Tutto è là fuori, certo, ma qualcuno lo vede per primo. Luigi Ghirri, ad esempio, incaricato dalla fotografia di raccontarci la solenne fugacità dello tempo, ora monumentale ed ora sociale, lunga appena una sosta in riva al mare, è uno di questi. Non un elemento dei nostri modi di intendere il mondo è sfuggito all’obiettivo emiliano, geniale nel suo coraggio di insignire l’invisibile della dignità del documento.
Il buio, apparente sospensione dell’esistenza, è uno di questi, indagato nella sua pienezza multiforme nella bellissima mostra Luigi Ghirri. Zone di passaggio. Discrete semioscurità nelle opere di Mario Airò, Paola Di Bello, Paola De Pietri, Gregory Crewdson, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani, Awoiska van der Molen, allestita presso il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia e curata da Ilaria Campioli.
Realizzata nell’ambito del programma di Fotografia Europea e grazie alla collaborazione tra il comune e l’Archivio Eredi Luigi Ghirri, essa sviluppa un articolato e denso percorso sul tema del buio che rivela diverse anime: una umana, che scopriamo scandagliata dai 56 scatti di Ghirri e dalle mirabili semioscurità catturate dagli autori citati nel titolo, presenti in funzione di Fotografia Europea, e quella animale, che ritroviamo in Passaggi notturni (fino al 29 settembre 2024), curata da Silvia Chicci e che, attraverso l’occhio delle fototrappole, indaga l’attività notturna degli animali nei boschi grazie alla collaborazione con il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano.
Il palinsesto museografico non manca di indugiare sulla storia della tecnica, imprescindibile per orientare l’utente: fil rouge metodologico può dirsi La photographie à la lumière artificielle, opera pubblicata nel 1914 da Albert Londe, principalmente fotografo medico e pioniere della fotografia a raggi X, quindi sapiente esploratore dell’impiego della luce narratrice ora riferita all’intimo imperscrutabile.
Zone di passaggio condensa codici e prospettive ma non disperde, anzi facilitando la comprensione del tema proprio grazie all’audace articolazione dei linguaggi degli autori, che la curatela riesce ad affermare nella singolare irripetibilità di ciascuno: fra gli altri, emergono l’essenzialità di Paola Di Bello e le impressioni di Airò, come ugualmente le detonanti composizioni di Gregory Crewdson. Sappiamo, davanti ai loro scatti, che le retrovie dell’esistenza non si nutrono di solo fulgore ma di esitazione e fugacità, timori irrisolti e sano mistero.
Il senso del recondito non spaventa e il loro sforzo è efficace, peculiare, la dedizione profonda. Grazie alle loro fotografie e a quelle di Luigi Ghirri, maestro nel trasmettere l’evidenza della fatalità, abbiamo contezza della tenebra, ora umanizzata e per sempre fissata nel palinsesto della memoria. Non la negazione della luce e né una sua antitesi, piuttosto una stasi propedeutica al suo fulgore, dalla complessa antropologia, è quanto emerge in un percorso che dialoga col passato e invita al presente predisponendo il futuro, quale che sia il suo significato dall’indubbia sacralità.
Ghirri, prima di altri o prima di tutti, è in questo riuscito facendosi strada nella spiritualità individuale, personale, per suggerire che comunque vada siamo quel che siamo stati e saremo quel che facciamo e che vediamo, con la nostra capacità di governare il tempo e lo spazio e di farlo insieme, apprezzando un Sole come anche un barlume: “dà ancora uno sguardo fuori della finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride” (Dino Buzzati).