Il nostro giornale è stato il primo a rivelarlo, il 29 settembre scorso (Banksy a Venezia, Sgarbi troverà i soldi per salvare il “Bambino migrante”): il murale di Banksy, da anni lasciato all’incuria e al deterioramento causato da piogge, umidità e acqua alta, sarà salvato. Grazie a Sgarbi e a una fondazione privata (il cui nome sarà rivelato solo domani in conferenza stampa, ndr), che, sollecitata proprio dal sottosegretario ai Beni culturali, metterà a disposizione i fondi necessari al restauro.
Era stata proprio la proprietà del palazzo in Rio Novo su cui, nella notte tra l’8 e il 9 Maggio 2019, Banksy realizzò illegalmente il suo murale, a sollecitare le istituzioni perché uno dei due soli lavori dell’artista presenti in Italia (l’altro si trova a Napoli, ndr) venisse salvato. E, di fronte ai silenzi e ai tentennamenti della Sovrintendenza, che aveva dichiarato di non avere alcuna competenza in materia in quanto “il codice dei beni culturali assegna alla Sovrintendenza la tutela sulle opere con più di settant’anni e non di autore vivente”, aveva sollecitato un intervento del sottosegretario ai Beni culturali con delega all’arte contemporanea, Vittorio Sgarbi, affinché il murale non andasse definitivamente perduto.
Intervento che è prontamente arrivato. In una serata a Villa Fustenberg a Mestre, nella quale, come in un romanzo di Agata Christie, si erano ritrovati insieme, per l’inaugurazione di un parco di scultura contemporanea, lo stesso Sgarbi, il sovrintendente di Venezia Fabrizio Magani, il sindaco Luigi Brugnaro e il governatore Luca Zaia, la quadra “è stata trovata”. “Sgarbi non perde tempo”, aveva commentato il sottosegretario al nostro giornale la sera stessa dell’inaspettata riunione. “Dove c’è da intervenire per salvare un’opera d’arte, interveniamo”.
Ora, a oltre quattro anni dalla realizzazione del murale, dopo tre piene d’acqua alta e un’infinità di piogge, salsedine, umidità e agenti atmosferici d’ogni tipo, che hanno già fatto ampiamente scolorire e deteriorare buona parte dei colori originari dell’opera, i lavori di restauro per mettere in sicurezza l’opera potranno dunque finalmente avere inizio.
A sollecitare un intervento del sottosegretario era stato, come avevamo già rivelato alcuni giorni fa, in un articolo uscito sul “Gazzettino di Venezia” il 26 settembre a firma di Tiziano Graziottin, l’avvocato veneziano che rappresenta la proprietà del palazzo, Jacopo Molina. Che oggi dichiara al nostro giornale: “Siamo soddisfatti. È un primo passo per salvare dal degrado un’opera d’arte che va tutelata, non a fini speculativi ma per il bene della città e dei suoi abitanti”.
Avvocato, una prima vittoria, finalmente. Da quanto tempo auspicavate un intervento delle autorità per salvare il “Migrant Child”?
Guardi, la proprietà (un gruppo di imprenditori padovani, ndr) si è mossa fin dalle prime settimane dopo che l’opera è apparsa sul muro del palazzo. Il murale è del 9 maggio 2019, e noi già il 6 giugno 2019, dunque a neanche un mese dalla scoperta dell’opera, scrivevamo alla Sovrintendenza affinché – come si legge appunto nell’istanza –“nell’attesa di prestare le necessarie opere di restauro e di valorizzazione”, “risultando l’opera estremamente vulnerabile agli agenti atmosferici e soprattutto a possibili atti vandalici”, la proprietà fosse autorizzata “a installare un pannello trasparente in plexiglass a protezione di detta opera”.
Risultato?
Nulla. Anzi, va detto che la Sovrintendenza, a suo tempo, probabilmente come atto dovuto, fece addirittura una denuncia per imbrattamento. Denuncia che venne in seguito archiviata, evidentemente proprio in virtù delle qualità dell’opera e della notorietà dell’artista. Il che non fa che confermare la tesi che noi, come proprietà del palazzo, abbiamo sostenuto fin dal principio: essendo un lavoro di un artista riconosciuto a livello internazionale, l’opera accede di diritto all’articolo 10 del Codice dei Beni Culturali (che riconosce come appartenenti ai Beni Culturali “le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”, anche se non di proprietà dello Stato, ndr). E dunque, come tale, va tutelata e preservata”.
Avvocato, una domanda: non avreste potuto semplicemente fare come hanno fatto a Napoli, con l’altra opera di Banksy presente in Italia, la “Madonna con la pistola”, ovvero metterci su una bella teca di plexiglass per conto vostro, senza bisogno di aspettare che si muovesse la Sovrintendenza?
