Ma mano che l’intelligenza artificiale sfida la nostra comprensione di come dobbiamo collocare il nostro ruolo nell’universo, e mentre trasformiamo domande classiche, quali “siamo solo materia o siamo anche altro”, in suggestioni più attuali e concrete, ci accorgiamo come posizioni filosofiche precedenti assumano, via via, un significato davvero “urgente” e “cocente”. Nel momento in cui prendo coscienza della oggettiva e reale possibilità che un pezzo di ferro con dentro elettricità appaia intelligente tanto quanto mia sorella, e a volte anche di più, non posso non rispolverare ipotesi che avevo semplicemente bollato come “speculative”. Sono ormai 100 anni che conviviamo con la fisica quantistica e un’idea non classica dell’universo, dove l’informazione a livello subatomico pare avere un ruolo molto concreto sul comportamento della materia che osserviamo. Se gran parte di ciò che io pensavo di essere si può descrivere con informazione, ecco che delle suggestioni emergono.
La suggestione di questo articolo abbraccia due autori, il fisico teorico americano John Archibald Wheeler che negli anni Ottanta propose un’idea dell’universo che sfida la nostra comprensione attuale. Questo concetto, noto come “it from bit“, suggerisce che l’informazione è il mattone alla base della realtà, ancora più fondamentale della materia e dell’energia.
Poi a livello più recente, nel suo rivoluzionario libro Reality+, il filosofo David Chalmers porta la suggestiva teoria di “it from bit” a nuovi livelli, esplorandone le implicazioni per la nostra comprensione della realtà nell’era dei mondi virtuali e degli universi simulati.
La combo di questi due autori porta ad una teoria che possiamo riassumere in: siamo in un mondo di informazione (it from bit, di Wheeler), ciò implica che tecnicamente non possiamo escludere che viviamo in una realtà simulata, anzi per certi versi potremmo dire che certamente lo siamo, e con ciò la realtà non è meno reale di come, tradizionalmente, la percepiamo.
John Archibald Wheeler è colui in quale ha coniato il termine “buchi neri“, già ipotizzati da Albert Einstein, e ha avuto una enorme influenza sui fisici che lo hanno succeduto.
L’essenza di “It from Bit”
La teoria “it from bit” sostiene che ogni elemento del mondo fisico ha, al suo livello più profondo, una fonte e una spiegazione immateriale. In altre parole, l’universo non è fatto di “cose” ma piuttosto di informazione. Wheeler ha riassunto questa idea con la frase:
“‘It from bit’ simboleggia l’idea che ogni elemento del mondo fisico ha in fondo — molto in fondo, nella maggior parte dei casi — una fonte e una spiegazione immateriale; che ciò che chiamiamo realtà emerge in ultima analisi dal porre domande sì-no e dal registrare risposte evocate da apparecchiature; in breve, che tutte le cose fisiche hanno origine dall’informazione teorica e questo è un universo partecipativo“.
Questa prospettiva rappresenta una significativa deviazione dalle visioni tradizionali della fisica, che tipicamente descrivono l’universo in termini di particelle, campi o stringhe.
Informazione e meccanica quantistica
Il concetto di “it from bit” è strettamente legato alla meccanica quantistica, il ramo della fisica che descrive il comportamento della materia e dell’energia alle scale più piccole. Nella meccanica quantistica, l’atto di osservazione gioca un ruolo cruciale nel determinare l’esito degli esperimenti. Questo fenomeno, noto come effetto dell’osservatore, è in linea con l’idea di Wheeler che la realtà sia creata attraverso l’atto di misurazione e osservazione.
Nel mondo quantistico, le particelle esistono in uno stato di sovrapposizione, dove possono essere potenzialmente in più stati simultaneamente. Solo quando misuriamo o osserviamo queste particelle esse “collassano” in uno stato definito. Questo processo può essere visto come una serie di domande sì/no poste alla natura, con ogni misurazione che fornisce un bit di informazione che aiuta a definire la realtà.
