come Presidente di UIA, come interagisce questa istituzione con il territorio? Esiste una progettualità per aiutare gli studenti ad avere una strada post-formazione?
Il nostro corso triennale di tecnici del restauro ha alla sua base una stretta relazione fin dal principio con le aziende del settore, prevedendo durante il percorso formativo l’opportunità di partecipare a laboratori e cantieri didattici in prestigiosi edifici monumentali della città, come la Chiesa dei Tolentini e la Fondazione Giorgio Cini e, alla fine del corso di studi, un periodo di stage proprio nelle aziende. Inoltre, alla fine del triennio, gli studenti ottengono un attestato di qualifica professionale che è valido non solo in Italia ma anche in tutta Europa. Come dicevo prima, i nostri corsi si basano soprattutto sulla pratica ed è quindi per noi fondamentale offrire una formazione che sia professionalizzante e che apra le porte del mondo del lavoro.
Siamo poi particolarmente aperti e interessati alle collaborazioni con il territorio, soprattutto nella forma delle partnership con associazioni e realtà locali volte alla creazione di percorsi didattici e corsi. Un esempio è proprio L’Arte in Pratica, il nostro workshop in Management dei Beni Culturali organizzato coinvolgendo otto istituzioni culturali veneziane (Ateneo Veneto, De Cotiis Venice, Fondazione Bevilacqua la Masa, Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Querini Stampalia, Fondazione Ugo e Olga Levi, Museo di Palazzo Grimani, Palazzo Grassi – Pinault Collection, Venezia) che hanno aperto le porte delle loro sedi per mostrare ai partecipanti come si gestisce l’arte in contesti reali e concreti.
Secondo lei come sarà Venezia in futuro? Esisterà ancora l’idea di Venezia come città o sarà solo un ricordo?
Prendo a prestito una battuta di George Carlin, geniale stand up comedian, che riferendosi alle preoccupazioni dell’essere umano rispetto al nostro pianeta ribaltava il punto di vista dicendo che il pianeta sarebbe sopravvissuto alla grande alla presenza dell’uomo, era l’uomo che non ce l’avrebbe fatta.
Intendendo che quando ci occupiamo di queste tematiche lo facciamo sempre da un punto di vista antropocentrico, che alla fine se ci pensiamo bene, è ciò che ha condotto al problema.
La terra ha subito trasformazioni e catastrofi molto più grandi di quelle di cui noi siamo responsabili.
Quando noi ci facciamo queste domande quello che vogliano realmente dire è se noi sopravviveremo a noi stessi.
Penso per Venezia valga un po’ lo stesso.
È ovviamente una provocazione, ma penso colga nel segno, Giuseppe Mazzariol figura messianica di questa città aveva coniato negli anni ‘50 lo slogan “Venezia città computer” vedendo in un ipotetico sviluppo tecnologico uno dei possibili processi di lavoro intellettuale compatibile con la natura di opera d’arte della città.
Penso che in questo ragionamento si inseriscano davvero un’infinità di temi, concetti e preconcetti.
Ne cito uno a puro titolo di esempio: è sensato che una città che voglia essere viva nel 2023, utilizzata per quella che è la sua funzione, cioè l’abitare, escluda la possibilità di avere pannelli fotovoltaici? Una delle soluzioni tecnologiche per la produzione di energia pulita che l’uomo sia riuscito a concepire?
È sensato cioè che la nostra idea di restauro non prevedeva l’uso del bene da parte dell’uomo contemporaneo, ma la sola conservazione in quanto memoria?
Quindi per rispondere alla sua domanda: si, penso Venezia esisterà nel futuro come città nel momento in cui tutti noi smetteremo di considerarla un’opera da tenere sotto una teca in un museo. Quanto torneremo ad avere il coraggio di usarla, quando l’uomo contemporaneo considererà sé stesso alla stessa stregua di chi è venuto prima di lui, e non come se fossimo spettatori della storia.
Se potesse scegliere un personaggio storico o di fantasia da inserire nel suo team di lavoro chi sceglierebbe?
Adoro il personaggio di Ted Lasso, dell’omonima serie televisiva, per la capacità di affrontare con gentilezza ed ironia un’ambiente super competitivo e agonistico come quello di uno spogliatoio di calcio professionistico.
Mi piace l’atteggiamento sempre focalizzato alla persona che ha davanti, nel senso del pieno ascolto.
In tema di personaggi storici sono, in maniera piuttosto banale, affascinato dai grandi condottieri (Annibale, Napoleone, ecc), ma sinceramente non credo che come colleghi d’ufficio sarebbero il massimo.