L’Urlo sta a Munch come la Gioconda sta a Leonardo e il taglio a Fontana. Sono opere conosciutissime anche se non le abbiamo mai viste. Su Munch, poi, si è ripetuto spesso quello che si è sentito in giro. Allora, per non aggiungere altro a un vaso che trabocca, sarebbe opportuno visitare la mostra a Palazzo Reale di Milano “Munch – Il grido interiore” (aperta fino al 26 gennaio 2025), e iniziare dalla fine, da quando nel 1908, a 45 anni, dopo una crisi psichica acuta Munch si fa ricoverare in una clinica all’avanguardia. A quell’epoca l’elettroterapia rappresentava l’ultima novità scientifico-terapeutica: l’elettroshock proposto al paziente per “disintossicarlo” da lavoro, donne, fumo e alcool, lo guarisce completamente e, come lui stesso scrive: “adesso niente tabacco, niente alcol, niente veleni e niente donne” e io aggiungerei niente più Munch.
Questa breve storia ci racconta la condizione dell’artista e la concezione sociale della sua arte, relegata a disturbo patologico, scaturito dallo sfortunato vissuto personale, ma questa lettura è riduttiva oltre che deteriore.
Munch è un artista veggente, colto, elegante e raffinato, dalla salute cagionevole, certo, sfortunato, pure: ha perso prematuramente la madre e l’amatissima sorella, irretito in relazioni amorose tormentate, ma l’Europa di quel periodo era disseminata di sciagurati, funestata da amori inquieti e censurati, come quelli descritti da Emily Brontë in Cime Tempestose o nelle liriche di Baudelaire. Poi si ascoltava la musica tubercolotica di Chopin e di Paganini, si studiava la sofferta filosofia di Kierkegaard e Nietzsche, si leggeva della bella e nuova scienza psicanalitica di Freud, questi mondi Munch li ha conosciuti, ha vissuto in Francia e a Berlino, ha avuto vocazioni sociali: prendendo parte a comunità di intellettuali e insieme credendo che arte e letteratura possono cambiare le condizioni psicologiche e politiche dell’uomo. Ha studiato le immagini, la forma e si è appassionato alla visione dei colori di Von Helmholtz. Il suo era più mal d’universo che una sfortunata infanzia.
La pittura di Munch, dice Giulio Carlo Argn, “non deve significare ma deve esprimere”. Attraverso la pittura Munch ha conosciuto e nascosto l’esistenza nel colore, oltre i margini, oltre il disegno, oltre la pittura stessa fino alla musicalità di un urlo, che come un taglio sulla tela afferra e supera l’esistenza. Da lui scaturiranno molteplici tendenze, non solo artistiche, ma anche letterarie come La Nausea di Sartre, il Viaggio al termine della notte di Celine la poesia di Montale, il colpo di pistola alla tempia di Hemingway, e di molti altri che son passati e passeranno sempre così vicini a tradire il loro ultimo segreto.
In copertina: Edvard Munch, Madonna, 1895/1902, litografia stampata a colori, 60,5×44,3. Foto © Munchmuseet