Non ho visto un film, sono andato al museo. Per una ragione alla quale non so dare un senso, uscendo dalla sala ho avuto l’impressione di aver passeggiato per due ore, da seduto, in una pinacoteca in cui erano esposte, per l’occasione, opere famosissime o meno, senza una cronologia specifica, senza una separazione di sale espositive, senza un’impostazione critica che indicasse uno stile o una tendenza artistica. Semplicemente mi sono ritrovato ad osservare dei quadri, molto diversi gli uni dagli altri che, ricomposti nel ricordo, mi hanno dato un’idea più precisa di ciò che effettivamente avevo guardato. Uscivo dall’aver visto l’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, di cui molto si parla da quando è arrivato nelle sale e per il quale non ho alcun giudizio critico perché, se esercitato in diretta, sicuramente avrebbe inquinato la mia quasi turistica passeggiata tra opere che nella mia vita ho osservato nei musei, nelle gallerie, o sui libri d’arte. Ne esce un catalogo succinto, sinteticamente ragionato, che è qui di seguito a favore di coloro che il film lo hanno visto – e magari qualcosa di laterale ritrovano nella loro visione – o anche per coloro che non lo hanno ancora visto, o che mai lo vedranno, anche se, per questi ultimi, seguendo la logica suesposta, quanto leggeranno – e se andranno fino alla fine – non ha necessariamente valore di stimolo o consiglio per poi andare a vederlo.
La Venere di Botticelli
La trama, se di trama si potesse parlare – ma il regista è allergico a questa parola come letto da più parti – racconta che il film è costruito partendo dalla mitologia in quanto intende evocare il mito della Sirena Partenope, considerata da tradizione come la fondatrice di Napoli. Il suo nome ha origine dal greco e significa “vergine” e diverse leggende raccontano che la sirena, nata in mare, fondò Napoli per amore.
Come non andare col pensiero, dunque, alla Venere di Botticelli la quale, addirittura, appoggia i propri piedi in un’enorme conchiglia?
Il mare di Sorrentino e quello di Piero Guccione
Nessuno, come Piero Guccione, ha dipinto il mare – ossessivamente e realisticamente per tutta la vita – come se il suo pennello, lentamente, si fosse trasformato in un obiettivo fotografico al posto della tavolozza. Nel film di Sorrentino, lo so, il mare è quello di Napoli e non quello della Sicilia che affaccia al sud, il mare che Guccione ha ostinatamente dipinto come se fosse degno di essere una natura morta.
Ma il mare è sempre il mare, e la fissità con la quale, a più riprese, Sorrentino a sua volta lo filma, mi ha fatto pensare ai dipinti marini di Guccione, forse per il silenzio che entrambi le visioni impongono a chi guarda ma anche per una certa ripetitività che non manca, né a Guccione né a Sorrentino.
Il bambino malformato e le forme di Botero
A un certo punto del film il professore universitario di Parthenope la fa accedere in una stanza chiusa della propria casa svelandole, così, che in casa vive, immobile, ansimante, un figlio deforme. L’improvvisa apparizione cinematografica di questo “mostro” è degna delle capacità di Carlo Rambaldi, premiato con diversi oscar per le sue creazioni di personaggi extra umani entrate poi nella storia del cinema; una per tutte, E.T. Guardando la scena – che indubbiamente colpisce – attraverso gli occhi di Parthenope, stupita ma anche divertita, non so perché ma sgorga una certa malinconia – forse dettata dalle capacità attoriali di Silvio Orlando (il professore di Parthenope) di rattristare chi guarda – ma non ho potuto non pensare a Botero, alle sue giovani e grassissime ragazze, alle sculture che vorremmo dire informi, ma che in realtà creano un mondo di forme a sé.
Il bimbo mostro è una immensa scultura boteriana da esterni, ne mima le caratteristiche e fa dimenticare, come in Botero, la deformità. Oppure, e qui ero indeciso su cosa esattamente stessi vedendo, mi è come apparso un frame di un cartone animato del maestro giapponese, un’immagine tonda e deforme di un umanoide che ispira simpatia e verso la quale, come in tutti i film di Miyazaki, non si può non essere empatici.
