Olga de Amaral: tra tessuto, colore e spazio. La prima retrospettiva dell’artista in Europa

Olga de Amaral, 1932 Bogotà, avanguardista e pioniera dell’astrazione degli anni Settanta, le sue opere tessili sono dialoghi tra colore, geometrie e spazio. 

Ripercorrere la carriera di artiste e artisti affermatə, dà l’impressione di districare un gomitolo intervallato da nodi: in ogni biografia si intrecciano rimandi a luoghi, eventi e persone, connessioni che spesso aiutano ad avvicinarsi alle loro opere. In occasione della prima retrospettiva europea dedicata a Olga de Amaral, è la Fondation Cartier di Parigi a confrontarsi con la sua storia e con il suo universo creativo, presentando duecento sue opere, molte delle quali mai viste al di fuori di Colombia e Stati Uniti. 

Olga de Amaral Fondazione Cartier © Cyril Marcilhacy

Dopo un’infanzia trascorsa nella tranquillità della casa colombiana, e in seguito alla formazione in architettura, nel 1954 Amaral si trasferisce in Michigan dove si interfaccia per la prima volta al medium del tessuto, elemento protagonista della sua carriera. Al termine degli studi torna nel paese natale, per consolidare la pratica e intraprendere un lavoro che si rivelerà visionario e fertile. Negli anni la sua ricerca evolve costantemente. Iniziata con l’uso del tessuto nel design, nel 1955 fonda un’impresa tessile che utilizza fibre miste, lino, cotone, crine di cavallo e manodopera locale, per realizzare tappeti e oggetti di arredamento. Successivamente lancia una linea di abiti ispirati ai costumi popolari colombiani. 

Capace di reinventarsi in nome della libertà espressiva, è solo nel 1960 che viene riconosciuta come una delle principali artiste della Fiber Art  – nouvelle Tapisserie in Europa – un movimento che rivendica l’autonomia artistica delle opere tessili, rispetto alla dimensione decorativa e artigianale. 

Anche se apprezzata a livello internazionale, la celebrità di Olga resta ancora oggi principalmente limitata alla Colombia e al Sud America, poiché il tessuto considerato un’arte minore in rispettiva alle discipline tradizionali.

La Mostra

La curatrice Marie Perennès e l’architetta Lina Ghotmeh pensano la mostra Olga de Amaral su due assi: l’evoluzione della pratica dell’artista e il suo legame con la Colombia. L’evento, visitabile fino al 16 marzo a Parigi, è particolarmente significativo per la Fondazione non solo perché segna la prima personale di Amaral in Europa, ma anche perché rappresenta l’ultima mostra nella storica sede Cartier, che a fine 2025 si trasferirà a Place du Palais-Royal, nel 1° arrondissement.

Una monumentalità quieta. Entrando nell’alto spazio vetrato della Fondazione lo sguardo è attratto da Muro en rojos (1982), una tra le opere strutturalmente più impegnative di Olga. Realizzato con lana e crine di cavallo, il muro è composto da drappi rettangolari monocromatici dalle tinte calde, di spessore e lunghezza variabili, cuciti uno a uno su un supporto di cotone. In questo primo ambiente, che si apre sul giardino, la disposizione delle opere è concepita per creare un legame tra spazio interno ed esterno. I diversi muri di tessuto evocano un paesaggio che rimanda alle facciate delle tradizionali abitazioni colombiane, alle montagne rocciose, alle valli e ai fiumi del Medellín, regione di origine della famiglia di Olga.

Olga de Amaral El Muro en rojos Fondazione Cartier Parigi 2025 © MARC DOMAGE

Alla matericità dei grandi muri, nell’ala opposta dell’ambiente è contrapposta la serie Brumas, una pioggia di tessuto che dal soffitto rimane sospesa senza sfiorare il suolo. Brumas si compone di fili di cotone intrisi di gesso, ricoperti di pittura acrilica, che Olga realizza con tecniche che non prevedono l’intreccio del tessuto. Penetrabilità, geometria e colori permettono ai lavori di acquisire tridimensionalità, diventando le prime creazioni dell’artista ad essere riconosciute in quanto sculture.

