Parlare delle opere di Louise Bourgeois mette in una condizione di rispetto e reverenza: ci si sente di troppo, quel terzo incomodo che entra in casa mentre lei è intenta a scrivere il suo diario, fare una telefonata con un familiare, piangere per la perdita di qualche caro.
In realtà, l’operato di Bourgeois si fonda su queste tematiche: la memoria, l’evoluzione del dialogo con i morti, il dolore per una perdita che si sentirà sempre come una condanna ingiusta. Molta parte del rapporto dell’artista con l’arte poggia sulla figura della madre, la cura dedicatale prima della sua morte, le occasioni mancate. La produzione di Bourgeois è segnata da un rapporto complicato con la propria famiglia a causa di varie esperienze traumatiche. Il corpus delle sue opere è una vera e propria indagine sul proprio inconscio e la psiche, alla ricerca delle ragioni con cui annientare la paura e l’indicibile. Nelle opere presenti nella mostra Do Not Abandon Me, curata da Sergio Risaliti e Philip Larratt-Smith, allestita presso il Museo Novecento di Firenze, quella fragilità a cui l’artista associa le emozioni di ansia, paura, senso di perdita sono ripercorse tramite disegni, sculture e acquerelli.
La mostra si articola nei due piani del Museo Novecento, ospitando più di cento disegni e alcune tra le sculture che affrontano le tematiche più importanti della sua produzione: nel chiostro di Michelozzo viene esposta la scultura in bronzo Spider Couple (2003), raffigurante una coppia di ragni, un unicum nella sua produzione artistica. Questo animale è una metafora molto forte all’interno del suo lavoro: l’artista afferma che la natura è essa stessa “una modalità di comunicazione”, motivo per cui tutto ciò che crea è “evocativo”, mai esplicito, come nelle sue opere.
In questo caso, la coppia di ragni in bronzo, esili filamenti che si incontrano in un grumolo nodoso al centro della loro struttura, è la rappresentazione della protezione data dalla madre o dalla donna, essere dall’intelligenza sofisticata, in rapporto a un compagno o i propri figli: il ragno offre protezione ai “cuccioli” portandoli per i primi momenti di vita sulla propria schiena, costruendo un rifugio che esce direttamente dal suo corpo e che diventa prolungamento del sé, a significare l’espansione dell’io nello spazio, al di là del proprio corpo. Questo gesto può diventare sia rifugio che trappola e l’artista è attenta a non marcare confini, mantenendo un’ambiguità di fondo tra le due condizioni.
L’esigenza di fare scultura nasce in Bourgeois da quello che lei definisce un vero e proprio rifiuto verso la liberazione dal passato: “se rifiutate di abbandonare il passato, allora dovete ricrearlo. È ciò che faccio sempre”. Un’altra opera che rappresenta l’ambiguità del rapporto madre-figlio è la Spider (2000) che conclude la mostra, presentata per la prima volta al pubblico: un ragno filiforme in bronzo che trattiene sotto di sé un uovo in marmo bianco. Questo elemento contenuto dalle zampe rigide dell’animale, che diventano quasi delle sbarre, non comunica tanto un gesto di protezione e di cura, quanto di ingabbiamento; una gabbia nel passato da cui preferiamo non uscire? Forse.
Vivere il presente, tramite il passato, da una cella che lo protegga dall’usura e che contenga a sua volta il simbolo della rinascita per eccellenza. L’uovo è, a livello cristiano, il simbolo della resurrezione: una metafora ancora potente, sopravvissuta ai grandi cambiamenti dell’arte, segno di un nuovo inizio. Bourgeois ce lo dice apertamente: la forte mancanza della madre, come figlia, la porta da adulta a non far suo questo sentire materno, non se ne sente degna o pronta.
L’uovo ingabbiato all’interno delle spire della madre-ragno è anche questo: un trattenere, in parte, un istinto primordiale che fossilizza la materia viva e feconda presente dentro al guscio e la costringe a rimanere eternamente in potenza e mai in atto. Questo è il lato oscuro del ragno: l’iper-protettività, l’apprensione per mantenere un equilibrio ormai frantumato, perché non ci apprestiamo a conoscere niente di meglio e abbiamo paura.
Attraverso la scultura Louise Bourgeois riesce a rivivere la sua paura, altro perno importante del suo lavoro; scolpendo, l’artista esorcizza questa emozione, racconta ciò che non è stato possibile narrare al momento opportuno, un trauma legato al corpo, alla fisicità e per questo reso tramite fluidi ed elementi corporali in cui la scultura e il corpo dell’artista si fondono in un tutt’uno. Che siano piccoli frammenti di una maternità in corso, placente ospitanti feti in gestazione, o interi corpi di stoffa color carne – Umbilical Cord (2003), il soggetto è esplicito ed evocativo al tempo stesso: una madre con il proprio figlio, un uovo che contiene in sé un essere vivente in potenza che, in certi casi, è già uscito e non possiamo vederlo, in altri è intrappolato nella rete della placenta, in altri ancora sosta all’interno della pancia della donna in attesa del tempo opportuno per uscire.
Teche, gabbie, coperchi, colini fittamente traforati, garze e nastri rappresentano questo rifugio-prigione e sono cuciti con suture visibilissime, quasi chirurgiche, al corpo della donna o a parte di esso. La rappresentazione della corporeità, infatti, non è necessariamente espressa nella sua interezza: Bourgeois si concentra ora sull’utero, ora sull’addome, oppure sui seni, elementi preponderanti non solo della sua scultura, ma anche delle sue gouache, contenitori e sacche che evocano dolore, rinascita o piacere, strumenti di attrazione e repulsione poiché rappresentano quella linea di confine tra il momento dell’estremo bisogno materno – l’allattamento, presente in alcune gouache del primo piano, aggressivo, mutante, impietoso – e quello del distacco che provoca un nuovo trauma nell’infante.