Il dibattito globale sul mantenimento e la tutela dei beni storici e archeologici assume un’urgenza rinnovata alla luce recenti accuse avanzate nei confronti di Israele. Secondo Hani Hayek, Ministro del Turismo e delle Antichità palestinese, Israele avrebbe “deliberatamente” preso di mira almeno 188 siti archeologici e storici nella Striscia di Gaza. Le accuse sono molto serie e incendiano ulteriormente gli animi in una già delicata situazione politica.
Hayek ha fatto queste dichiarazioni durante l’apertura di un seminario intitolato “Distruzione del Patrimonio Culturale a Gaza” il 25 novembre, sottolineando che la distruzione non si sarebbe limitata a siti storici e archeologici, ma avrebbe interessato anche musei, chiese storiche e moschee presenti nei territori della Striscia. Le affermazioni del ministro non sono nuove: già in passato l’amministrazione israeliana è stata accusata di looting ai danni della collezione di un museo fondato dall’Università di Birzeit.
Le motivazioni dietro queste azioni, secondo Hayek, sarebbero legate al tentativo di “cancellare la storia del popolo palestinese”. I siti storici ed archeologici, infatti, svolgono un ruolo fondamentale nel definire e preservare l’identità nazionale di un popolo e la sua storia – una storia che, nel caso dei palestinesi, risulta profondamente radicata in queste terre.
Ma quali sono le prove del Ministro? Oltre agli allarmanti numeri forniti da Hayek – 188 siti presi di mira, rispetto ai circa 200 precedentemente dichiarati come distrutti – il Ministro si riferisce ad analisi e relazioni di organismi internazionali che si occupano della tutela del patrimonio culturale. Tra questi, l’UNESCO ha rilasciato un rapporto nel quale si afferma che Israele avrebbe distrutto almeno 69 siti a Gaza, un numero di gran lunga superiore rispetto a quello precedentemente riferito.
Non solo antichi monumenti e siti archeologici: tra i luoghi interessati dai bombardamenti vi sarebbero anche edifici di rilevanza storica o artistica, musei, depositi di beni culturali mobili, come ha riportato l’UNESCO nel dettaglio. Tra questi siti si trovano un cimitero romano nella città di Gaza, il complesso della Chiesa Ortodossa di San Porfirio e un mosaico bizantino scoperto in un campo profughi di Gaza. Emblematico è il caso della Grande Moschea Omari a Gaza City, risalente al VII secolo, anch’essa distrutta.
L’accusa di un attacco mirato al patrimonio storico-culturale palestinese da parte di Israele si configura in una dimensione molto ampia e complessa, in cui si intrecciano questioni politiche, religiose e sociali. Se da un lato la distruzione deliberata di siti culturali è un crimine contro l’umanità, dall’altro l’identità di un popolo rischia di essere gradualmente cancellata. Da qui l’urgenza di affrontare il problema, salvaguardando e proteggendo i beni culturali a rischio, non solo per il valore intrinseco che possiedono, ma anche per l’importanza che rivestono nella definizione dell’identità di un popolo e della sua storia. Rimane ora da vedere come la comunità internazionale risponderà a tali denunce e quali saranno gli sviluppi di questa delicata questione.