Louise Bourgeois a Firenze, per un “passato migliore”. Pt 2: Gabbie

Prosegue la nostra disamina di una delle mostre più interessanti dell’anno (Do Not Abandon Me presso il Museo del Novecento di Firenze) con un focus particolare sulla storia di Louise Bourgeois e l’analisi delle opere presenti alla mostra. Trovate qui la prima parte.

C’è un’altra opera che rappresenta la paura e il dolore in tutte le sue forme, Peaux de lapins, chiffons ferrailles a vendre (2006), una delle ultime rappresentazioni della serie Cells il cui nome gioca sui vari significati attribuibili a questa parola, in particolare, in italiano quello di cellula e di cella. Di nuovo siamo posti di fronte a un bivio: da una parte cellula è l’unità primordiale che costituisce tutti gli esseri viventi, dall’altra la cella è lo strumento di reclusione per eccellenza. Bourgeois crea quest’opera a partire da un ricordo d’infanzia legato alle grida dei raccoglitori di stracci; Peaux de lapins, chiffons ferrailles a vendre contiene oggetti che appartengono alla storia personale dell’artista: colli di pelliccia, sacchi di stoffa color carne, pelli di coniglio che rimandano agli involucri delle sale precedenti, quei sacchi e retine che contenevano il feto; sono tutti oggetti o opere già utilizzate, il cui cattivo uso, in alcuni casi – come ad esempio nella parte dedicata alle pelli di animale cacciate dalla famiglia – chiede comunque una seconda possibilità, di non essere scartati, ma restaurati e riparati.

<em>Peaux de lapins chiffons ferrailles<em> <em>a vendre<em> 2006

L’artista pone in una gabbia, a protezione o ingabbiate per non farle scappare nel presente, le sue carcasse. Lo spettatore si fa voyeur di una situazione di riutilizzo e ricostituzione del passato in cui oggetti e situazioni sono stati mal utilizzati, esposti a testimoniare la ricerca di un riscatto dall’ansia della paura e del dolore che attanagliano il soggetto. Da qui il loro senso di repulsione e attrazione. 

Le Cells infondono sicurezza rispetto all’esterno, perché proteggono con le loro grate, ma in che modo possono essere utili per comunicare con l’altro? Se è vero che l’essere umano è incline a creare delle situazioni in cui si sente a suo agio, e la recinzione è una delle forme di protezione tradizionali di questa ricerca, in che modo possiamo continuare a vivere se non abbiamo intorno a noi nient’altro che il fantasma del ricordo?

Vivere una vita aggrappati al passato è, dice Seneca nel De brevitate vitae, tanto sbagliato quanto viverla costantemente nell’istante, senza pensare a nient’altro che a quello che facciamo in quel momento, oppure proiettati perennemente nel futuro: non si vive la propria vita, ma si aspetta che accada. Vivere nel passato, allo stesso modo, preclude la possibilità di sperimentare il tempo dell’ora e quello del chissà. Bourgeois ci pone di fronte a una struttura con cui possiamo riflettere sul punto in cui noi, idealmente, sentiamo di trovarci: se siamo dentro e la porta è chiusa, siamo morti, ma riutilizzabili; se siamo fuori, ma guardiamo all’interno, siamo impauriti, voyeur che cercano di capire se hanno fatto bene a lasciare indietro quello che non potevano più avere, perché ormai si era esaurito, rapiti nel circolo vizioso della nostalgia.

L’artista propone una prova psicologica pesantissima allo spettatore: quanto tempo rimarrà a guardare quella gabbia? Quali domande si farà? Peaux de lapins, chiffons ferrailles a vendre vuole far emergere domande sul dolore, il trauma, la perdita. Una ferita costante che dagli acquerelli e dalle stampe delle sale precedenti continua a seguirci subdolamente e ci ricorda che il sangue che vediamo stampato a schizzi sulla tela o su carta non è necessariamente quello della deflorazione dovuta al parto o collegato al mestruo femminile, uno dei traumi primigeni la cui origine biblica, ad esempio, è collegata all’idea di colpa e tradimento, il trauma originario che insegue la donna da millenni. Ma ecco che l’artista risponde alla nostra domanda e ci ricorda che, laddove non sia possibile superare il dolore della perdita e si rimane ancorati in qualche modo al passato, ci si può trasformare in scultori e che per arrivare a questa definizione, bisogna passare per la via del disegno. 