La teoria specula sulla nozione di “fisica digitale” e suggerisce che l’universo potrebbe essere fondamentalmente digitale piuttosto che analogico, operando su unità discrete di informazione piuttosto che su campi o particelle continui. Se l’informazione è alle fondamenta, allora lo spazio e il tempo potrebbero emergere da processi informativi più basilari piuttosto che essere aspetti di base della realtà stessa. Le idee di Wheeler hanno influenzato il pensiero sui buchi neri e la conservazione dell’informazione, portando a concetti come il principio olografico. Il principio olografico è una teoria in fisica che suggerisce che tutte le informazioni contenute in un volume di spazio tridimensionale possono essere rappresentate sulla sua superficie bidimensionale. In altre parole, l’intero contenuto informativo di uno spazio tridimensionale (come un volume) potrebbe essere descritto dai dati che si trovano su una superficie bidimensionale che lo racchiude. Questa teoria, sviluppata dagli studi sulla gravità quantistica e i buchi neri, ha profonde implicazioni per la nostra comprensione della realtà e dell’universo, inevitabilmente ne parleremo in un prossimo articolo.
Sfide e critiche
A differenza di molte teorie fisiche, “it from bit” manca di un rigoroso quadro matematico, rendendo difficile la verifica sperimentale. La critica più feroce la troviamo in Philosophy of Physics: Space and Time (2012), dove il filosofo Tim Maudlin critica le interpretazioni puramente informazionali della realtà, sottolineando che descrivere la realtà solo tramite informazioni potrebbe ridurre l’ontologia a un semplice costrutto mentale. Per Maudlin, ridurre tutto alla “misura” non ci fornisce una reale comprensione di ciò che esiste “là fuori” senza l’intervento di un osservatore.
Dall’informazione alla simulazione
David Chalmers, nel suo libro Reality+, propone una visione della realtà simulata che si inserisce nella suggestione data nel film Matrix, trovando alcuni punti di contatto con la teoria “it from bit” di John Wheeler. La proposta di Chalmers suggerisce che le realtà virtuali non siano semplici illusioni, ma forme autentiche di realtà. Gli oggetti virtuali – costituiti da bit e byte – possiedono secondo Chalmers la stessa “realtà” ontologica degli oggetti fisici. Per lui, una simulazione non è una copia illusoria ma un universo autonomo, in cui le esperienze e le interazioni digitali hanno un valore reale, e le entità all’interno di questa realtà simulata sono “reali” in un senso autentico, anche se non fisico. Questa visione si collega alla teoria “it from bit” di Wheeler, secondo la quale l‘informazione – e non la materia – è il vero fondamento della realtà. In una simulazione la struttura fondamentale è puramente informazionale, quindi anche ciò che definiamo come spazio, tempo e materia potrebbe essere visto come una rappresentazione digitale o virtuale. La realtà simulata che Chalmers descrive si inserisce in questo contesto: se l’universo fosse simulato, significherebbe che il suo substrato è basato sull’informazione, piuttosto che su elementi fisici.
Inoltre, Chalmers recupera l’idea dell’”universo partecipativo” di Wheeler, dove l’osservazione e l’interazione con il mondo contribuiscono a costruire la realtà. Chalmers spinge ancora oltre questa teoria, esplorando la possibilità che noi stessi viviamo in una simulazione. Se la realtà è davvero costruita da bit di informazione – proprio come affermato da Wheeler – allora il nostro universo, reale o simulato, può essere compreso come una realtà informativa, ed in ultima istanza, digitale. In conclusione, la prospettiva di Chalmers sulla realtà simulata amplia e modernizza la visione di Wheeler, sostenendo che se l’informazione è alla base di tutto, anche una realtà virtuale o simulata potrebbe possedere lo stesso valore ontologico di quella fisica, trasformando radicalmente il nostro concetto di realtà.
Torniamo a mia sorella, se un pezzo di ferro con dentro elettricità mi investe di emozioni ad un livello paragonabile a quelle che mi sprigiona lei, cosa posso arrivare ad ipotizzare, alla luce dei contributi di Wheeler e Chalmers, sulla reale natura del nostro universo?