In collaborazione con l’artista Fernando Garbellotto, la mostra “Shelter Island,” che si è conclusa il 24 agosto nelle gallerie di Venezia e Mestre di Marina Bastianello, ha incluso un evento inaugurale in live streaming il 17 maggio presso l’Auditorium Cesare de Michelis nel Museo M9 – Museo del Novecento di Venezia, a Mestre. Luca Pozzi, attraverso questa esposizione, ci ha riportato idealmente a un evento cruciale avvenuto nel 1947 sull’omonima isola vicino a New York, dove alcuni dei più illustri fisici teorici dell’epoca, tra cui Richard Feynman, John Archibald Wheeler, Edward Teller, David Bohm, John von Neumann, Hans Bethe, J. Robert Oppenheimer e Freeman Dyson, si riunirono per affrontare le questioni fondamentali della meccanica quantistica all’alba dell’era atomica.
Pozzi, artista milanese noto per il suo approccio ibrido che fonde arte e scienza, esplora l’intersezione tra ricerca artistica e scientifica, non solo riportando in vita il leggendario vertice di Shelter Island del 1947.
In un dialogo che trascende spazio e tempo, Pozzi ci invita a riflettere sul valore della collaborazione e della comunicazione in un’epoca segnata da tensioni globali. Attraverso la sua opera “Rosetta Mission 2024”, che si sviluppa in un ambiente di realtà virtuale, l’artista crea un ponte tra passato e presente, rendendo accessibile al pubblico contemporaneo i temi cruciali del summit del ’47 e, di fatto, intessendo relazioni. Come diceva Robert Musil ne L’indecente e il malato nell’arte “Rappresentare qualcosa significa rappresentare le sue relazioni con cento altre cose […] E se anche queste cento altre cose fossero indecenti o malate: le relazioni non lo sono, lo scoprire relazioni non lo è mai”.
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Nella seguente intervista, Pozzi condivide le sue riflessioni sull’importanza di integrare arte e scienza, e su come il suo lavoro contribuisca a promuovere una visione ecosistemica della conoscenza.
La collaborazione con Fernando Garbellotto unisce due generazioni di artisti. In che modo questa interazione intergenerazionale ha influenzato il tuo approccio artistico e quali nuove prospettive ha apportato al progetto Shelter Island?
Ho sempre avuto un approccio ecosistemico alla ricerca, oltre quelli che sono i confini disciplinari che un po’ per convenzione un po’ per comodità adottiamo a livello sociale per definire chi siamo e quello che facciamo.
Se guardi alla “global picture” non sei mai veramente isolato e quello che fai ha sempre delle correlazioni a distanza con persone, fatti, luoghi ed eventi.
Nel caso di “Shelter Island” questo è piuttosto evidente sotto molti aspetti. In primis il fatto che la coordinata anagrafica degli ideatori e promotori del progetto non è per forza un fattore di discriminazione o un limite, anzi, nel caso specifico non solo ci è sembrato un vantaggio ma anche una condizione inevitabile.
È una mostra che si muove liberamente tra passato, presente e futuro e che connette diversi punti di vista: oltre a quello di tutti gli scienziati coinvolti, in primis il mio e quello di Fernando, che è un artista del ’55. Un precursore che a partire dagli anni ’80 ha sviluppato un’estetica della “Rete”, prima del World Wide Web, intesa proprio come idea del Mondo ed ispirata alle ricerche sui frattali di Benoit Mandelbrot.
La mostra si fonda sull’ibridazione di ricerca artistica e scientifica attraverso la Meta-Conferenza. Puoi spiegarci come questa forma innovativa di presentazione influisce sulla fruizione delle opere da parte del pubblico e quale messaggio intendi trasmettere attraverso questo formato?
L’idea di base è che l’esperienza che stiamo cercando di attivare è un’esperienza esplosa e rizomatica.
Un’esperienza che per esistere deve essere in grado di collegare tutte le orbite su cui si sviluppa e cresce in termini anche ipertestuali e tecnologici. Nel nostro caso questo ci è sembrato possibile attraverso l’incursione in linguaggi, formati e piattaforme aliene a quelle propriamente dell’arte contemporanea. Da una parte per non produrre un giochetto autoreferenziale e celebrativo, dall’altra proprio nel rispetto della natura della trama relazionale che a vari livelli si sta sempre più imponendo alla nostra attenzione. Una trama non lineare a cavallo tra fisica classica e quantistica dove mondi digitali e analogici si intersecano e dove l’informazione è finalmente libera di viaggiare fuori da certe “cornici” prestabilite.
In questi termini il “format” della Meta-Conferenza raccoglie i diversi contributi del progetto, che siano essi costituiti da “opere” classiche, da video game in virtual reality o da playlist di conferenze scientifiche, in un unico sistema che per sua natura, come dice sempre Fernando, sarà maggiore delle sue parti costitutive e che nel nostro caso abbiamo battezzato: Multi-Platform Exhibition for Peace.
In questo senso il vero “display” della mostra è la Meta-Conferenza, anche se appare contemporaneamente sul LEDWALL pubblico della Hybrid Tower di Mestre, all’interno delle Gallerie di Marina, presso l’Auditorium dell’M9 e su Youtube.
Il vertice di Shelter Island del 1947 riunì alcuni dei più grandi fisici teorici per discutere questioni fondamentali della meccanica quantistica. In che modo le opere esposte nella mostra riflettono queste storiche discussioni scientifiche e quale connessione vedi tra quei temi e le questioni globali contemporanee?