(Ndr: ad articolo già uscito, ci fa notare Giacinto Di Pietrantonio, critico d’arte, docente e direttore di musei con un curriculum decennale di ottimo livello alle spalle, che il riferimento più pertinente e aderente a questa scena del film di Sorrentino è in realtà uno dei quadri più iconici, enigmatici e sorprendenti di René Magritte: L’arte di vivere del 1967. Deforme, tragico e comico nello stesso tempo, un bambino-uomo con una testa enorme, tonda e sproporzionata, levitante, come un grosso e buffo sole antropomorfizzato, dal corpo del classico “uomo con la bombetta” del pittore belga, simboleggia una condizione umana di ambiguità, di tragica difformità rispetto alla norma, dall’espresssione misteriosa e sottilmente beffarda. Un riferimento che pare quasi un viatico perfetto per la poetica sorrentiniana. Grazie di cuore a Giacinto Di Pietrantonio per l’attenzione mostrata e per la consueta intelligenza e competenza, e per questo suggerimento, che facciamo subito volentieri nostro).
Ori napoletani e Damien Hirst e il suo Treasures from the Wreck of the Unbelievable
Una lunga scena del film sosta nella chiesa napoletana dove è custodito il tesoro di San Gennaro. So che il regista viene imputato, per questa parte del film, di blasfemia, perché Parthenope compie atti impuri proprio con il vescovo il quale, con nome quasi comico, o sconcio, si chiama “Tesorone”. Quando la protagonista finalmente accede alla stanza del tesoro la vediamo coperta d’ori, quei manufatti barocchi e pesantissimi, frutto delle secolari donazioni salvifiche ma, in questo caso, utili per coprire le sue nudità agli occhi degli spettatori e creare un effetto Kitsch che, in quel momento, ha un senso, perché questa parola, di origine tedesca, denomina il cattivo gusto; e non è di cattivo gusto accoppiarsi con un vescovo in una chiesa millenaria?
Dunque, Sorrentino, ha amplificato la scena sino al parossismo nel tentativo di far capire, a chi guarda, che sta scherzando, cerca solo di appoggiarsi alla settima arte per dire quello che gli pare. A me ha evocato un altro kitsch, quello dell’ambiguo artista inglese Damien Hirst, il quale, anni fa, spese milioni per allestire una mostra in cui voleva far credere al pubblico di aver ritrovato un prezioso ed antico tesoro su un relitto affondato al tempo dei romani dal nome emblematico: Unbelievable, cioè Incredibile.
La contorta testa di medusa completamente in oro, facente parte della collezione, ha molto a che vedere con le pesanti collane doro massiccio indossate da Parthenope difronte a uno specchio mentre si rimira prima di concedersi al diabolico Tesorone. Tutto Unbelievable, appunto.
Il sorriso di Celeste e la Gioconda di Leonardo
Deve essere stato notevole lo sforzo di Sorrentino per usare la macchina da presa, per oltre il 70% del girato, sempre con la stessa attrice. Ovviamente sforzo condiviso a pari merito con Celeste Dalla Porta, la protagonista – non principale, ma unica – in quanto è lei che rappresenta, come ho sentito dire dal regista, il suo io più interiore ed artistico, anche se affidato al femminile. Da qui nasce il non semplice sforzo di recitazione che mette a dura prova Celeste, in generale, ma soprattutto lasciando il segno sul volto, in virtù di quei ricorrenti primi piani invasivi che farebbero tremare i polsi anche ad un’attrice molto più esperta e consumata di lei che è qui al suo primo lavoro importante.
Sarà dunque un effetto “difesa”, oppure istruzioni registiche, ma pur nella molteplicità delle scene e delle situazioni, si coglie, nelle sue espressioni, una ripetitività – ma non fissità – che fa pensare allo studiatissimo ritratto de La Gioconda che, dopo secoli, ancora attrae proprio per la mancanza di una risposta alla domanda che tutti, guardando l’opera, si fanno: “a cosa stava pensando”? Guarda caso, nel film, torna spesso questo “ritornello”, perché se lo chiedono tra loro, i protagonisti, e lo chiedono prevalentemente a lei, a Parthenope: “a cosa stai pensando?”. La continua mancata risposta mi porta a vedere, nella mia passeggiata, La Gioconda vinciana, alla quale Sorrentino non può non aver pensato filmando maniacalmente l’attrice che tende a non usare il volto per esprimere sentimenti e scoprire così le sue carte.