No, perché altrimenti avremmo potuto incorrere in un illecito, perché il palazzo è vincolato. Dunque per qualsiasi intervento sulla facciata è necessario il nulla osta della Sovrintendenza…
Che però non è mai arrivato.
Esatto. E nel frattempo ci sono purtroppo stati, oltre al normale avvicendamento di fenomeni metereologici quali piogge, umidità e salsedine, anche diversi episodi di acqua alta, compreso quello, drammatico ed eccezionale, del 12 e 13 novembre 2019… tutto ciò non ha fatto che peggiorare in maniera sensibile lo stato di conservazione dell’opera, che pano piano ha perso molta brillantezza e in alcuni dettagli, come il fumo rosa del razzo di segnalazione, ha perso quasi interamente gli stessi colori originari.
Poi cos’è successo?
Purtroppo nulla, fino a che – è storia di questi giorni – non si è mosso “Il Gazettino di Venezia”, tramite il redattore capo Tiziano Graziottin, a riportare l’attenzione mediatica sul caso. Peraltro non sollecitato, quindi a mio parere dimostrando una grande sensibilità per la città e la cittadinanza. E a quel punto finalmente le acque hanno cominciato a muoversi…
Ed è intervenuto Sgarbi, come abbiamo raccontato nel nostro articolo del 29 settembre, avocando a sé la questione in quanto responsabile della Direzione di arte contemporanea del Ministero. Con una Fondazione privata a fare da sponsor, e la Sovrintendenza a vigilare sul corretto svolgimento dei lavori di restauro, in quanto l’edificio è tutelato. E voi, in quanto proprietà, responsabili dei lavori...
Certamente. Noi faremo la nostra parte, non chiediamo altro, del resto il restauro è quello che avremmo voluto fin dall’inizio.
Ma di che tipo di restauro si tratterà? Non c’è il rischio di un intervento invasivo o addirittura di uno strappo dell’opera dal suo contesto originario?
Guardi, le posso dire che la proprietà ha sempre caldeggiato un intervento che rispettasse l’integrità dell’opera e il suo contesto: il che significa un intervento che possa lasciare l’opera al suo posto, che è un luogo di grande visibilità e fruizione da parte del pubblico, perché il luogo è evidentemente stato scelto da Banksy in maniera strategica, proprio perché di grande passaggio. Banksy si dimostra, in questo, un artista molto attento alle questioni di fruibilità del suo lavoro. E noi intendiamo rispettarlo.
Quindi mi conferma che l’intento della proprietà non è speculativo, volto cioè a decontestualizzare e magari commercializzare l’opera, ma di tipo pubblico, per non privare la cittadinanza di un’opera importante per il contemporaneo?
Glielo confermo assolutamente. A meno che – questo lo stabiliranno i tecnici incaricati delle perizie sullo stato di conservazione dell’opera – non si manifestassero delle necessità di conservazione diverse da quelle della semplice copertura dell’opera, per evitare il rischio che l’opera vada completamente distrutta, la proprietà è assolutamente per la conversazione in loco, e per favorire il più possibile la fruizione e la visibilità da parte del pubblico. Per rispettare la volontà dell’artista e la fruizione da parte del pubblico.
A qualcuno è però venuto il dubbio: non è che, con un “valore aggiunto” come questo, la proprietà potrebbe essere interessata a vendere l’immobile?
Questo glielo posso dire con certezza: la volontà principale è quella di mantenere la proprietà dell’immobile. Poi, qualsiasi ipotesi può essere tenuta in considerazione. Arrivassero delle proposte, non escudo che possano essere valutate. Ma anche in un caso, del tutto ipotetico, come questo, esigeremmo delle precise garanzie sull’effettiva visibilità dell’opera da parte del pubblico.
Ma ci dica la verità, avvocato: avete sempre pensato che si trattasse di un’opera d’arte, o in un primo momento la proprietà aveva visto l’opera come un imbrattamento “qualsiasi”, un graffito magari da cancellare per ripristinare il decoro dell’immobile?
Fin dal primo momento, ci si è resi conto che si trattava di un’opera molto particolare, e il riferimento alla possibilità che fosse di Banksy è stata quasi immediata. No, glielo posso garantire: non l’abbiamo mai visto come imbrattamento. Semmai, come una sorta di decorazione di alto livello, con in più un messaggio sociale molto forte, di una Venezia che è entrata definitivamente nel nuovo millennio… un valore aggiunto per la città, per la cittadinanza e per chiunque, italiano o straniero, venga in visita a Venezia.