Alzati, corri, non perdere tempo. Devi essere iperperformante se vuoi stare al passo della società contemporanea. Il lavoro ha bisogno della tua produzione costante e non puoi permetterti di seguire un ritmo che non sia quello della macchina.
Emanciparsi da questo stile di vita è un atto di resistenza e i lunghi momenti del processo creativo una rivoluzione. Gli artisti, lontani dai tempi standard dei lavori tradizionali, restituiscono alla frenetica società contemporanea un lavoro che si riappropria del tempo biologico di esecuzione. È così che torna in gioco l’umanità.
L’obiettivo del progetto the time it takes è proprio questo. Si tratta di un ciclo di mostre avviato a gennaio 2025 a cura di Arianna Pavoncello e Carolina Latour che esplora il rapporto tra il tempo, la creatività e la complessità della produzione artistica contemporanea. Gli spazi di Studio Pesca, collettivo fluido e interdisciplinare che unisce art direction, graphic design, branding e produzione di eventi, non è solo un luogo di lavoro ma un vero e proprio centro di ricerca applicata, attraverso incontri e scambi reciproci, collaborazioni con artisti e designer, showroom temporaneo, set fotografico, venue per eventi e co-working.

L’apertura a diverse realtà è la chiave innovativa di questo spazio, pronto ad ospitare mostre personali. È il caso di Diego Gualandris che con l’esposizione Canzoni per animali d’appartamento, rappresenta il secondo capitolo del progetto the time it takes, presentato al pubblico fino al 13 giugno 2025.
Preceduto da Federika Fumarola (che abbiamo intervistato qui) con il primo capitolo del ciclo di mostre, intitolato Recupero di un tempo di osservazione perduto, Diego Gualandris ci trasporta in un mondo psichedelico, vicino al misticismo e alle storie fantasy, ma anche al sacro e alla religione.
E se considerassimo il sole come un animale tanto quanto noi? Come una creatura che possiede la vita, oltre che nelle sue connotazioni simboliche come spesso succede in arte? Gualandris fa proprio questo, lo riporta alla sua condizione di vita originaria. Le due serie che l’artista presenta allo Studio Pesca si interessano principalmente ai passaggi di stato, ai cambi di età della nostra stella. Tutto nasce da un libro, nello specifico dalla copertina del Vangelo e Atti degli Apostoli dell’edizione San Paolo, una tra le versioni più diffuse fin dagli anni Settanta con cui l’artista si imbatte casualmente.
L’immagine che riporta è quella di un caldo sole arancione dalle linee semplici e geometriche che inonda di luce il deserto di una Palestina antica. Gualandris declina questo paesaggio, fondendolo con suggestioni contemporanee come il film d’animazione Fantasia di Walt Disney, l’ambientazione del romanzo Dune o anche il pianeta desertico di Star Wars. Passato e presente, religione e fantascienza, immaginazione e realtà diventano il legante delle opere dei soli di Diego Gualandris a cui dona una nuova rinascita, l’alba di un nuovo giorno.

Come un essere vivente, il sole attraversa tutte le fasi di crescita della vita, dalla nascita, alla maturità, alla morte. Gualandris realizza infatti la serie Il sole da giovane, dove la stella è nella sua adolescenza, nel pieno della sua potenza e mutevolezza. È qui che troviamo infatti la maggior varietà di colori e forme, diventa prima quadrato come nell’opera Il Sole da Giovane I del 2024 e poi assume il colore verde in Il Sole da Giovane XI e XIII. Esattamente come ogni adolescente, ha la possibilità di cambiare radicalmente e divenire una tra le infinite varianti del proprio essere, a seconda della strada intrapresa. La serie si compone di piccoli dipinti su tavola, in cui lingue di fuoco si protendono all’esterno del cuore della stella, come fossero tentacoli di un organismo vivente o di un virus, accentuandone ancora di più la sua appartenenza al mondo dei viventi.
Siamo nel deserto di fronte a un’imponente sole che quasi ne sentiamo il calore, non sappiamo se sta sorgendo o tramontando ma riconosciamo con certezza il luogo, come se appartenessimo a quel posto. Siamo di fronte a una serie di oli su tela di Gualandris, presentata per la prima volta in questo spazio. Qui ogni sole così simile eppure così diverso l’uno dall’altro, crea un’unica linea d’orizzonte e i quadri diventano come finestre aperte su nuovi mondi.

In questa seconda serie che rappresenta il sole nella sua fase adulta e matura, colpisce anche quello che non si vede. L’aspetto olfattivo dell’olio è se non predominante, sicuramente presente nello spazio. L’artista sottolinea l’importanza della pittura come materia che possiede determinate qualità, tra queste anche la sua naturale composizione oliosa. L’odore dell’olio è un mezzo che racconta l’esecuzione delle stesse opere, rivelandone la storia attraverso un senso che non è la vista. Quest’aspetto si sposa perfettamente con Studio Pesca, luogo di lavoro, ricerca e sviluppo. Diego Gualandris infatti, non isola mai le sue opere dal luogo in cui saranno esposte ma crea sempre tra i due elementi un dialogo, una connessione.