Luglio 1984, un caldo sole estivo illumina le acque del canale dei Navicelli a Livorno. La città, con le sue strade affollate e i mercati vivaci, sembra immersa in una quiete apparente, inconsapevole del tumulto che sta per travolgerla. Un gruppo di operai sta scavando per per ripulire e migliorare l’area, storicamente legata alla città e ai suoi commerci.
Tra le zolle di terra smosse però, le loro pale si imbattono in alcuni oggetti strani, manufatti sicuramente, in pietra. Sono teste scolpite, figure enigmatiche che sembrano custodire segreti del passato. La notizia si diffonde immediatamente: le teste ritrovate sono subito attribuite ad Amedeo Modigliani, il celebre artista livornese noto per i suoi ritratti e nudi dai colli allungati. Amedeo, sicuramente, frustrato dal risultato insoddisfacente, deve averle gettate nel canale più di 80 anni prima.
Le teste, apparentemente vestigia di un genio scomparso troppo presto, celano una verità ben diversa. Il loro aspetto antico è solo un inganno, un gioco orchestrato da tre giovani studenti con un semplice trapano elettrico e un’incredibile voglia di burla. Pietro Luridiana, Michele Ghelarducci e Pierfrancesco Ferrucci non potevano immaginare che il loro scherzo sarebbe diventato uno degli scandali artistici italiani più famosi di sempre.
Per comprendere appieno l’impatto della scoperta, è fondamentale contestualizzare Modigliani. Nato a Livorno nel 1884, Modigliani si trasferì a Parigi dove sviluppò uno stile distintivo, influenzato dalle avanguardie artistiche del tempo. La sua vita fu breve e travagliata, morendo a soli 35 anni. La scoperta di nuove opere avrebbe rappresentato un’importante aggiunta al suo corpus molto limitato.
Il giorno dopo l’evento, critici e esperti d’arte si affrettarono a convalidare l’autenticità delle opere. Tuttavia, la verità emerse rapidamente grazie a un programma televisivo in cui i tre studenti confessarono la burla, dimostrando come avevano scolpito le teste con strumenti moderni, tra cui un trapano elettrico. Questo smascheramento portò a un dibattito sulla facilità con cui le opere false possano essere accettate come autentiche.
La vicenda delle “Teste di Modì” rimane una lezione importante sulla verifica dell’autenticità delle opere d’arte. Ha evidenziato la necessità di un approccio scientifico nella valutazione delle opere e ha messo in luce le vulnerabilità del mercato dell’arte. Quaranta anni dopo, l’evento continua a essere studiato e discusso come un esempio paradigmatico di frode artistica.
La storia ha ispirato numerosi articoli, libri e documentari, contribuendo a una maggiore consapevolezza sull’importanza dell’autenticazione delle opere d’arte. Inoltre, ha stimolato discussioni su cosa renda un’opera autentica e su come la percezione del valore artistico possa essere manipolata.