La Biennale di Venezia è sempre stata il momento di contaminazione per eccellenza all’interno dell’arte contemporanea. Tutti i padiglioni partecipanti riflettono sulla loro identità nazionale in riferimento alla tematica, trovando nuove possibilità di esprimersi attraverso i curatori, artisti e progetti che provengono da stati “stranieri”.
Mai come quest’anno, forse, il tema invita, o quasi obbliga, ad una contaminazione serrata, stimolando un’apertura verso il globale. Siamo tutti, secondo Pedrosa, “Stranieri Ovunque”, il ché ci regala anche la libertà dell’apolide: la non-appartenenza porta con sé un’incredibile potenzialità vergine di espressione e di adattamento della propria visione in contesti altri. È questo il caso degli artisti e curatori italiani che hanno scelto di riflettere su tematiche geograficamente distanti quanto estremamente vicine alle loro ricerche. Alcuni, come il Bangladesh e Grenada (prima ancora il Guatemala), hanno ormai uno storico, con artisti originari del luogo che hanno dialogato con altri nostrani ormai da qualche edizione. Il Camerun invece, è una novità, se visto sotto questa speciale lente.
Vediamo dunque nel dettaglio gli artisti italiani presenti nei Padiglioni di Bangladesh, Grenada e Camerun.
Il Padiglione del Bangladesh
Stessa sede (palazzo Pisani Revedin a San Marco), stessa curatrice, ma artisti diversi. Già nel 2022 (e nel 2020) infatti Viviana Vannucci aveva curato la mostra “Time: Mask and Unmask”, accolta positivamente dalla critica per il suo connubio tra artisti bengalesi e italianii.
Il titolo della mostra è “The Contact”, e, in linea con il tema della kermesse, intende esplorare la complessità dello scambio culturale, dell’identità e dell’appartanenza. Stavolta però, oltre agli artisti bengalesi (Abdur Rab, Syeda Mahbuba Karim, Shahjahan Ahmed Bikash, Shahid Kbir) che dialogheranno con altrettanti italiani (Claudia De Leonardis, Anna Carla De Leonardis, Roberto Saglietto, Marco Nereo Rotelli, e Franco Marrocco), saranno presenti anche due artisti sudCoreani (DoJoong Jo, Jiyoon Oh) e un’artista ucraina (Natalia Revoniuk). Marco Nereo Rotelli, in particolare, porterà La Gondola Aerospaziale (qua avevamo già anticipato il progetto, ndr), una video-installazione site-specific nella porta d’acqua dello spazio espositivo, dove la gondola stessa partirà in volo da Venezia al Bangladesh, passando per la luna, in un viaggio carico di poesia.
Il Padiglione di Grenada
Il Padiglione dell’isola Caraibica verrà curato dal critico Daniele Radini-Tedeschi (anche lui al terzo mandato del padiglione), che propone una mostra dal titolo “No Man is an Island”, dove artisti originari del luogo dialogo anche qui con altri internazionali. In particolare saranno presenti gli artisti del collettivo “The Perceptive Group”, molti dei quali italiani, come Bollani, Feofeo, Carlo Ciucchi Picchio, Fiorangela Filippini, Gina Marziale, Silvana Mascioli, Luca Ripamonti, Michele Rosa, Salvatore Scaramozzino, Emilio Sgorbati, Fedora Spinelli, tutti orientati a una ricerca pittorica, scultorea, fotografica, dove l’individualità di ciascuno si fonde in un contesto comunitario e collettivo.
Il titolo della mostra, che vede la partecipazione di numerosi artisti tra cui il citato collettivo, trae origine da una citazione di John Donne: “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del continente… la morte di ogni uomo mi sminuisce, perchè sono coinvolto nell’umanità”. Presente anche il filmmaker Nello Petrucci con l’opera La Danza dell’Abisso, una scultura in resina su specchio che esplora la dualità dell’essere umano attraverso la figura simbolica del clown; l’energia “materiale” di ADGART (Antonello Diodato Guardgli) e la muldisciplinarietà di Lorenzo Marini.
Il Padiglione del Camerun
Dopo l’esordio nel 2022, in cui era stato anche esposto degli NFT, anche il Camerun conferma la sua partecipazione, sotto la curatela di Sandro Orlandi Stagl e Paul Emmanuel Loga Mahop. L’esposizione intitolata “Nemo Propheta in Patria” (nessuno è profeta in patria), riflette sul concetto sull’incomprensione e il disagio che si può provare (il profeta) all’interno dei confini della propria nazione. Il profeta è visionario, anticipa i tempi, e per questo deve emigrare per esprimersi e scappare dalle regole precostituite locali. Il detto latino che titola l’esposizione è esplorato attraverso le opere di cinque artisti camerunesi — Jean Michel Dissake, Hako Hankson, Kendji & Ollo Arts, Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu, Guy Wouete — e di otto artisti internazionali, che includono Angelo Accardi, Julia Bornefeld, Cesare Catania, Adélaïde Laurent-Bellue, Franco Mazzucchelli, Rex and Edna Volcan, Giorgio Tentolini, e Liu Youju.
Tra questi, l’artista milanese Cesare Catania propone L’abbraccio Phy Version, una scultura Phygital (che combina l’arte fisica con quella digitale, ndr), trasformando la percezione statica in un dialogo dinamico tra l’osservatore e l’opera. La realtà aumentata infatti permetterà ai visitatori di creare versioni personalizzate dell’Abbraccio seguendo il proprio gusto e le proprie emozioni. Nello specifico, l’utente potrà scegliere attraverso un software, delle immagini di dominio pubblico come sfondo, ma potrà anche personalizzare ogni singola parte della scultura e condividerla, quindi dando vita ad una “versione Unica”. Ecco che quindi l’arte diventa un modo per combattere l’estraneità universale. L’abbraccio di Catania è un progetto in divenire, che cambia, muta e si evolve, testimone dei cambiamenti temporali (ne avevamo parlato qui).
Il Padiglione del Camerun, inoltre, si distingue per essere il primo a realizzare un’esposizione Carbon Net Zero, combinando politiche di riduzione delle emissioni con il riutilizzo dei materiali e compensando le emissioni residue con la piantumazione di una foresta in Camerun.