Il Museum of Arts and Design di New York ospiterà fino al 22 settembre la retrospettiva dedicata a Sonya Clark, We are each other: 30 anni di ricerca e sperimentazione prendono vita in un racconto corale della storia che ci unisce e che ci appartiene.
Ció che l’esposizione vuole risaltare è l’accuratezza e il tatto con cui l’artista affronta la tematica della Black culture in America, a partire dalle esperienze personali fino a scavare nelle origini della Nazione e delle problematiche ad essa legate. La pratica creativa di Sonya Clark trova nell’artigianalità e nella materia prima le radici della Storia e delle attitudini umane: tutto ció che percepiamo è una composizione di singoli elementi, come d’altra parte è l’America, un melting pot di culture e etnie che porta con sé un’eredità di lotte sociali e ingiustizie politiche.
Nipote di una sarta, Clark apprezza fin da piccola la composizione e la resa tattile dei tessuti, le loro trame e i loro motivi sono come un mondo da sezionare e portare alla luce di chi nota solamente il capo finito. Nella performance in corso Unraveling la comunità è invitata a partecipare al processo di disfacimento di una bandiera americana in cotone, che con l’aiuto di piú mani all’opera si trasforma in tre cumuli di fili rosso, bianco e blu. Il tessuto della bandiera simboleggia l’intreccio della cultura statunitense e del difficile passato della popolazione afro-americana, un tempo da districare e comprendere per non rischiare di svalutare un frammento di storia che ancora oggi ha conseguenze e sviluppi.
Tra i progetti piú intensi della Clark è esposto The Hair Craft Project (2014), una vera e propria pietra miliare per la riflessione dell’artista sulla sua popolazione, legata nello specifico all’estetica dei Black hair, simbolo indiscusso di manualità e artigianalità.
“Hairdressing is the primordial fiber art” (Bill Gaskin)
Le parole del collega fotografo Bill Gaskins, appassionato testimone della cultura afroamericana, ispirano quest’opera cosí impulsiva nella creazione di acconciature uniche nei saloni di bellezza e al tempo stesso cosí eterna nella messa su tela in galleria. I due ambienti diventano due templi dove il culto della bellezza regna sovrano: il gesto che disciplina le fibre disordinate e che legge i diversi capi carpendone forma e potenzialità, è messo a confronto con la sacralità della galleria per integrare l’azione con la permanenza della stessa. Le fibre umane e quelle naturali sono la base dalla quale Clark parte per recuperare la sua eredità: le vene, la muscolatura, il cotone e la lana sono universali, appartengono a piú persone nello stesso momento in due emisferi differenti, ed è cosí che si diffonde una cultura, una tradizione e che continua a vivere in ognuno di noi.
Ció che il lavoro trentennale dell’artista esamina è proprio la varietà e la singolarità degli strumenti e delle risorse che l’essere umano ha adottato nel tempo, scovando tecniche, soluzioni grafiche e funzionali per rendere un valore concreto e tangibile. Come americana di prima generazione, Sonya Clark ha la possibilità di esplorare due mondi, di essere cosciente di due storie e di come una ha particolarmente indebolito l’altra; la materia é l’unica fonte che riesce ad accogliere la rivendicazione di una cultura, di uno status che prevede l’essere “allo stesso tempo anti-americana e americana” come afferma l’artista in un articolo sulla rivista Ornament (1997).
Un viaggio in Costa d’Avorio nel 1989 che avvicina Sonya Clark alle tecniche di tessitura e tintura dei tessuti tipicamente africane, la laurea in Psicologia e gli studi in Filosofia e Religione durante il periodo di ricerca allo Smithsonian’s National Museum of African Art, fanno parte di un percorso disciplinare che trova connessioni, distanze, influenze che giustificano la volontà di conoscere e comprendere il passato per uno scopo futuro.
Osservare le creazioni di Sonya Clark rende partecipi ognuno di noi a una storia che non per forza ci appartiene in prima persona, ma che è parte di dinamiche sociali che si vedono ogni giorno e di cui non si conoscono le origini. We are each other ricorda che ció che è stato prima ha creato il presente e quello su cui ci interroghiamo oggi può svelare chi ci ha resi quello che siamo.