Vicoli napoletani vs. Vucciria di Guttuso
Ancora una volta torno in Sicilia, come per Guccione, pur essendo il film integralmente napoletano. Ma quando il carrello della produzione scorre nei vicoli e fissa la galleria dei personaggi tipici di un basso, che indossano sguardi, volti e tipicità che ben conosciamo, la mia mente corre al capolavoro di Renato Guttuso, che in una sola tela riuscì ad immortalare non solo il più famoso mercato di Palermo ma anche un’intera fascia sociale, come fosse la sintesi visiva di un’indagine su chi abita le zone più povere di una città del sud.
E così, come nel quadro di Guttuso alberga una sola figura che potrebbe sembrare fuori luogo – una donna di spalle con una sporta della spesa in mano –, ho pensato che, alla stessa maniera, la figura a suo modo triste, una Sandrelli spaesata dal ritorno, spicca in quelle scene dei vicoli come un’intrusa, come un elemento avulso dal contesto e, per questa ragione, forse invisibile ai più. Infatti, nel quadro di Guttuso, si è portati ad osservare più l’enorme carcassa di carne sulla destra, piuttosto che quella figura centrale che, peraltro, rivolgendo le spalle a chi osserva, esalta (come sembra accadere alla protagonista della seconda vita di Parthenope) la casualità del nostro errare.
Edward Hopper e il bar americano
Un cameo di un attore americano, Gary Oldman, ci trasferisce per alcuni tratti in un mondo anglosassone lontano anni luce da Napoli e Capri sebbene entrambe mete amate dagli statunitensi. Ma quando la macchina da presa, lentamente, scorre e indugia su un’immane caterva di bottiglie di gin consumate dal personaggio – che nel film è il famoso scrittore John Cheever – non posso non pensare a Hopper, che nella sua arte dà corpo alla solitudine e allo stordimento delle persone con la sua innata capacità di replicare questa sensazione di straniamento pur nel cambiamento costante di ciò che ritrae.
E il film, che già scorre lentamente di suo, nei momenti incentrati sull’incontro tra lo scrittore e la giovane in cerca della verità, rallenta ulteriormente, proprio come la vita quando ci si lascia andare ai fumi e alle temporanee gioie dell’alcool.
Ori e sfarzi nelle pitture ottocentesche
Il film inizia con l’immagine di un’antica carrozza, che poi ricorrerà ancora più avanti. Il fermo immagine, e poi il close-up, fa pensare a quei dettagliatissimi quadri vittoriani che ancora per poco – poi arriverà l’invenzione della fotografia – erano a cura di pittori stimolati dalla necessità di rappresentare il vero e, in sostanza, col senno di poi, rappresentano oggi i fotografi dell’epoca.
L’immagine che vediamo in apertura di pellicola ha la stessa capacità di dettaglio di un quadro vittoriano pre-Turner, o di una tela di un autore francese di primo Ottocento (che già piegava l’immagine al sentimento interiore, dunque all’impressione) ma muove, in chi guarda, un istintivo e pericoloso accenno di noia (il film è solo all’inizio) la stessa che proviamo oggi, abituati a ben altre sorprese pittoriche, quando attraversiamo una sala museale di opere ottocentesche.
Gouache napoletane per il Grand Tour
Un classico dell’epoca. Napoli era sosta obbligata del Gran Tour, gli inglesi, soprattutto, arrivavano a cavallo o in carrozza (appunto) e impazzivano per il golfo. Da lì l’opportunità, per chi aveva capacità artistiche, di creare questa stupende “cartoline” dal tocco inconfondibile da vendere a caro prezzo ai nobili del nord che volevano tornare in patria con un souvenir di peso. Come non pensare alle gouaches che raffigurano il Vesuvio, Posillipo, le barche colorate ritratte in mezzo all’allora placida insenatura tra le più famose del mondo?
Sorrentino ne offre a iosa di gouaches nel suo film, una più bella ma anche più prevedibile dell’altra e chissà che per lo storyboard della sceneggiatura non abbia avuto sotto gli occhi un dipinto di genere, magari della famiglia Gianni, i più famosi ma anche maggiormente commerciali di tutta quella comunità che aveva trovato finalmente una sicura fonte di guadagno. Ne ho contate almeno dieci di simil gouache nel film del regista napoletano.
