Descrivere la pittura dell’artista statunitense Louis Fratino (1993, Annapolis, MD) mette nella condizione di rispolverare gli appunti, i saggi e i libri di storia dell’arte e di letteratura contemporanea. La mostra a lui dedicata al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Satura, visitabile fino al 2 febbraio, dà una panoramica sulla produzione di questo giovane artista con una serie di opere tra pittura, scultura e stampe.
Stefano Collicelli Cagol, curatore della mostra, ha affermato che quella del Pecci è la prima mostra istituzionale dedicata all’artista in cui sono state sottolineate le influenze e i riferimenti provenienti dall’arte del Novecento non solo europea, ma, in particolare italiana. Fratino, i cui temi riguardano principalmente la poetica dello scarto, della quotidianità anonima e l’adozione di una prospettiva Queer, utilizza e rimaneggia questi stilemi per realizzare opere piene, ambivalenti, sature di colore e di volumi.
Il concetto di “satura” contiene in sé due livelli semantici diversi: quando si è pieni, in senso letterale di qualcosa, oppure in senso metaforico, manifestando l’insofferenza per una situazione, l’averne abbastanza che porta verso la necessità di un cambiamento. Il titolo della mostra, Satura, fa riferimento al piatto di primizie, o natura morta, che in latino era definito come “Satura Lanx” e che aveva dato il nome al genere della Satira, che caratterizzava componimenti dotati di stili e metriche diversi che si compenetrano tra loro, nella pungente ambiguità di significati e situazioni. La pittura di Fratino è satura in questo senso: attraverso la relazione di stili e forme diversi e discordanti, l’artista crea opere piene, strabordanti di riferimenti in cui la figura umana è solo in parte protagonista, in concomitanza con gli oggetti presenti sulla tela: lavandini, vasi di fiori, libri, piatti e piante.
Il lavoro di Fratino è la crasi di stili diversi che si compenetrano per creare un’opera originale che riflette sull’intima visione dell’artista della quotidianità, attraverso lo studio del nudo, degli interni e del paesaggio. La critica sembra unanime nel definire i richiami espliciti ad artisti che hanno popolato il panorama novecentesco della pittura e della scultura italiana: Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Arturo Martini, Marino Marini, Janni. Non mancano, ovviamente, i riferimenti ad artisti internazionali come Picasso e Matisse che trovano un terreno di incontro comune, all’interno del medium con cui tanto dibattevano. Fratino riesce a unire nel colore e nella resa formale degli oggetti e dei corpi i massimi esponenti del Cubismo e del Fauvismo, incontrando a metà strada la pittura degli anni ’20 e ’30 in Italia: le nature morte, con la loro prospettiva ribaltata, la semplicità dei volumi e le ampie campiture di colore piatto non sono solo frutto di Cezanne, Picasso e Matisse, ma anche di De Pisis, il cui richiamo esplicito è presente in OPERA, in quelle uova lasciate nel piatto, sulla destra del quadro, accanto alla pagina del catalogo dell’artista che ne mostra la fonte di ispirazione.
La lezione di Picasso cubista è particolarmente presente nella resa degli oggetti: i tavoli, i bicchieri e i piatti sono in prospettiva “ribaltata”, ovvero non seguono le stesse linee e non convergono in un punto di fuga che corrisponde con quello della rappresentazione circostante. Il piano ribaltato ci mostra da una prospettiva di favore quello che si può trovare sopra al tavolo; questo espediente è sempre stato utilizzato, soprattutto in epoca medievale, per mostrare quegli oggetti che non erano solo di corredo alla storia, ma ne erano elementi indispensabili alla sua comprensione.
Anche per Fratino, la rappresentazione in prospettiva ribaltata sembra avere questo scopo: piatti di uova, fiori e libri raccontano quanto la figura umana, immobile e trasognata con occhi profondi e languidi immersi nei propri pensieri, non può raccontarci, disvelando un mondo interiore. Il Cubismo picassiano, al pari della prospettiva rovesciata medievale, serviva in parte a questo: dare la possibilità, attraverso il medium pittorico, di vedere la stessa figura da quanti più punti di vista possibili, portando a quella scomposizione del corpo che ha segnato in modo indelebile la storia dell’arte successiva.
La tavolozza di Fratino, tuttavia, ci riporta agli sgargianti colori dell’Espressionismo francese, dei Fauves in particolare e di Matisse. Le opere sono costruite sul contrasto da colori opposti: gli arancioni accanto ai verdi e ai viola, i gialli accanto ai blu e ai rossi, in una continua ricerca di armonia attraverso l’opposizione che crea situazioni di saturazione incontenibile, tramite campiture di colore piatto che definiscono volumi e forme dei tanti nudi che popolano le tele dell’artista.
