‘O cane, la cartografia “utopica” nel romanzo distopico di Luigia Bencivenga

“La pianta della città era chiamata un tempo ritratto di città. Il ritratto di un individuo e quello di una città pongono in effetti problemi simili riconducibili tutti alla questione della città come individuo”.

Il perché Luigia Bencivenga per il suo romanzo ‘O cane, menzione speciale al premio Calvino 2023, abbia disegnato la mappa di Ilias una città inesistente, è forse da cercare proprio in questo virgolettato di Louis Marin, che rubo da un testo del 1981, scritto per un convegno sull’urbanistica.

Luigia Bencivenga

La trama si svolge in dieci giorni, gli accadimenti principali sono distribuiti in soli due, il 16 e il 17 di giugno, con un intreccio che di tanto in tanto rimanda a flashback esplicativi e in cui si delineano sofferenze, torture, scandali apparentemente nascosti, amori tormentati, azioni che conduco spesso il lettore alla riflessione sull’incomunicabilità e l’incomprensione. 

Le coppie dialogiche umano/umano, umano/cane e cane/cane dove l’umano, pur conoscendo il proprio destino, decide di distruggerlo mentre un cane avvertendo il pericolo con l’istinto tenta di porne rimedio. 

Risulta incredibile come si abbia l’impressione, ad un certo punto della lettura, che tutto quello che sta accadendo ad Ilias possa essere tranquillamente reale, pur non avendone immediata percezione, perché il racconto è pieno di dolore inumano, di vite imperfette di esistenze al limite tra il reale e il surreale, come in un film del 1932 di Tod Browning.

La stilizzazione manieristica nella descrizione dei soggetti, autorizza l’autrice a trattarli nel modo che più preferisce, generando umani che hanno le sembianze di mostri, sottoponendole al peso di un racconto crudo, violento e disturbante. 

La vita di uno dei due protagonisti, Figlio delle Stelle, è misera, per guadagnare fa un lavoro che nessuno farebbe, trasporta in auto e sulle proprie spalle i morti dall’obitorio alla famiglia di appartenenza per l’ultimo saluto. Per ragioni che vedono coinvolta la madre ed un facoltoso professore che ha una villa in via Belvedere, non vive nelle Case Rosse, dove per selezione sarebbe dovuto capitare, ma in una tenda putrida in Cala Renella, luogo rifugio dal mondo esterno, nato per volere del Vecchio sfruttando la precedente esistenza di una comune decaduta.

Il libro scorre veloce, trascinato dalla curiosità per gli accadimenti, il ritmo narrativo è incalzante e i dialoghi hanno uno stile schietto e innovativo che sprona alla lettura e alla curiosità. Tornando alla nota virgolettata introduttiva, in cui sui cita Louis Marin, le tensioni della psiche che strutturano il racconto nella costruzione del testo di Luigia Bencivenga, si dispiegano e si concretizzano nei quartieri di Ilias, luogo sperduto negli ampi spazi dell’immaginazione.

Per fissare questi spazi, nel tentativo (riuscito) di dare coerenza al testo, la scrittrice di Castello di Cisterna, ha disegnato su una parete del bagno una mappa 2 metri x 4, con la descrizione cartografica della città scenario: il carcere Dostoevskij che sovrasta la città, la collina dei voyeur, le Case Rosse, via Belvedere, l’isolata Cala Renella vicina al mare infinito e con i suoi dieci container numerati ed abitati da persone selezionate, connotate da evidenti segni di decadenza.

Rappresentazione dellisola di Utopia di Tommaso Moro

“Questa architettura urbana totalizzava e gerarchizzava a un tempo una topografia (articolazione di luoghi e di spazi), uno spazio politico e una dinamica economica. La cartografia della città, nei suoi luoghi e nei suoi spazi, si identificava con un progetto politico-economico” insiste nel suo scritto del 1981 Marin, riferendosi a Utopia di Tommaso Moro, ma è quello che poi ritroviamo in ‘O cane, nella sua trama viziata dal supporto della mappa che stimola la suddivisione sociale e la descrizione dei suoi abitanti.

Nel ”progetto politico-economico” di Luigia Bencivenga, via Belvedere è la zona ricca, del potere, le Case Rosse la zona popolare, della povertà, Cala Renella una zona franca, esclusiva, in cui si sceglie di scomparire, una via di mezzo tra la vita e la morte. Nella mappa Cala Renella, sembra essere una sorta di purgatorio, posizionata qualche livello più in basso rispetto a tutto il resto, tra il mondo immaginato e il mondo reale.

L’autrice visionaria, disegnando la geografia di Ilias un luogo, costruisce uno spazio parallelo, sovra-reale, che però costituisce a tutti gli effetti uno specchio del reale. Quello che descrive nella sua mappa è un riflesso del possibile o di ciò che è compreso nel range delle possibilità della realtà.

Louis Marin

In tal senso merita spazio un’ultima riflessione, sempre dialogando teoricamente con Louis Marin, il quale ci riferisce che  “nell’Utopia di Tommaso Moro – che fu un best-seller del XVI secolo – La ‘realtà’ della città si trova simultaneamente affermata e denegata”, nel senso che la città descritta nella cartografia di Utopia, è la scrittura o affermazione di un progetto politico ed economico perfetto e “la totalizzazione cartografica significava la realizzazione completa del progetto utopico. Detto altrimenti, essa significava la sua scomparsa”, per imperfezione della stessa mappa; per sintetizzare, la mappa come mezzo per idealizzare qualcosa di perfetto, di non esistente e impossibile, diventa uno strumento che allontana dalla realtà.

Al contrario, in riferimento al testo della Bencivenga, possiamo affermare che la mappa come mezzo per idealizzare qualcosa di inesistente, ma imperfetto e quindi possibile, diventa uno strumento che avvicina alla realtà. La mappa disegnata diventa il tramite concreto per un percorso coerente, la narrazione, talmente violenta da sembrare surreale nel suo impatto visionario, descrive invero una realtà allucinata, priva di grazie, come la realtà marginale delle periferie metropolitane. 

Tra abbandono sociale e cani randagi, Ilias è una realtà amara e oscura, in cui il “cane buono” Garryowen ha una funzione curativa per il pensiero umano e al quale viene concessa la riflessione centrale del senso di questo romanzo, quando con gli occhi sembra dire “Fermati, facciamo che finisca pure questa giornata di merda, per dormire come cuccioli, russare senza pudori, sognare da signori e svegliarsi docili, come se nulla fosse accaduto”. 

La storia di Garryowen è commovente.

L’epilogo è liberatorio, definitivo e concede al lettore una visuale a volo di uccello su quella città immaginaria ma disegnata sul muro di un bagno, malata e imperfetta. Città che probabilmente rappresenta qualsiasi agglomerato urbano e non uno in particolare e in cui il problema sembra essere l’umanità, la sua tendenza autodistruttiva, determinata a seconda del contesto, ma condivisa nei differenti livellii sociali.

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