Effetto flou alla David Hamilton
Alla fine della mia passeggiata, nella pinacoteca di Sorrentino, non trovo un quadro ma una foto. È uno scatto di David Hamilton, famoso fotografo inglese degli anni Settanta specializzato in scatti di giovanissime ragazze esaltate da immagini sfumate e spesso floreali, che facevano pensare ad un mondo agreste, un’Arcadia vagamente morbosa. I suoi erano scatti di modelle scelte tra ragazze adolescenti o comunque molto giovani, seminude se possibile, vestite con abiti leggeri che facevano pensare alla primavera. L’effetto, che marcava il timbro del maestro, era flou, la famosa “sfocatura hamiltoniana” della luce che rendeva le foto sensuali, bucoliche, magari romantiche ma, riviste oggi, vagamente borderline.
In una scena del film uno dei diversi spasimanti di Parthenope annusa il suo costume da bagno. Non so perché ma, vedendo quel momento, ho pensato ad Hamilton il quale, magari per ispirarsi per uno scatto successivo, facesse la stessa cosa. L’effetto flou, o “sfocatura sorrentiniana” potrebbe avere questo padre nobile (non tutti però la pensano così) della fotografia d’autore.
Trovo straordinari, interessanti ed efficaci questi collegamenti alle opere degli artisti citati. Un ulteriore pregio e merito per il nuovo film di Sorrentino.
È oltre a un poete grande visione della vita , altri troppi bigotti
Un articolo veramente interessante! Seguire il film sotto questo punto di vista, – relazione tra le scene piu’ iconiche e opere d’ arte famose- e’ una chiave di lettura inedita e stimolante.
Io il film l’ ho visto e, pur non essendo una fan di Sorrentino, e neanche napoletana, l’ ho trovato assolutamente meraviglioso, mai volgare ne’ blasfemo ( un viaggio nella profondita’dell’animo umano non puo’ essere niente di tutto questo), ne’tantomeno noioso in nessuno dei suoi momenti narrativi ( se di narrazione si puo’parlare)..non ho provato neanche un ” istintivo e pericoloso accenno di noia” alla scena della carrozza. Sono stata rapita e rimasta con il fiato sospeso per tutta la durata del film, sucuramentec grazie anche, ma non solo, allo straordinario talento della prima attrice.
Per concludere, solo un’ ultima osservazione: a me il bambino deforme ha ricordato invece per forma e per i tratti del volto i due gemelli rotondi con la maglietta a strisce del film ” Alice in Wonderland” ,quello con Johnny Deep nella parte del cappellaio matto, per intendersi…Parlando di registi visionari, forse non e’ un caso…
Direi basta
Relazioni molto forzate. Non mi ha convinto.
Ho visto il film. Ne sono rimasta affascinata, mi è entrato dentro e forse si è ritrovato con quel dentro che e’ in me e alla fine ho pianto.
Grazie Marco per per averci divertito con quest’interessanti e colte riflessione che effettivamente avvicinano il film di sorrentino in una carrellata di meravigliosi dipinti!
Questo bellissimo articolo spiega a me stessa le mie impressioni! Io ho rivisto anche le terrazze marine di Sir Alma Tadema, sospese nell’azzurro assoluto.
Non ho ancora visto il film, ma ho letto con interesse l’articolo che trovo ricco di spunti e suggestivo per ciò che concerne il riferimento ad alcune opere d’arte! Ho avuto modo di seguire anche alcune critiche circa la dissacrazione del culto a san Gennaro in alcune scene; sicuramente il regista che conosce molto meglio di me Napoli ha voluto lanciare una provocazione, per cui anche io adesso voglio lanciare una provocazione: Parthenope, sia nel nome che nel vissuto, incarna una città affascinante, di grande profondità, per questo anche di grandi contraddizioni. Un tema che probabilmente non è stato affrontato è quello della carità romana, che non è solo un concetto o un tema sviluppato nell’ arte in svariate forme, una su tutte la straordinaria opera del Caravaggio, le sette opere di misericordia corporale, ma un modus vivendi che ha caratterizzato nel passare alcuni vicoli di Napoli, stando alle storie che si rincorrono e ad alcuni documenti relativi ad atti di processi tenutisi nel viceregno nel 600′ circa ad alcune pratiche “devozionali” considerate eretiche. Piuttosto che offendere la sensibilità religiosa su san Gennaro, perché non ha trasposto il tema della carità così come rappresentata nell’arte e non solo?
