Paolo Bianchi: da Buzzati a Dario Fo, una collezione unica, in bilico tra letteratura e pittura

In febbraio, alle otto di sera, a Milano è già notte. In questa zona che un tempo era il quartiere Fiera e oggi invece è City Life, anche il traffico, come la luce, è svanito. Arrivando da via Buonarroti, che è un vecchio viale di edifici anni 50 e 70, le torri Isozaki, Hadid e Libeskind mi vengono incontro immense, ricurve, incongrue, immerse nel buio salvo che per sparsi piani intermedi ancora illuminati e per i neon di Generali, Allianz e PWC, che risplendono sulla loro sommità. Cosa succede, ora, lì dentro? Quale segreto custodisce tutto quello spazio vuoto, privo di luce, proiettato verso la volta nera del cielo? Anche Milano sa essere misteriosa, basta scegliere la notte, meglio se d’inverno, e meglio se in un quartiere centrale ma non troppo come questo, dove le tre torri futuribili sono impiantate nel mezzo di una placida zona residenziale. Paolo Bianchi abita qui, in una laterale silenziosa che piega verso Pagano, Conciliazione, e, più in là, verso la Basilica di Santa Maria delle Grazie. Al suo appartamento arrivo passando per un giardino interno e poi salendo tre rampe di scale. In casa Paolo mi accoglie con uno dei suoi soliti maglioncini sobri, il suo solito paio di occhiali sottili, e il suo sorriso cordiale. Solito anche quello e tipico di un uomo mite, colto e intelligente, che la cordialità e la mitezza le riserva però solo a chi decide lui.

Sono tra i fortunati. Paolo lo conosco e lo frequento da anni. Ho letto i suoi romanzi, leggo i suoi articoli su “Libero” e “Il Giornale”, leggo i suoi purtroppo sempre più rari sapidi sfoghi sarcastici su FaceBook, ma se dovessi fare il nome di una persona la cui vita per me rimane un enigma, farei il suo. L’ho detto, no, che Milano sa anche essere misteriosa? E a proposito di fatti inconsueti, Paolo ha una collezione d’arte figurativa preziosa e unica: quadri di scrittori che dipingono e di pittori che scrivono. Il primo acquisto, da cui è nata l’idea della collezione, è stato un quadro di Dino Buzzati. Guarda caso, lo scrittore italiano par excellence dell’inquietudine e del mistero.

Dino Buzzati Ritratto della signora A A cm 60×70 acrilico su tela 1966

Buzzati Pittore” è il titolo di una mostra che si è svolta a Palazzo Reale, a Milano, tra il dicembre 1991 e il gennaio 1992, a cura di Raffaele De Grada. Era stato visitando quella mostra che a Paolo era nata l’idea di acquistare un Buzzati. Era cosa difficile allora come oggi, e al Ritratto della signora A.A., acrilico su tela del giornalista e scrittore milanese datato 1966, Paolo ci era arrivato attraverso il figlio di Renzo Cortina, gallerista storico di Dino Buzzati. La doppia A del titolo è quella di Almerina Antoniazzi, fotomodella che Buzzati incontrò nel 1960 mentre posava per un servizio della Domenica del Corriere, quando lei aveva diciannove anni e lui cinquantatré. “Sposa bambina”, la chiamarono i rotocalchi dopo il matrimonio, che si celebrò proprio nel 1966, l’anno del quadro che ha inaugurato la collezione che sto ammirando questa sera. Buzzati ne è il nucleo portante, oltre a questa tela Paolo ha anche due tavole originali del Poema a fumetti e, soprattutto, il carteggio tra lo scrittore milanese e Carla Marchi, l’amore della vita prima dell’irruzione di Almerina Antoniazzi. Sono lettere impreziosite dai disegni di Buzzati, inclusa quella del 59 in cui confessa a Carla Marchi il tradimento con una donna rimasta senza nome, che diventerà Laide nel romanzo Un amore. È un carteggio acquistato all’asta nel 2023, e che è tenuto sotto l’ala protettrice, cioè l’occhiuto controllo, della sovrintendenza ai beni culturali. Tanto che dopo l’aggiudicazione, un delegato ha fatto visita a Paolo qui, in questo stesso appartamento, per accertarsi che fossero rispettate le condizioni necessarie alla corretta conservazione del bene.

Dario Fo Senza titolo cm 70×100 tecnica mista su cartoncino 2001

“Ma lei in casa ce l’ha un estintore? E un igrometro?”

