Sei anni dopo l’onda d’urto di Parasite, Bong Joon-ho torna a sondare le profondità dell’animo umano con Mickey 17, un’opera sospesa tra la metafisica dell’identità e l’allegoria sociale. L’opera, tratta dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton, attraversa un percorso accidentato: girato nel 2022, arriva sugli schermi solo dopo un’attesa tormentata, quasi fosse il frutto di un’inesorabile reincarnazione. Ma valeva l’attesa? Assolutamente si.
La fantascienza, per Bong Joon-ho è una lente d’ingrandimento sulle storture del presente. Mickey 17 si inscrive perfettamente in questa traiettoria, trasportandoci in un futuro dove l’umanità, in cerca di salvezza, ha ridotto l’individuo a una mera funzione accessoria. Il protagonista, Mickey Barnes (Robert Pattinson), è un “sacrificabile”: cloni umani inviati su un pianeta da colonizzare, sottoposti a missioni suicide e riportati in vita grazie a una stampante biologica che conserva ricordi e personalità. Ma cosa succede quando due copie si trovano faccia a faccia? Cosa rimane dell’identità quando il sé diventa duplice, quando la morte è solo un intervallo tra una versione e l’altra? Bong Joon-ho affronta il dilemma con il suo consueto sguardo cinico e grottesco, mescolando satira politica e dramma esistenziale.

L’anima del cinema di Bong Joon-ho risiede da sempre nella sua abilità di innestare la critica sociale in narrazioni vibranti e beffarde, dove gli oppressi sono giocattoli nelle mani dei potenti. Con il suo sguardo, il regista sudcoreano trasforma Mickey 17 in una riflessione grottesca sui fantasmi della contemporaneità. L’opera lambisce tematiche brucianti come la sovrappopolazione, il disastro climatico, l’ascesa dei populismi e le iniquità generate da un capitalismo famelico, tracciando un parallelismo tra i cloni del protagonista e il moderno proletariato, costretto a ripetersi in un eterno ciclo di sfruttamento.
É presente tutto il suo cinema con le sue ideologie: il conflitto di classe, la natura mostruosa dell’uomo, con la sua capacità di sopravvivere al proprio orrore. E poi un paese sull’orlo del collasso, un’America futura sfigurata dal capitalismo più predatorio, una burocrazia che regola persino la rinascita, un protagonista che attraversa la sua condizione con ironica rassegnazione.

Visivamente, Mickey 17 è sontuoso. La fotografia di Darius Khondji gioca con luci fredde e ambienti asettici, rendendo il futuro un luogo privo di calore umano. La regia di Bong Joon-ho è affilata, capace di alternare il sarcasmo a momenti di pura angoscia esistenziale. Mark Ruffalo, nei panni di un politico trumpiano iperbolico, divora la scena con un’interpretazione che sfiora il farsesco, ma senza mai scivolare nella caricatura fine a sé stessa. Pattinson, da parte sua, offre una prova magistrale. Il suo Mickey è un uomo costantemente in bilico tra la ribellione e la rassegnazione, tra il desiderio di essere più di un numero e la consapevolezza di essere sostituibile. La sua interazione con la propria copia è al tempo stesso tragica e surreale, un duello identitario che Bong Joon-ho amplifica con la sua regia precisa, trasformando ogni sguardo, ogni pausa, in un territorio di conflitto.

Mickey 17 non si accoda al pessimismo soffocante della fantascienza distopica contemporanea. Bong Joon-ho apre una fenditura luminosa nel suo impianto narrativo: un varco attraverso cui filtra la possibilità di un riscatto. Se il mondo di Mickey 17 è costruito sullo sfruttamento e sulla riproduzione seriale dell’individuo, il film non si accontenta di fotografare questa condizione con rassegnazione. Al contrario, la sua forza sta nel suggerire che il sistema, per quanto onnipotente e autoreplicante, può essere incrinato.
Non si tratta di un’illusione ingenua, ma della consapevolezza che anche nelle strutture più monolitiche del potere si nasconde la possibilità di un’imperfezione, di una deviazione. Mickey 17 non profetizza un futuro sigillato nella disperazione. Non fotografa il presente con asserzioni plumbee e ineluttabili. Bong Joon-ho concede uno spiraglio di speranza, dove il pensiero critico resiste e si insinua nelle crepe del sistema.