Il film mi è piaciuto.
Diversi parallelismi con le opere citate sono forzati.
Manca, invece, il riferimento ad un artista contemporaneo: Matteo Massagrande: la splendida villa che si affaccia sul mare che presenta altresì stanze abbandonate e in decadenza è un’immagine ricorrente ed emotivamente significativa del bravissimo pittore.
Sceografia fantastica,bravi gli attori piacevoli brani musicali.Per il resto ..solo noia.Il piacere di vedere un film ,per me,è quello di emozionarmi,o ridere,riflettere .Non devo per forza masturbarmi il cervello per capire quello che al regista passi per la mente.E’ importante per me, quella scia che mi lascia nel cuore oltre che nella mia mente.
Sorrentino ha fatto un solo film:
Loro 1- Loro 2 non a caso spariti dalla circolazione.
Sorrentino ha un ego smisurato che andrebbe guidato in forme espressive più corrette e rispettose.
Il film di Sorrentino Partenope è per me un capolavoro degno di un secondo Oscar per il regista .
Magnifiche le scene, le immagini, i colori …
Un autentica poesia visiva…
Riferimenti alla storia dell ‘arte : molteplici !
Da Tiziano, Ingres, Goya nell’ immagini che ritraggono la protagonista sdraiata sul letto con baldacchino sul terrazzo … ai vicoli malfamati illuminati da raggio di luce caravaggesca ai drappi
che riportano a scene pompeiane…
Un grande regista è un magnifico film
Questo film andrebbe messo in un museo di arte contemporanea e farne una mostra permanente.
Concordo molto con l’articolo , le.scene quasi tutte bellissime, una vera e propria opera d’arte.
Grazie Sorrentino.
Sicuramente bella la sceografia e la fotografia,piacevoli i brani musicali,brava la protagonista, molto intensa seppur marginale, l ‘ interpretazione della Sandrelli , nonostante ciò, il film non mi è piaciuto,troppo lungo e noioso, non mi ha procurato nessuna emozione.
Non sono napoletana, ma non ci ho ritrovato la vera Napoli…troppo cervellotico..
Non amo i film di Sorrentino e da Parthenope ho avuto la conferma che non fanno per me.
Manca il riferimento in una scena a Vanessa beecrof
IL FILM È NOIOSO,APATICO . NON SONO ARRIVATA ALLA FINE. IL SORRENTINO DEVE CURARSI. E NON ANDRÒ MAI PIÙ A VEDERE UN SUO FILM. STUPIDO TRA L’ALTRO. UNA LUNGAGGINE INUTILE. NOIA. MA SE QUELLO SI È SUICIDATO PER LA VUOTEZZA DELLA SUA VITA LO DOVREI FARE PURE IO? NOIOSO NOIOSO
Il film non mi è piaciuto, no no niente!!! Solo le location e sceneggiatura. Film lentissimo che non ha nè capo nè coda.
Questo articolo è bellissimo e le associazioni con i capolavori sono azzecatissime.
Ieri ho visto “Parthenope”
lento all’inizio, quasi scontato e apparentemente banale durante l’avanzare della trama e delle scene, alcune apparentemente incomprensibili senza avere una “cultura napoletana “
Magnifici paesaggi e fantastiche location sicuramente ma per buona parte del film mi dicevo: ma che vuol dire? Che capolavoro è…?
Poi all’improvviso quasi sul finire il colpo di scena che ribalta tutto rendendo il film il capolavoro di cui tanto si parla inducendo ad una riflessione che accomuna la vita di ogni essere umano.
“Forse è stato meraviglioso essere ragazzi, è durato poco… “
Questa la Magnifica chiusura del film Parthenope che immediatamente commuove e ribalta il senso del film trasformandolo dall’ apparente storia molto comune di una bella e facile ragazza ad una più profonda descrizione dell’estasi della giovinezza e dell’inevitabile incedere della vita che segna, scava, solca l’anima con inarrestabili ed inevitabili gioie e dolori che si susseguono negli anni trasformando la bellezza delle cose e delle persone. Il decadimento della villa ne è la perfetta riproduzione metaforica… Chapeau!
Le musiche, inanellate come perle, non sono affatto una cornice del film ma un gioiello incastonato tra le scene. Non manca nemmeno il passaggio blasfemo ma al contempo così vero… da sempre.