Le connessioni con le questioni globali contemporanee son tante. Come dice Fernando “ci sono moltissime similitudini con quanto sta accadendo in questi ultimi tempi: lo smarrimento che proviamo di fronte alla guerra, alle pandemie, all’incombente disastro ecologico ci debbono spingere ad accordare, ora più che mai, alla scienza il ruolo determinante ed indifferibile nell’affrontare il futuro.”
E sono d’accordo con lui, stiamo vivendo una specie di déjavù.
Gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso hanno gettato le basi per quello che sarebbe poi diventato uno dei massacri più terribili della storia dell’umanità. Un massacro culminato con la scoperta dell’atomo, della fisica quantistica delle particelle e della bomba atomica.
Oggi alle soglie di nuove rivoluzioni paradigmatiche come l’IA e l’urgenza di una transizione energetica, ci troviamo ad affrontare simili tensioni economiche, geopolitiche ed ideologiche. Tornare al ’47, nel giorno in cui gli scienziati leggendari del dopoguerra tra cui John Archibal Wheeler, Richard Feynman, John Von Neumann e J. Robert Oppenheimer, decisero di riconsegnare la teoria quantistica di campo alla ricerca pura e condivisa aldilà della strumentalizzazione bellica, ci è sembrato importante.
“Shelter Island” non è solo il luogo dove alcune persone nel ’47 hanno fatto una conferenza scientifica, è l’indice di salute di una comunità, è uno status mentale di apertura che sostituisce alla paura la voglia di capire meglio insieme.
In questo senso sia il formato della Meta-Conferenza che le opere stesse riflettono questo statement in modi e con strumenti molto diversi tra loro.
Delle sue Reti Fernando racconta: “prendono spunto dal concetto di sistema e dalla teoria dei nodi, vogliono testimoniare proprio questa tendenza simbolica all’unificazione delle teorie scientifiche ed all’unione e all’interdipendenza di tutto ciò che esiste in natura più in generale, come suggerito dalle teorie relazionali sostenute e magistralmente descritte da Carlo Rovelli”.
Ed è forse proprio Rovelli il collegamento che ci ha fatto conoscere e che ha portato alla realizzazione del progetto. Sono stato contattato da Fernando circa un anno fa proprio perché aveva letto un’intervista rilasciata da Carlo su il “Grand Continent” dove parlava anche di me. Un esempio di come la rete si sviluppi per vie traverse ed al tempo stesso una spiegazione del perchè mi è sembrato subito fondamentale chiedere proprio a Carlo di introdurre SHELTER ISLAND con un contributo video inedito incentrato sull’etica e sull’attivismo che impone la ricerca culturale a 360 gradi.
E tu invece cosa presenti, quali sono le opere che hai deciso di esporre? O è tutta la Meta-Conferenza ad essere una tua opera?
Solo in parte, nel senso che in alcuni casi alcune mie opere “contengono” letteralmente la Meta-Conferenza per come è stata concepita e da cui sono poi derivati i materiali che abbiamo utilizzato per la campagna di promozione del progetto. I contributi scientifiLci raccolti per esempio, provenienti da una serie di podcast del Perimeter Institute di Waterloo in Ontario, sono stati da me riadattati e teletrasportati su una cometa digitale in VR, una Game Engine chiamata “Rosetta Mission 2024” di mia creazione. Sulla “Rosetta Mission 2024” possiamo incontrare ed ascoltare Carlo Rovelli, Shoini Ghose, Roger Penrose, Raymond Laflamme, Katie Mack, Hilding Neilson, Savas Dimopulos, Pedro Vieira e Neil Turok, trasformati in particelle subatomiche.
A Mestre è possibile fare esperienza di quest’opera attraverso una video conferenza di 3 ore e 30 minuti riproposta in loop sullo schermo dell’Auditorium “Cesare De Michelis” del Museo del Novecento M9, ma anche sul mio canale youtube comodamente da casa propria, oppure tramite l’utilizzo di un visore Oculus Quest 3 installato presso la Galleria Marina Bastianello in modalità site-specific immersiva.
Sempre a Mestre sono esposte inoltre: 1) 5 “Third Eye Prophecy Marker” del 2021, composte da una serie di moduli in grado di tenere sospese a mezz’aria palline da ping pong magnetizzate e che, attraverso un applicativo di realtà aumentata, evocano sugli smartphone dei visitatori, sculture digitali geolocalizzate tra le scene affrescate dell’antico testamento all’interno della Cappella Sistina. 2) Una “Third Eye Prophecy Awake” (2024): ceramica policroma equipaggiata di un rivelatore di particelle. 3) L’ “Arkanian Leonardo” (2021) pensato come un esemplare di animismo tecnologico in grado di convertire la rivelazione di una particella subatomica in una parola ed ogni sedici rivelazioni comporre una frase, attraverso l’utilizzo di un’intelligenza artificiale, per poi condividerla su un profilo Telegram ed un sito internet dedicato (thearkanians.com/leonardo) abitato dall’avatar digitale della scultura pronto a declamare il messaggio attraverso una voce auto-generata dal browser.
Nella Sede di Venezia di Marina è protagonista una grande “Rete” rossa di Fernando in dialogo con un’altra mia “Third Eye Prophecy Awake” ed un’impronta tratta dalla serie “Quantum Gravity Cave Archive” del 2011 rappresentante proprio la sagoma lumiosa della mano di Rovelli da me mappata, con un tablet al fosforo, durante un Summit di fisica teorica al Consejo Superior de Invesigaciones Scientifica di Madrid.
Grazie Luca.
Dunque attraverso Shelter Island, Luca Pozzi ci ricorda che la vera innovazione nasce dall’incontro tra discipline diverse, dove il dialogo e la collaborazione diventano le forze motrici per affrontare le sfide del presente e del futuro. È nel connettere i punti tra passato e presente che possiamo costruire un domani più consapevole e unito.