I disegni di Bourgeois l’aiutano a “sopprimere l’indicibile” che è il motore del suo lavoro. Distruggendolo, fa un passo avanti verso la conservazione della memoria e l’esplorazione del passato, per la cui preservazione crea veri e propri musei e monumenti in memoriam: “quando mia madre è morta nel 1932, per tenerla con me (rifiuto assoluto di lasciarla andare) mi sono fissata con Antony – Rifiutando di spostarmi + venerando quel “museo” in sua memoria, e poi odiando gli invasori (inquilini) per anni sono rimasta ad Antony, dal 1932 al 1937, riparando, migliorando, struggendomi; quando mio padre è morto ho costruito a New York un monumento in sua memoria ricordando il bel tempo passato e rifiutandomi di lasciarlo andare; quando Robert è morto ho trasformato la casa in un museo rifiutandomi di far entrare chiunque”.

L’artista sembra ricalcare alla perfezione le parole del poeta Orazio “ho costruito un monumento più duraturo del bronzo”. Dalla morte della madre in poi, le due figure genitoriali non verranno mai lasciate andare, così come quella del marito Robert Goldwater; tenterà in tutti i modi di continuare a vivere con loro costruendo ambienti per la perenne celebrazione del passato. Una delle parole chiave di questa mostra – e della produzione dell’artista – è, insieme a memoria, “rifiuto”.

Bourgeois, rifiutandosi di lasciar andare i morti, costruisce per loro santuari mentali e fisici: rifiuta di lasciare il posto dove viveva con la madre, costruisce addirittura un museo in sua memoria che ha curato fino a quando ha potuto. Alla morte del padre ha costruito un altro monumento per non lasciarlo andare. Più che un monumento o un museo in senso moderno, siamo di fronte a un vero e proprio tumulo funerario, delle cells di cui l’artista sola è custode e frequentatrice. Il resto deve rimanere fuori perché, riprendendo le parole di Joan Didion in L’anno del pensiero magico: tutto quello che farò o dirò che avrà a che fare con il dopo la morte di un mio caro significherà validare che quella persona effettivamente non c’è più, mentre io in questo momento non posso e non voglio credere ancora di dover pensare a questa persona nei termini della morte come un evento irreversibile. 

Già da ragazza l’artista aveva accudito la madre malata cronica, eppure, da anziana rifiuta di essere madre, ma le sue opere non smettono di trattare il tema, lasciandole libere di esprimersi in una sorta di automatismo quasi surrealista dato dalla carta bagnata dall’acquerello.

Le gouache, prodotte negli ultimi anni di vita, intorno agli anni 2000, sono la rottura con la ricerca del controllo assoluto e della stabilità, una porta spalancata verso i temi del nutrimento, dell’abbandono, della nascita, dell’amore e, ancora, del rifiuto. Domina, in tutte le sue sfumature e gradazioni, il rosso.

Colore della passionalità, del dolore, del sangue, della vita, per Louise Bourgeois il rosso è tanto potente quanto ambiguo, perfettamente evocativo per le sue opere. Anche quando guardiamo un corpo in stoffa che ci sembra color carne, o osserviamo le miriadi di seni scolpite in marmo rosa, che si toccano e si scontrano e chiedono di uscire dal loro anfratto, avvertiamo la rievocazione del rosso primario. Nelle immagini bagnate dalla gouache l’artista si identifica con il neonato come in Pregnant Woman (2008), essere contenuto nell’uovo-rifugio-trappola. Allo stesso tempo, evoca immaginari femminili di fertilità e sviluppo legati anche al dolore, al sangue, al sacrificio: fiori, seni, gravidanze e volti sono fusi dalla sovrapposizione di strati di colore, intrappolate in una composizione a metà tra il voluto e il casuale (si veda, ad esempio, The Birth, 2008).

Ed ecco che Bourgeois diventa, pur non volendolo, madre dei suoi stessi cari, quel ragno che accudisce intrappolando l’uovo che dovrebbe schiudersi a nuova vita, quella mano che accompagna i piccoli volti ai numerosi seni che partono dal volto di donna al centro del foglio.

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