10 e lode e bacio accademico!
Parthenope docet
Il film e’ un capolavoro.Finalmente si torna a dare importanza ai dialoghi come non si sentivano dai tempi di Antonioni.La bellezza di Parthenope e’ solo un pretesto per scorrere i ricordi di ognuno di noi che ha vissuto l adolescenza degli anni 70 e degli amori giovanili.La protagonista e’ assolutamente fantastica,perfetta oltre che bellissima.IL film e’ perfetto nel suo intento artistico,nelle sequenze storiche e nel suo immenso egocentrismo.Proprio per questo non sfiora mai la banalita’ ma al contrario stimola alla riflessione e si toglie pure qualche sassolino dalla scarpa contro quel male oscuro di Napoli sempre al centro di fenomeni da favelas.
Tutti a dire che “Parthenope” non ha una trama, un’idea che leghi tutte le scene e, invece, secondo me il benedetto “fil rouge” c’è eccome!: Napoli non si spiega! Questa è la tesi. Napoli è il Cristo Velato e la camorra; i bassi e Palazzo donn’Anna. E, come tale, Napoli va “sentita”, non spiegata. E men che meno giudicata. Un posto “deputato” in cui il tutto e il suo contrario parlano dell’animo umano e della sua evoluzione con il passar degli anni. Capisco chi abbia visto il film e si sia annoiato: ognuno ha la sua sensibilità e non tutti quella che é indispensabile per emozionarsi al cospetto di un’opera come questa. Che, poi, è, forse, il vero limite di Parthenope ed è fatale che lo spettatore napoletano sia “raccomandato”…
Alcuni riferimenti sono molto forzati. Ma non basta inserire alcuni riferimenti per rendere un film interessante ed emozionante. Io l’ho trovato noiosissimo, senza emozioni, senz’anima, oltre che pretenzioso e vuoto. Uno dei peggiori film di Sorrentino che già mi pare in generale sopravvalutato.
Non mi convince nulla a riguardo di questa film, che ripeto essere di una insulsa bruttezza, nonostante moltissimi cercano di trovarci non so che cosa: fa sorridere il fatto che il sopravaluto Sorrentino ha esagerato nella spasmodica ricerca del sensazionale, nell’originale, nei tentativi di insistere a volersi fare riconoscere come l’erede di Fellini! Amen, io ci metto una pietra sopra: bocciato senza appello!!
Parthenope è un intenso atto d amore di Sorrentino verso il fascino solare / lunare del femmineo e di Napoli fra loro mirabilmente intrecciati .
Con maestria il regista fa uso della allegoria, della metafora e i l tutto è pepato dal grottesco. Lo spettatore viene rapito dalle immagini dalla musica in un mondo onirico e mitologico costretto a lasciarsi trasportare a mollare le redini e allora vede e avverte la bellezza .
Sì la Bellezza di Napoli e del femmineo sempre sottese dal tellurico .
È come camminare sull orlo del cratere !
È un film che divide ,
chi lo esalta,chi lo schifa ,chi grida solo alla blasfemia e chi non lo capisce .
Ci sta anche Napoli e la Donna ispirano sentimenti e pareri molto contrastanti
Come dice il Professore l antropologia è SAPER VEDERE !
Non tutti lo sanno fare
Per me un capolavoro assoluto !
Sono napoletano, premetto che i film di Paolo mi piacciono,e ho un età che mi ha fatto vivere quei momenti,quella Partenope di cui ,senti gli odori.il film si guarda con la propria coscienza che ha già quelle immagini e quei dialoghi rivivendoli, grazie Paolo.
Un capolavoro. In un epoca dove i film non lasciano spazio all’interpretazione dei spettatori, Sorrentino ti sfida a carpire il senso del film, inducendo le persone a confrontarsi nelle proprie sensazioni. Un’abitudine che l’essere umano ha perduto a causa dei pensieri svelati attraverso tastiere che di umano non hanno niente.
Solo chicha una particolare sensibilita’ e un animo napoletano puo’ SENTIRE questo film.
Basta leggere Tony Pagoda ed i suoi amici
Grandissimo Sorrentino film capolavoro con le sue luci..
Un incanto che resta nell’ anima…
Grazie per il commento e i ricordi di grandi artisti che conosco…bellissimo