Vischioso. Quella sensazione appiccicaticcia e collosa, tipica della polpa gelatinosa della bacca del vischio. Un arbusto che ha caratteristiche semi parassitarie (nutrendosi degli altri vegetali), con frutti tondi e foglie sempreverdi. Pianta che secondo diverse tradizioni (da quella celtica, a quella anglosassone) è legata a simbologie diverse, tra cui quella natalizia che prevede porti fortuna baciarsi sotto il vischio. E proprio dal suo nome deriva la parola vischioso (dal latino viscosus, viscum, «vischio», fonte Treccani), che indica la consistenza della materia fluida, quando le molecole sono particolarmente attaccate tanto da impedirne lo scorrimento.
E in continuità con questa base concettuale su cui si sviluppa l’ultimo progetto di Cassina Projects, si rimane invischiati nella sua messa in scena. Un’insolita architettura di tende bianche che accoglie lo spettatore, separando e svelando lo spazio immacolato. Si presenta così Viscous, visitabile fino al 25 gennaio 2025, anticipando e formalizzando quella sensazione di volere restare appiccicati alle opere. Opere dense di contenuti, da leggere strato per strato (indipendentemente dal medium utilizzato), per liberare le narrazioni che raccontano, in modi diversi, i cambiamenti, le paure e i desideri, della contemporaneità.
Tra scultoree formazioni antropomorfe di Zsófia Kerestzes (*1985), e quelle dipinte nei corpi talvolta irrequieti di Jessie Makinson (*1985). Nelle conturbanti figure femminili negli acquerelli di Oda Iselin Sønderland (*1996), e in quelle che acquistano una caratteristica talvolta inquietante nelle creazioni di Wang Haiyang (*1984). È María Fragoso Jara (*1995), artista messicana che vive a New York, che mostra l’elemento più rappresentativo con creature vischiose accovacciate intorno alla bocca di un vaso, che sembrano scivolare in una nudità quasi fetale, nell’opera Nido. Come embrioni di una nuova specie sono invece quelle prodotte da Zsófia Kerestzes. Appesa alla parete come Remains of tenderness, o svelate attraverso le tende che fanno da scenografia a Sprout, una scultura quasi totemica. L’artista ci ha abituato a opere di grandi dimensioni come quelle proposte nell’edizione della Biennale di Venezia del 2022, al Padiglione ungherese. Formazioni che attingono a un immaginario tra umano e post umano, corpi antropomorfi, dotati di tentacoli che sembrano schiudersi a un abbraccio, con un’anima di metallo internamente, e un’epidermide ricoperta da materiali stoffa cuciti. Ma è la presenza di microscopiche tessere di mosaico, che caratterizza la sua produzione, seguendo una tradizionale lavorazione, che diventa osservandolo con gli occhi di oggi, un linguaggio contemporaneo ricordando visivamente i pixel del linguaggio elettronico.
Ma torniamo alle creature di María Fragoso Jara. Corpi paffuti, che si stringono intorno al collo di un vaso, quasi tutti con le mani giunte. Qualcuno è in piedi e le anse sono a forma di mani. Corpi mimetizzati con lo stesso colore del vaso di un verde un po’ acidulo, che sembrano squagliarsi nel dipinto.
La vibrante paletta cromatica si tinge poi di quei rossi che richiamano l’apparato visivo delle sue origini, dai muralisti messicani al surrealismo. Surreali spesso le ambientazioni dei suoi lavori, in cui le scene sono avvolte dal mistero e dalla curiosità, di scoprire l’enigma. Che si tratti di raffigurazione umane, o che siano nature morte, sono collocati in contesti stranianti, in cui emergono spesso fluidi umani o non umani. Così come la ricerca di un’identità scollata da un genere per affermarsi attraverso simbolismi, che rimandano all’idea di una fecondità. A fianco al dipinto anche un disegno, Ex voto para una madre, che per l’artista non rappresenta uno stadio preparatorio di un’opera, ma è opera stessa.