Con il suo famoso sorriso cordiale, ma anche parecchio ironico, il mio amico mi racconta delle strane richieste della sovrintendenza, e poi mi dice dei suoi quadri, mentre al tavolo del soggiorno ceniamo con delle penne al ragù di tonno e peperoncino, ricetta sua, e una più salutistica bresaola con insalata. Dico soggiorno ma questo è un vero salone, grande, arioso, che gli invidio molto: la collezione che portiamo avanti io e mia moglie ha trasformato le pareti del nostro piccolo appartamento in una quadreria soffocante, mentre qui di spazio ce n’è in abbondanza e i quadri respirano. Siamo sotto a un Carlo Levi di qualità (Donne, 1938, olio su tela, 73×92), che Paolo ha acquistato quasi per caso nel 2022, intravisto sullo sfondo durante una televendita di Vimarte e fermato subito con una telefonata, mentre il presentatore stava cercando di vendere tutt’altro. Sul muro opposto invece c’è un bel Salvatore Fiume del 1980 (L’amante dell’isola, 80×100, olio su masonite), preso in asta nel 2024. La collezione, dopo il primo Buzzati degli anni 90, ha di fatto preso corpo nel periodo post-Covid.

Salvatore Fiume Lamante dellisola cm 80×100 olio su masonite anni Ottanta

Ma si diceva: scrittori/pittori e pittori/scrittori, e di Buzzati si sa. Meno noto, invece, è che Carlo Levi sia stato un pittore affermato, allievo di Felice Casorati, membro dei cosiddetti Sei di Torino e con due Biennali di Venezia all’attivo, perché lo ricordiamo soprattutto come scrittore grazie a Cristo si è fermato a Eboli, romanzo pubblicato nel 45 e diventato film di successo nel 79. Quanto a Salvatore Fiume io lo pensavo pittore purissimo, e invece grazie alla collezione di Paolo ho scoperto che ha pubblicato tre romanzi, molti racconti, e commedie per il teatro. A scorrere i nomi degli artisti acquisiti dal mio amico si fa un viaggio di esplorazione nel Novecento più colto. Si esplora, intendo, quella scena intellettuale italiana dove l’arte era motivo di vita e concetto a tutto tondo, tanto che chi dipingeva non solo leggeva e leggeva (a differenza di adesso), ma spesso scriveva anche, e non prevedibili interventi critici su pittura e scultura, ma piuttosto giornalismo, saggistica, narrativa, teatro. Scopro così che Leonardo Borgese, collega di Buzzati, era anche pittore. Che Ottone Rosai aveva scritto per la leggendaria rivista Lacerba, e che i racconti lì pubblicati vennero raccolti nel 1951 nel volume Vecchio autoritratto, con prefazione di Carlo Bo. Scopro anche che Filippo De Pisis ha pubblicato una ventina di libri, tra poesie e prose. Della doppia carriera di Ardengo Soffici e Alberto Savinio sapevo, ma non sapevo che si dilettassero a dipingere o almeno a disegnare, scrittori, giornalisti, poeti e drammaturghi come Giovannino Guareschi, Leo Longanesi, Eugenio Montale, Renato Olivieri, Trilussa, Dario Fo. Tutti nella collezione di Paolo, qualche volta con pezzi vicini alla curiosità storico-letteraria – piccoli disegni con dedica – qualche altra con quadri di dimensioni ragguardevoli. Quanto all’addentrarsi nel mondo culturale del secolo scorso, le connessioni più affascinanti le fanno le provienienze. Vedo un De Pisis che apparteneva alla collezione di Cesare Zavattini. Vedo un Ottone Rosai dedicato a Romano Bilenchi.  Vedo un pastello su carta di Eugenio Montale dedicato a Enrico Manuelli, un Ardengo Soffici che fu degli editori Vallardi, una rosa di Lalla Romano che appartenne a Marco Vallora.

Filippo De Pisis Fiori olio su cartone cm 18×117 dalla Collezione Cesare Zavattini

Terminata la cena, completiamo il giro delle cinquanta e passa opere del mio amico, che mi racconta anche che sta cercando uno spazio e l’occasione giusta per esporre la sua collezione in una mostra aperta al pubblico. Quando guardo l’ora mi accorgo che sono già le dieci passate, per me è tardi, devo tornare a Pavia, meglio andare. Paolo si mette una giacca e scende anche lui in strada. Ma dove va, a quest’ora? Ovvio che glielo chiedo.  Naturale che la risposta sia solo un sorriso cordiale. Anzi, facciamo enigmatico, come gli compete. Ci stringiamo la mano davanti al garage a ore dove ho lasciato la mia auto. Scendendo, a metà dello scivolo mi fermo e mi giro a sbirciare. Paolo cammina, le mani in tasca. Va verso le tre torri, ormai completamente al buio. Dev’essere da lì che si svolta in via Saterna.

in copertina: Carlo Levi, Donne, cm. 73,5×92, Olio su tela, 1938

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