La Net Art entra al MoMA: Rafaël Rozendaal e il codice come arte

La mostra “Light: Rafaël Rozendaal”, in corso al Museum of Modern Art (MoMA) di New York, segna un importante capitolo nella storia della Net Art e della sua relazione con i musei. Curata da Paola Antonelli, questa retrospettiva esplora l’opera di uno degli artisti più noti del movimento, portando nel contesto fisico del museo creazioni che vivono nativamente online. Attraverso installazioni immersive e proiezioni su larga scala, il MoMA invita i visitatori a immergersi nell’universo visivo e astratto di Rozendaal, composto da forme geometriche dinamiche e colori vibranti. Ma oltre al fascino estetico delle opere, questa esposizione pone domande fondamentali: come si preserva l’essenza di un’arte concepita per Internet quando viene trasferita in un contesto fisico? E cosa significa “collezionare” un sito web come opera d’arte?

Per rispondere, è necessario fare un passo indietro, tornando alle origini della Net Art.

La Net Art, emersa negli anni ’90 con l’espansione di Internet, è un movimento che ha sfidato le convenzioni dell’arte tradizionale. Utilizzando la rete come mezzo creativo, artisti come Olia Lialina, Vuk Ćosić, e il collettivo Jodi hanno sviluppato opere che esistono interamente online. Queste opere erano spesso interattive, effimere e accessibili a chiunque avesse una connessione Internet, sfidando i concetti di esclusività, proprietà e conservazione.

Un elemento distintivo della Net Art (ne abbiamo parlato qui) fin dagli inizi è stato l’uso del dominio web come “tela” e spazio espositivo. I domini non erano solo contenitori per l’arte, ma diventavano essi stessi oggetti d’arte, vendibili e collezionabili. Olia Lialina, ad esempio, ha creato opere come My Boyfriend Came Back from the War (1996), una stupenda narrazione frammentata ospitata su un sito web che si evolveva attraverso l’interazione dello spettatore. La vendita del dominio permetteva di trasferire la proprietà dell’opera, ma anche la responsabilità della sua manutenzione.

Rozendaal riprende questa pratica e la rende più sistematica e accessibile, trasformando il dominio in un oggetto collezionabile. I suoi siti web, che contengono animazioni astratte e in continua evoluzione, vengono venduti insieme al loro dominio, e il nome del collezionista viene incorporato nel codice sorgente, come una firma nascosta.

Rafaël Rozendaal: un ponte tra estetica digitale e mercato dell’arte

Nato nel 1980, Rozendaal ha costruito la sua carriera esplorando le possibilità estetiche del codice e dell’arte digitale. Le sue opere, presentate come siti web autonomi, sono accessibili a tutti e giocano con la luce, il colore e il movimento per creare esperienze contemplative. A differenza di molti artisti della Net Art, Rozendaal evita l’interattività e la critica sociale, concentrandosi su un’estetica pura e minimale.

Alla mostra “Light”, il MoMA amplifica l’impatto visivo delle sue opere, proiettandole su grande scala e trasformandole in installazioni immersive. Opere come “Much Better Than This” affascinano per la loro semplicità: forme geometriche si trasformano fluidamente, creando un ritmo ipnotico che cattura lo sguardo. Tuttavia, questo adattamento al contesto fisico solleva interrogativi: quanto della natura originale di queste opere, concepite per essere vissute individualmente online, viene sacrificato quando vengono trasferite in uno spazio museale?

La curatrice Paola Antonelli, responsabile del Dipartimento di Architettura e Design del MoMA, è una figura chiave nel portare l’arte digitale al centro del discorso museale. Antonelli ha curato progetti innovativi come “Design and the Elastic Mind” e “Broken Nature”, dimostrando un interesse per le pratiche artistiche che utilizzano la tecnologia per riflettere su temi contemporanei. Con “Light”, Antonelli mira a rendere l’arte digitale più accessibile al grande pubblico, ma la scelta di focalizzarsi su Rozendaal riflette una strategia precisa: privilegiare un artista le cui opere, visivamente accattivanti e facilmente comprensibili, si prestano bene al contesto museale.

Tuttavia, questa scelta solleva interrogativi sulla rappresentazione della Net Art nei musei. Quanto delle radici critiche e sperimentali di questo movimento viene sacrificato a favore di opere più accessibili e “pop”?

Net Art e musealizzazione: una relazione complessa

La Net Art, per sua natura, pone sfide significative alla musealizzazione. Le opere digitali sono spesso effimere, soggette all’obsolescenza tecnologica e progettate per vivere fuori dai circuiti tradizionali dell’arte. Il loro trasferimento in un contesto museale richiede compromessi: l’interattività viene spesso ridotta, e l’accessibilità globale che caratterizza queste opere rischia di essere limitata.

Le opere di Rozendaal, con la loro estetica minimale e l’assenza di interattività, si adattano bene al contesto museale. Tuttavia, proprio questa adattabilità potrebbe essere vista come un limite: mentre artisti come Cory Arcangel o il duo Eva e Franco Mattes utilizzano la Net Art per esplorare temi complessi come la sorveglianza, l’obsolescenza e l’identità digitale, Rozendaal si concentra principalmente sulla percezione estetica. Questo approccio lo rende un ponte ideale tra il digitale e il museo, ma rischia di ridurre la complessità e la radicalità del movimento.

In un movimento così eterogeneo e radicale, che include pratiche partecipative e narrative complesse, la scelta di concentrarsi su un artista come Rozendaal potrebbe essere vista come un compromesso. Se il MoMA vuole davvero rappresentare la ricchezza della Net Art, è fondamentale esplorarne anche le espressioni più critiche e sovversive.

Rozendaal rappresenta una parte importante della storia della Net Art, ma il futuro del movimento nei musei dipenderà dalla capacità di raccontarne tutta la complessità, senza sacrificare l’interattività, la critica e la sovversione che ne hanno definito le origini.

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