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Ci sono immagini che catturano l’istante e lo rendono eterno. E poi ci sono fotografie che aprono un dialogo: con chi le osserva, con il tempo che passa, con il mondo che cambia. È questo il filo conduttore di MIA Photo Fair BNP Paribas 2025, la più importante fiera italiana dedicata alla fotografia d’arte, che torna dal 20 al 23 marzo al Superstudio Più di Milano con un tema tanto vasto quanto affascinante: “Dialoghi”.
Un concetto che si declina in molteplici sfumature: il confronto tra passato e presente, tra uomo e natura, tra realtà e intelligenza artificiale. Ma la fotografia, in fondo, è sempre un dialogo: tra l’artista e il soggetto, tra l’immagine e chi la guarda.
Girando tra gli stand, la sensazione è quella di essere immersi in un racconto visivo in cui il tempo si sospende, il paesaggio si trasforma e il concetto stesso di fotografia viene messo in discussione.

“Viviamo in un mondo in costante movimento, ma la fotografia ha il potere di fermarlo. È questo che cerco nelle mie immagini.” Scrive Massimo Vitali
Questa riflessione di Massimo Vitali sembra risuonare in molti degli artisti presenti quest’anno. Nel progetto “Sospesi”, curato da Serena Tabacchi e presentato dalla Galleria Maison Bosi di Roma, la fotografia diventa un atto di sospensione. Insieme a Jacopo Di Cera, Vitali esplora la capacità delle immagini di fermare l’istante e di osservarlo da una nuova prospettiva.
Da un lato, Vitali scatta da una piattaforma di cinque metri, osservando dall’alto il brulicare di vite nelle sue celebri scene di spiaggia. Dall’altro, Jacopo Di Cera utilizza il drone per catturare il mondo con una visione zenitale, trasformando le persone e i paesaggi in composizioni geometriche. “Il mio sguardo non è mai giudicante. È un invito a osservare il mondo da una distanza che permette di capirlo meglio”, dice Jacopo Di Cera.
Due visioni opposte, ma sorprendentemente complementari: l’uomo che si eleva sopra la folla e quello che si affida alla tecnologia per guardare dall’alto. Due modi di raccontare la sospensione del tempo, diversi eppure vicini.

Ma se la fotografia può fermare il tempo, può anche farci riflettere sul suo scorrere inesorabile. È il caso dell’installazione immersiva “Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”, realizzata da The Astronut Studio e curata da Clelia Patella.
“Non è solo un’opera d’arte. È un monito. Il ghiacciaio si scioglie davvero, e noi possiamo fare qualcosa”, ci racconta l’artista.
Esposta nella FOREIGN SECTION – FOCUS SVIZZERA, l’opera porta i visitatori in un viaggio nel futuro del Ghiacciaio Aletsch, il più grande delle Alpi, destinato a scomparire. Grazie alla tecnologia 3D e AI, il pubblico può interagire con l’installazione: pronunciando la frase “Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”, è possibile rallentare virtualmente la fusione del ghiaccio. “Vogliamo che le persone sentano il peso delle loro parole, perché ogni azione ha un impatto sul pianeta.”
In questa visione, il ghiacciaio non è solo una massa di ghiaccio: è un organismo vivente, un ecosistema in cui molecole, licheni e batteri collaborano per mantenere l’equilibrio. E il pubblico, con un semplice gesto, diventa parte di questo ciclo vitale.
Questa interazione tra uomo e natura è un altro dei grandi dialoghi della fotografia contemporanea: possiamo ancora permetterci di essere semplici spettatori, o è tempo di agire?

Se la fotografia può sospendere il tempo e raccontare il fragile equilibrio della natura, può anche ridefinire i confini della realtà stessa. Lo dimostra il progetto “Dialoghi Uomo-Macchina”, curato da Chiara Canali.
“L’intelligenza artificiale non è solo un mezzo. È un nuovo linguaggio visivo”, dichiara la curatrice.
L’AI non è più solo un supporto per i fotografi, ma un vero e proprio autore. Può generare immagini, modificarle, trasformarle. Ma allora, cosa resta del fotografo? “L’AI ci mette di fronte a una domanda scomoda: cosa è reale e cosa non lo è più?” spiega ancora Chiara Canali.
Questa riflessione attraversa l’esposizione, che raccoglie le opere di cinque artisti italiani, già protagonisti della mostra “L’opera d’arte nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale” al PARMA 360 Festival. Tra loro, Davide Maria Coltro e Vincenzo Marsiglia, pionieri del digitale, e giovani artisti come Andrea Crespi, che esplorano il confine tra reale e artificiale.
Un tema che si lega in modo sorprendente anche ai lavori di Massimo Vitali e Jacopo Di Cera: la fotografia è sempre stata un mezzo per alterare la realtà, scegliendo cosa mostrare e cosa nascondere. Ma ora, con l’AI, la questione si fa più profonda: fino a che punto possiamo ancora fidarci di ciò che vediamo?

In questo panorama si inserisce anche Aldo Salucci, ospite di A-More Art Gallery Milan, con il ciclo “On the Nature of Things“. Le sue opere ipotizzano uno scenario autonomo e futuribile, in cui la natura si riappropria dei suoi spazi dopo l’assenza dell’uomo. Le immagini di Salucci evocano un mondo in bilico tra inerenza e disorientamento, nostalgia e pienezza. In un’altra serie, l’artista esplora la fragilità umana, rappresentando cellule viste al microscopio come paesaggi cosmici. Le “ferite” presenti nelle immagini vengono ricucite con polvere d’oro, ispirandosi al kintsugi giapponese, un invito ad accogliere le proprie cicatrici come elementi di forza e rinascita.
L’artista diventa custode di memoria e guida verso nuovi orizzonti, ricollegando passato, presente e futuro. L’arte, contro l’appiattimento tecnologico, si fa gesto rivoluzionario, riaffermando l’immaginazione come strumento per riscrivere la realtà e riscoprire la nostra umanità.

La fotografia si evolve e si trasforma, ma c’è chi sceglie di restare fedele alla sua essenza più pura. Piero Gemelli, architetto di formazione e fotografo di fama internazionale, ha sempre cercato un punto di equilibrio tra tecnica ed emozione.
“Oggi la fotografia corre veloce, tutto è digitale, tutto è modificabile. Ma la bellezza resta. E io voglio continuare a cercarla”, ci racconta l’artista.
Le sue immagini, che ricordano la classicità delle statue greche, si contrappongono alla velocità dell’AI e alla caducità della natura. Ma anche Gemelli, nel suo lavoro, parla di sospensione del tempo: le sue donne sembrano scolpite nella luce, eterne eppure sfuggenti.
“La bellezza è un punto di equilibrio tra imperfezioni. È l’armonia delle forme, non la loro rigidità”, ci dice ancora Gemelli.
Ed è proprio qui che il cerchio si chiude: che sia attraverso la tecnologia, la natura o la luce, la fotografia è sempre una ricerca dell’istante perfetto, quel momento in cui il tempo si ferma e il dialogo diventa eterno.
La fotografia può essere memoria, denuncia, sperimentazione. Può essere una finestra sul passato o una porta sul futuro. Ma in ogni scatto, in ogni progetto, c’è sempre un dialogo. E la domanda che ci lascia è semplice, ma fondamentale: cosa resterà, quando tutto cambierà?