Very Well, on My Own è la prima mostra antologica dedicata all’artista Ludovica Carbotta in Italia curata da Lorenzo Balbi con l’assistenza di Sabrina Samorì nella Sala delle Ciminiere al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, un progetto basato sull’importanza dell’individualità e il suo rapporto con lo spazio pubblico. Il titolo della mostra ad un’idea specifica di privacy e spazio individuale, in cui ogni individuo cerca un rifugio per affrontare il mondo esterno.
Nel corso della sua carriera artistica, Ludovica Carbotta (nata a Torino nel 1982) ha osservato come le città definiscano il nostro campo d’azione attraverso esercizi fisici che cercano di destabilizzare la “prossemica degli spazi abitati” e di creare nuove coreografie nell’ambiente urbano, esplorando la relazione tra appunto città e persone.
“Nella mia visione, individualità e ambiente si modellano reciprocamente, diventando quasi indistinguibili l’una dall’altra. Le città riflettono la nostra collettività, ma all’interno di esse è ancora possibile individuare le impronte delle nostre identità singole», afferma l’artista, sottolineando il legame stretto tra ogni individuo e l’ambiente in cui vive.”
Nella ricerca di Carbotta, la narrazione è un processo che dimostra le capacità generative dell’immaginazione per fornire alternative all’ordine sociale e alla posizione che ogni individuo assume nel proprio ambiente quotidiano. Ciò le ha permesso di creare immagini distopiche e futuristiche del tessuto urbano che diventano un campo aperto di sperimentazione per indagare il tema dell’individualità all’interno della società. Carbotta ha condotto personalmente una serie di esplorazioni fisiche della città, utilizzando metodi di misurazione empirici e strategie di contatto inedite, al limite dell’assurdo.
In ogni sua azione si riflette il tentativo di diventare parte del paesaggio urbano, talvolta anche annullando la propria presenza: nel 2011 l’artista cerca di attraversare la città senza proiettare la propria ombra, per realizzare un’improbabile scomparsa del proprio corpo dalla scena urbana. Nel 2012 crea Solid Void, un video realizzato con la tecnica dello stop-motion su una carta topografica della città di Torino: Carbotta parte da un punto centrale totalmente soggettivo e rimodella la città attraverso un gioco di collage in cui unisce i ritagli degli edifici, elimina le aree del suolo pubblico destinato al traffico per costruire una città priva di spazi vuoti, chiusa su se stessa ma che diventa impronta e traccia dell’artista.
Il contesto urbano è esplorato a più riprese nella ricerca artistica di Carbotta, anche per le sue qualità materiche. Particolarmente interessante è Invisibile Modulor, il risultato di un’azione performativa eseguita dall’artista tra il suo studio e le strade di Torino. Per diverse giornate Carbotta cammina scalza per il suo quartiere: la polvere e la sporcizia che si posano quotidianamente sul manto stradale diventano materiale artistico; una volta tornata a casa si strofina le piante sempre con lo stesso tessuto. La sporcizia diventa pigmento e materiale artistico che si deposita in modo difforme sulla superficie della tela di cotone.
Negli anni, questa indagine si è ampliata a un livello immaginario e narrativo, sviluppandosi in sistemi complessi di opere. L’artista analizza anche lo spazio più individuale di una persona, cioè quello domestico, in relazione al ricordo individuale, evidenziando come l’immaginazione possa trasformare la realtà. Questo tema verrà ulteriormente sviluppato in Monowe, 2016 – in corso, una città che si fa casa di un singolo abitante costretto a confrontarsi con la sua solitudine nell’ambiente abitato (il progetto è vincitore dell’11esima edizione dell’Italian Council realizzato con la produzione di BoFilm e destinato al Castello di Rivoli).
Affidandosi a descrizioni tracciate dalla memoria, l’installazione The Original Is Unfaithful to the Translation, 2015, rielabora le stanze in cui ha vissuto attraverso un ekpharis in negativo: l’opera è realizzata a partire dalla memoria e, dunque, dal linguaggio della finzione così che la sua realizzazione non dipenderà da un fatto reale, ma da uno spazio narrativo che ha prodotto la sua mente. Ludovica Carbotta traduce il rapporto individuo-spazio in senso tangibile e astratto, attraverso un approccio differente in cui la soggettività diventa protagonista in un luogo che si fa collettivo e attraversabile: sembrerà di camminare in mezzo a città utopiche per le stanze del Mambo, proiettate verso un futuro in cui la singolarità e la privacy sono la cifra e la misura dei monumenti pensati dall’artista.