Emerge la memoria dell’arte italiana della prima metà del Novecento. Il riutilizzo di alcuni elementi provenienti da questa tradizione artistica, non è una semplice appropriazione volta di contenuti che hanno un rapporto difficile con la storia: Fratino ha osservato l’arte degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso in Italia e ne ha tratto insegnamenti a livello stilistico e formale riproponendoli nelle sue tele.
Ritorno all’ordine significa “ritornare alle origini del linguaggio figurativo europeo”. Quanto esposto si può applicare attraverso la maggiore ricerca di monumentalità, l’attenzione per le volumetrie, per il peso che persone e oggetti devono avere all’interno dello spazio; questa ricerca porta necessariamente l’artista a guardare all’arte del primo Quattrocento, primo tra tutti Piero della Francesca, al Classicismo greco e romano, al medioevo di Giotto, ma anche allo studio di volumi e forme geometriche perpetrato da Cezanne, l’artista moderno per eccellenza.
Come non vedere, contemporaneamente, in Mimosa, San Cosimato (2022) un richiamo al Ritratto di una donna con caffettiera di Cezanne e all’Attesa di Felice Casorati? Il tavolo è costruito su un piano ribaltato, al posto delle ciotole, Fratino inserisce un vaso di mimose, un piatto di spaghetti e un libro di poesie di Sandro Penna. Sulla sinistra, come nei dipinti di Cezanne e Casorati, un ragazzo, probabilmente lo stesso artista, che contempla il vuoto nella sua solitudine.
La donna di Cezanne, quella di Casorati e l’uomo di Fratino hanno le mani sulle gambe, seduti e soli. La solitudine dell’uomo di Fratino non corrisponde, però, né alla donna con caffettiera, né alla donna in attesa: non c’è uno sguardo diretto nella tela di Fratino che catturi e redarguisca lo spettatore, così come non c’è il vuoto di un’attesa “disattesa” come nell’opera di Casorati, dipinta poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, un sintomo inequivocabile del grande vuoto lasciato da uno dei conflitti più sanguinosi della storia del secolo scorso.
Ciò che nel Novecento è, a livello artistico, un ritorno universale in una zona di comfort dopo la frenesia dell’avanguardia, per appoggiarsi al familiare e al quotidiano della tradizione e dimenticare l’illusione di un progresso perpetuo, si incontra con Fratino nella ricerca della rappresentazione di ciò che è fondamentale a livello personale. L’artista rappresenta nelle sue tele e nelle sue sculture i propri affetti, tra parenti, amici stretti, persone con cui ha condiviso la propria intimità; non basa i suoi soggetti su una mondanità abusata o classica, fatta di ballerine, personaggi mitologici, uomini e donne della Storia, ma su elementi del panorama culturale e artistico italiano che sono secondari: la provincialità, i balli di paese, le vacanze in Riviera, i pomeriggi d’estate immersi nel sole e nella lettura.
L’ambivalenza del titolo della mostra gioca un ruolo fondamentale all’interno delle tele dell’artista, dando un’importanza speciale anche ai singoli titoli che sceglie per le sue opere. Questi sono disponibili a più interpretazioni, come nell’opera Arci Bellezza (2023): Arci Bellezza può far riferimento al circolo dedicato a Giovanni Bellezza, uno spazio alternativo di aggregazione frequentato dall’artista, oppure «arcibellezza in senso rafforzativo, quella bellezza che straripa da sé stessa, che fa riferimento al campo semantico dell’eccesso», dal saggio di Giorgio di Domenico presente nel catalogo.
In quest’opera Fratino rappresenta un momento di festa: coppie di ragazzi che ballano in una balera, un tripudio di provincialità vissuta con estrema naturalezza. Lo spettatore può entrare dentro l’opera grazie allo sguardo del ballerino in primo piano: il suo occhio guarda frontalmente verso di noi, mentre è occupato a tenere salda la propria compagna, scatenandosi sulla pista. I colori che dominano la scena sono il rosso e il blu, in un’atmosfera calda e carica del sudore della folla che si butta a ballare ed è colpita dai faretti colorati appesi al soffitto. Noi siamo dalla parte di chi è rimasto seduto, intenti a guardare in mezzo a una coppia, davanti a un calice, una bottiglia d’acqua e un bicchiere di Martini in cui è rimasta una solitaria e triste oliva.
Sebbene la frammentazione della scena, i piani ribaltati, la geometria delle forme porti a pensare a un richiamo alla frammentarietà dell’esistenza, Fratino sembra piuttosto rappresentare il generale a partire dal particolare: rappresenta, dalla sua quotidianità, con una punta di autobiografismo, la quotidianità dell’uomo. Lavandini, tavoli, divani, persone e attività diventano il punto di incontro tra spettatore, artista e critico: nessuno di loro ha un punto di vista privilegiato, nessuno – specialmente lo spettatore – è davvero escluso dalla rappresentazione, quasi dovesse entrare in punta di piedi all’interno delle sale.