Intimi e poetici anche gli acquerelli dell’artista norvegese-irlandese Oda Iselin Sønderland, che indagano un’umanità soprattutto femminile, in cui si affermano aspetti emotivi, sensuali, identitari. Lavori su carta, in cui le figure sono avvolte da scenografie traboccanti di allegoriche presenze. Ambientazioni spesso naturali, reminiscenza del territorio di provenienza, che accolgono le narrazioni tratte dalla cultura popolare, dalla mitologia al folklore norvegese, popolata da creature misteriose. Ma anche l’influenza delle anime e dei manga giapponesi, cui si è avvicinata fin da bambina. Le sue scene sembrano portali aperti verso una dimensione, che si riconnette con la parte più spirituale dell’uomo.
È l’ambiguità invece a attraversare le opere di Jessie Makinson, artista londinese che crea attraverso una pittura vibrante di colori, scene ambientate in un paesaggio incantato. Un balzo tra un’impostazione classicista nel rigore figurativo, approdo di una iconografia che guarda al passato. E così il gusto ricorda un certo manierismo rinascimentale, e la struttura compositiva delizia lo sguardo dello spettatore con una ricchezza di dettagli e di figure che abitano le sue tele. Figure androgine con corpi morbidi occupano lo spazio pittorico, sembrano attivare un processo di mutazione con la natura. Una nuova coscienza tra umano e non umano che qui, a differenza delle creature totemiche di Zsófia Kerestzes, che si presentano come organismi di una nuova specie non ancora codificata, mantengono l’aspetto umano incorporando in sé bucoliche rappresentazioni di una vegetazione rigogliosa. Una teatralità creata dall’artista in tutto il suo lavoro, e non solo in To the sugar on the strawberries in mostra. Dipinti in cui le trame si infittiscono per via della presenza di una moltitudine di personaggi, di dettagli, arredi di scena e paesaggi.
Come artificiosa è la struttura compositiva dell’artista Wang Haiyang, che ha appena concluso un periodo di residenza in galleria. Le opere in mostra sono l’esito del suo percorso, connotate da una definizione dei dettagli impressionante. Un inganno per lo spettatore, in cui si instilla il dubbio che si tratti di collage tra immagini fotografiche e pittura. Invece l’uso dell’acrilico e dell’aerografo costituiscono l’asse portante di questo effetto, in cui la narrazione si manifesta attraverso una molteplicità di inquadrature, da leggere avvicinandosi e allontanandosi dal quadro. In questo modo si resta impigliati con lo sguardo nelle trame dipinte. Nella rete del ragno disegnata con precisione in Time, Space, Memory, and Sunyata, tra i livelli che nascondono e rivelano le scene e le figure nascoste dietro. Oppure nel misterioso volto con il naso di un maiale cui viene somministrata una pillola da una mano aliena. Le sue opere risentono dell’influenza del lavoro come video artista di animazione, nell’ibridazione di specie esistenti e fantasticherie, che si muovono tra desiderio e immaginazione.
Resta qualcosa di questa mostra da Cassina Projects. Una sensazione appiccicaticcia come la polpa del vischio. La memoria delle opere in cui ci sono aspetti che accomunano gli artisti nonostante le tecniche, le estetiche e i linguaggi. L’esigenza di una necessità rilevata che si fa fisica nella scultura e nella rappresentazione pittorica, o nelle linee dei disegni, di un’esplorazione intorno al corpo. Un corpo che si libera non solo di sovrastrutture imposte o innate, ma che si appropria di una nuova morfologia, che segue desideri e nuove formulazioni individuali. Viscous rimette in discussione l’Homo nella sua dimensione evolutiva all’interno di un contesto significante contemporaneo, riprendendo miti, favole e suggestioni in cui cambiano i significati, gli scopi, i desideri.