Dal 5 maggio 2023 fino al 6 ottobre del 2024, sarà possibile visitare al MASI di Lugano Calder. Sculpting Time.
Incredibile monografica su uno degli artisti più noti dell’arte cinetica, nelle sale del museo sono in mostra opere provenienti da ogni parte del mondo. Nel suggestivo spazio del MASI, l’arte di Alexander-Calder viene raccontata con oltre trenta capolavori dell’artista, realizzati tra il 1931 e il 1960.
Ludovica Introini, Head of Exhibition Management del museo, ci ha raccontato nel corso di un’intervista idea, sviluppo e obiettivi del progetto.
Com’è nata l’idea di portare al MASI una personale su Alexander Calder, oltre che per la nota eccezionalità dell’artista?
L’idea nasce nel 2020 da un forte desiderio di Carmen Giménez, che è stata la nostra presidente di fondazione. Si parlava di portare a Lugano un grande artista che non fosse stato esibito in Svizzera da un po’ di tempo. E in effetti, al di là di spazi o fondazioni private, nelle istituzioni pubbliche era da quasi cinquant’anni che in Svizzera non veniva fatta una monografica di un certo spessore. Dal 2020 sono subentarte tutte le varie problematiche legate al covid, quindi abbiamo avuto poco tempo per mettere in pratica il progetto. Sicuramente il nome di Carmen e la sua personale conoscenza della Calder Foundation, ci ha aiutato a fare questa selezione incredibile e di alto livello per la mostra.
Qual è l’obiettivo della mostra? Vuole gettare uno sguardo diverso su un artista generalmente considerato solo come appartenente all’arte cinetica? Quando in realtà ha anche prodotto arazzi, gioielli, giocattoli e molto altro, oltre alle sue famose sculture.
L’obiettivo più grande è legato a un discorso sul pubblico. Il MASI è il museo di riferimento del Ticino e rispetto al resto della Svizzera fatichiamo ancora ad essere considerati a livello di pubblico e di numeri, come i nostri fratelli della Svizzera interna. Questo anche perchè siamo ancora neonati, facciamo dieci anni l’anno prossimo come edificio LAC e come fondazione. I numeri del pubblico dopo il covid stanno tornando adesso com’erano prima, per questo siamo speranzosi che la mostra riporti le grandi masse di pubblico al museo, com’era stato negli anni dell’apertura.
Questo è l’obiettivo a livello di istituzione. Per quanto riguarda l’idea del progetto, sicuramente è molto interessante il concetto curatoriale che ci sta dietro, cioè quello di analizzare Calder dal punto di vista della sfera temporale. Nella selezione di opere che è stata effettuata, si vuole dare particolare attenzione alla dimensione del tempo, di cui lui sicuramente l’artista è uno dei più grandi artefici. “La magia di Calder” è una bellissima frase di Sartre, critico che negli anni Cinquanta, la utilizzò per descrivere la sua arte e che trovo azzeccatissima, non tanto per il movimento in sé, ma per il presagio del movimento. È qui che non solo si innesta la sfera della cinetica, ma anche quella temporale. È un tempo in cuilo spettatore si gode il momento, sapendo che l’opera si potrebbe muovere, cosa che vediamo soprattutto nei Mobile.
Al MASI è esposta anche un’interessante selezione di Standing mobile, sculture con una base a terra e con filamenti metallici che compongono foglioline o petali. Questi inizialmente appaiono immobili, ma poi iniziano a muoversi se li osserviamo per qualche secondo. Un’altra bellissima espressione sempre di Sartre, è riportata in un saggio che scrisse per un catalogo di una mostra su Calder. Lui paragonava alcuni Mobile a quei piccoli ragnetti quasi addormentati che pendono dalle ragnatele e che al primo alito di aria si animano. Trovo questa visione molto poetica.
Le Constellation sono un’altra serie di opere esposte in mostra. Sono tutte quante datate 1943, perchè sono degli anni della seconda guerra mondiale. In quel periodo mancava il ferro e tutti i materiali metallici, perchè venivano usati per costruire gli aerei. Per questo Calder cominciò ad utilizzare il legno. Si tratta di pezzi di legno che trovava sulla spiaggia, levigava e alcune volte dipingeva. Li collegava poi con dei fili metallici rigidi, così che creassero una struttura adatta ad essere esposta sulle pareti.
Com’è stato sviluppato il criterio di selezione delle opere qui esposte? È stato complesso coordinare così tanti prestiti?
Sì è stato complicato perchè le opere fanno parte delle collezioni dei musei più importanti del mondo. Abbiamo iniziato a ragionare al progetto durante il periodo del covid, quando tutte le collezioni erano bloccate. La curatrice, conoscendo molto bene l’artista, ha cominciato a indagare e a capire quali pezzi potessero arrivare. La Calder Foundation è stata molto di supporto perché il nucleo proveniente da loro è all’incirca venti opere e ci hanno aiutato molto a recuperarle da varie parti del mondo.
Sei d’accordo con chi sostiene che Calder sia stato in grado di unire ingegneria e arte? Mi riferisco alle sue opere cinetiche, per le quali probabilmente hanno avuto un’influenza i suoi precedenti studi in ingegneria meccanica.
Questo è un discorso molto interessante ma anche un terreno molto pericoloso. Conosco più di un curatore o di uno storico che leggendo l’accostamento di Calder all’ingegneria, si dissocerebbe subito da quel punto di vista e anche la stessa Calder Foundation, non porta avanti questa filosofia. Io credo che lui avesse una manualità pratica, per questo non riesco a discostarlo troppo dagli studi che ha fatto. Questo perchè Calder non ha solo studiato ingegneria ma gli piaceva anche come professione, tant’è che uno dei suoi primi lavori fu quello di lavorare alla parte meccanica di una nave. Chiaramente poi lui nasce in una famiglia di artisti quindi comunque l’arte è sempre stata presente nella sua vita fin dalla nascita.
Ti ho fatto questa domanda perchè in Calder è inoltre presente una forte componente giocosa, banalmente anche per la scelta dei colori utilizzati. Nella mentalità comune si pensa che questo aspetto fortemente creativo non possa coesistere con quello più razionale-ingegneristico. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
Sono super presenti entrambi. Lui era veramente un giocherellone anche come persona, se leggi alcune parti della sua autobiografia fanno molto ridere. Scrive di se stesso come un uomo con delle manone che aveva difficoltà a gestire. D’altro canto, ovviamente tutto ciò che sembra così semplice, così leggero, sappiamo bene che deriva da un grande lavoro e da un’importante studio. Tutto questo equilibrio incredibile che si viene a cercare è frutto di ore e ore di piccoli esperimenti.
Cosa ne pensi di “The-Calder-Question”, l’esperienza NFT sulla produzione creativa dell’artista lanciata dalla Calder Foundation nel 2022? E in generale qual è il tuo pensiero sul digitale in relazione all’arte materiale? Può essere utile per comprendere e apprezzare l’arte o ne snatura la sostanza?
Questa domanda mi trova a sentirmi vecchia. Dico la verità, faccio un po’ fatica a immaginare ciò che non è nato per quel mondo, arrivare a quel mondo. Non ho niente contro la NFT di per sé o contro ciò che sia nuovo, anzi. Però non riesco molto a digerire la trasformazione della fruizione dell’arte, che mi piace considerare in maniera “classica” ma ovviamente è una assolutamente una cosa personale. Il rischio di questi tempi è quello di allontanare sempre di più la possibilità degli scambi tra le persone.