Questo operare alla luce di se stessi e del proprio tempo vuole andare oltre, anche rimaneggiando la pittura del secolo scorso, un atto di coraggio alla luce dei recenti sconvolgimenti storici e di un ritorno all’ordine sul piano sociale e politico di questo paese, così come rispetto agli Stati Uniti. L’epoca del ritorno all’ordine, che avrebbe così tanto da offrire in termini stilistici, ma è macchiata dalla complicità con la scena politica del tempo devota al fascismo, è rappresentata sotto una luce nuova, quella di un’arte impegnata capace di mostrare il lato umano delle angolose rappresentazioni volumetriche e riesce, sorprendentemente, a sposare questo stile con i ben più irascibili esponenti del Realismo italiano del Secondo dopoguerra.
Gli echi dalle nature morte alla rappresentazione degli esterni di Renato Guttuso, in cui regna l’horror vacui (vedi Fish Market, 2020 o Garden at Dusk, 2024), riportano al colore e alle scene di vita quotidiana al mercato, alla poesia insita nella rappresentazione di due peperoni rossi o delle bancarelle della Bagheria. Non c’è la ricerca di un espediente concettuale per dare vita alla rappresentazione. Per utilizzare le parole dell’artista: “I’ll see a photo of a body in a certain light, and it’s just so beautiful. And then I’ll remember something that happened to me that was so beautiful. The two of those will come together in a painting.”
La tendenza di Fratino a collegare a fatti particolari i contenuti delle sue opere emerge anche dal ribaltamento che opera dei soggetti presenti in tele o opere letterarie di riferimento. Solitamente incarnati da una figura femminile, i nudi o gli esseri umani delle sue tele sono maschili e affrontano la sentimentalità, il tema degli amanti, l’evidenza dei corpi monumentali in chiave omoerotica.
Una delle opere letterarie citate da Fratino, racconta Stefano Collicelli Cagol, è Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli, in riferimento alla rivendicazione dell’identità dell’artista che si traduce nell’opera I keep my treasure in my ass (2019): un modo di rappresentare la propria nascita che potrebbe ricordare un processo di gestazione asessuato – l’artista partorisce se stesso dal proprio ano – ma che qui viene totalmente sovvertito; anche nella rappresentazione dell’autoerotismo, Fratino sembra far riferimento all’idea di rinascita e crescita personale e non a una dimensione di solitudine in cui solo attraverso il proprio io e l’isolamento dall’altro si può arrivare a una versione nuova di sé.
La libertà del corpo nudo, il piacere dell’atto sessuale e l’erotismo dilagano nei riferimenti alla letteratura: dal Decameron di Pier Paolo Pasolini, ad esempio, Fratino riprende il tema dell’amore inconciliabile e lo rivisita in chiave queer. In A Breeze (2017), due giovani amanti si abbracciano su un letto a baldacchino riprendendo il segreto incontro amoroso tra Caterina e Ricciardo della novella del Boccaccio. Questo tipo di rappresentazione percorre gran parte delle opere di Fratino e si mescola con esperienze di vita personale: una lunga, calda estate, una “bella estate” pavesiana vissuta per l’Italia insieme ad amici immersi in letture, bagni di sole e nuotate al mare o al torrente.
Lo studio dei corpi, il legame dell’artista con i corpi rappresentati – mai lontani dalla sua sfera intima – non si ferma alla raffigurazione e allo studio del nudo in situazioni affettive, ma spazia nel quotidiano, trasformando, o facendo emergere, il lato erotico della vita anche in un riposo in riva al mare, o in una nuotata al ruscello, dove l’intimità è garantita dalla folta vegetazione che condiziona l’intera tavolozza dell’opera: ogni cosa è dotata di un cromatismo verdastro, frutto dei raggi che, riflettendo le foglie soprastanti, colorano quanto sta sotto di esse.
Anche in Washing in the sink (2023) la luce che colpisce l’interno condiziona la resa cromatica del dipinto: l’illuminazione artificiale del bagno ha pervaso corpi, mobilia e pareti rivestite di un giallo intenso; l’atto di lavarsi le parti intime è rappresentato come un rituale di cura e attenzione, che richiama le scene di passione o di affetto tra compagni: Kiss (2023) ed Embracing Couple (2018) giocano con la complementarità dei colori e mostrano il vissuto dell’artista, la sperimentazione della sessualità in una società definita da Mieli “educastrante”. Il fondo di queste opere è neutro o freddo, i corpi sono caldi, saturi di colore, quasi illuminati da una luce interiore come quando premiamo i polpastrelli sopra una torcia. Specialmente Embracing couple ci riporta alla lezione dell’espressionismo francese di Matisse e di Derain: forti contrasti cromatici risaltano l’uno nell’altro, creando “forme intemporali o demoni propizi” richiamando Patrizia Cavalli, altra poeta nota e lettissima da Fratino nella raccolta Pigre divinità e pigra sorte.