Olga de Amaral Brumas Fondazione Cartier Parigi 2025 © MARC DOMAGE

Il percorso espositivo conduce poi al piano inferiore, fulcro della mostra. La curatrice: “L’installazione nel ventre, nel cuore dello spazio, porta con sé la firma dell’artista, che si rivela nel movimento della spirale”. Nella sala le luci sono soffuse, e creano un gioco di ombre che coinvolge tanto il corpo di chi osserva quanto le opere installate. Qui, i lavori emancipati dalle pareti plasmano lo spazio. Come colonne, corridoi e porte, guidano lungo un sentiero a spirale che culmina nell’opera Etelas, una serie iniziata nel 1996 e oggi composta di 70 pezzi.

Olga de Amaral Etelas Fondazione Cartier Parigi 2025 © MARC DOMAGE

De Amaral non è la prima artista ad esplorare la pratica della tessitura.Tra i vari nomi, Anni Albers (1899-1994), Lenore Tawney (1907 – 2007),  Marisa Merz (1926 – 2019) Sheila Hicks (1934). Dagli anni Settanta le creazioni tessili sono infatti emblema di una presenza femminile sulla scena artistica contemporanea, all’ora prettamente maschile. 

A differenza delle colleghe, però, Amaral è meno interessata alla dimensione intima che ha in sé l’atto del cucire, ma piuttosto vicina al suo potenziale sperimentale e materico. Dai suoi primi lavori degli anni Sessanta, influenzati dal modernismo del Bauhaus, fino ai pezzi più recenti, Olga reclama un posizionamento spaziale, in cui, come dimostra nella mostra di Parigi, le sue creazioni sono supporto espositivo e opere allo stesso tempo. 

Olga de Amaral Fondazione Cartier 2025 © Cyril Marcilhacy

Le astrazioni tessili di Amaral offrono più prospettive di lettura. Da un lato riflettono il suo legame con le forme occidentali, eredità del modernismo. Dall’altro, evocano i paesaggi lontani della sua infanzia, che rappresenta attraverso colori e forme geometriche. Gioca inoltre con le variazioni di scala – da macro a micro – per tradurre paesaggi naturali in paesaggi di tessuto. L’ambizione di creare dialoghi tra forme e ambienti emerge infatti nelle scelte espositive attuate per la mostra di Parigi. 

Il desiderio di connettere l’ambiente interno ed esterno della fondazione, è affidato all’architetta Lina Ghotmeh, che integra nella mostra una serie di massi di ardesia provenienti da una cava dei Monti Pirenei francesi. Secondo  Ghotmeh  le pietre di ardesia, disposte ai piedi dei muri di tessuto, instaurerebbero una connessione tra il giardino e le sale della Fondazione, in questo modo evocando il paesaggio colombiano, la sua storia legata all’estrazione del carbone, e la fascinazione di Olga per il linguaggio delle pietre. 

Se pensate come elemento di congiunzione, nella mostra, le pietre di ardesia diventano presto però un simbolo di appropriazione egocentrica. Un atto di prevaricazione nei confronti di un elemento naturale, decontestualizzato, per fini scenografici. 

Olga de Amaral Fondazione Cartier 2025 © Cyril Marcilhacy

Nella sua globalità la mostra Olga de Amaral riesce nell’intento di presentare ad un pubblico internazionale gran parte della produzione dell’artista. Tuttavia, se il lavoro di Olga è testimonianza di una connessione profonda con la sua terra d’origine, e di una ricerca tanto tecnica quanto poetica, nella rassegna il legame tra mano e tessuto sembra perdere la sua forza. Come le scelte curatoriali, più orientate all’allestimento scenografico delle opere che alla loro narrazione, permettono di entrare in relazione con un’artista come Amaral?In uno spazio espositivo con una forte identità architettonica, come quello della Fondazione Cartier, la proposta di duecento opere dal grande impatto spaziale rischia di mettere in secondo piano la poetica di un’artista straordinaria, privilegiando la spettacolarità dell’allestimento. Il risultato è che i lavori appaiono più per il loro valore artigianale ed estetico, che come opere, soggetti di riflessione autonoma e in divenire.

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