di Vincenzo Profeta
Autore di pamphlet dal piglio fortemente anticonformista e radicale (BR Ammazzate Banksy, e La Palermo male, entrambi pubblicati da Gog edizioni), Vincenzo Profeta è artista impegnato da oltre vent’anni nel progetto Laboratorio Saccardi assieme a Marco Leone Barone. In questo testo ci parla, col consueto stile provocatorio, diretto, travolgente e corrosivo, del senso del fare pittura oggi.
L’unico brandello di arte
L’unico brandello di arte ormai sta nel bordello fuori da qui, qualcuno osservi queste parole, le faccia diventare visione, l’unico brandello di arte, è offline oggi, e vive nel caos, l’arte totale è offline, non so se c’è ancora bellezza in questa vita ormai marziana, ma c’è vita e pittura ancora per noi, soli che amiamo macchiare la tela, l’arte ce la siamo dimenticata nel 1350 come dice Zeri, si fottessero i concettuali concettualosi dallo scafato marketing aziendale milanese, sapessero bene che l’arte sta nell’occasionale situazionismo di un barbone che lascia le sue cose per strada, l’occhio lucido vitreo di un uomo situazionista e affranto che muore d’inedia e di povertà, che dispone cose in una maniera esoterica, estetica, coloristica, a modo suo religiosa.
Occasionismo occidentale al sud del sud dei santi, vera, unica mistica dell’occidente mediterraneo, umano che attraversa continenti, ripopola fantasie selvagge, nazioni, vezzo d’autorappresentazione, narcisismo, l’arte è opportunista dell’opportunità si presta ai giochetti di parole facili, sinestetici, fighi, facili, autodafè pubblico.
L’unico brandello di libertà “artistica” (lasciatemela usare questa detestabile espressione) sta ancora nella pittura, l’unica materia che si può ancora astenere dall’individuo, dall’intenzionale, dalla notizia, dall’automatico pilotato, dall’ipnosi collettiva dell’opinione.
Ecco perché l’IA si è messa a dipingere
Ecco perché l’IA si è messa a dipingere e noi continuiamo a lavorare, perché siamo noi le macchine adesso. Siamo il dato reale che lo zombi umano esegue o commenta, l’unico culto da seguire è la pittura-arte autistica non interattiva, che non comunica, che è letteratura ambientale che sanguina, e se ne sta per i cazzi suoi in pace, colore è rappresentazione che lo ammette a se stessa, fregna che suda passione Bukowsckiana, Berlusconiana oserei dire, Berlusconi dipingeva e non lo sapeva, calcolo geniale prospettico aberrato e moralista di Beato Angelico che aggira l’algoritmo, la pittura eterna che si manifesta reale a filo di luce, e disegna cose, la pittura mistico-astratta di Giotto, il De pictura del Vasari, scritto in sanscrito, la pittura che frega il tempo e lo spazio è astorica, atemporale, è la pittura l’anacronismo più grande, l’Anarca pallido più solo e trucido, abbandonato in montagna, la boiata più grossa, la pittura!
Che trascende, si inerpica, cede, si abbandona, crepate nell’umidità, crosta. La pittura si vende, la pittura è borghese, la pittura è punk (altra parola stuprata), e se si vuole ancora a bussare di questo manierista maledettismo maledetto, la pittura è scapigliata, scivola nella tela spinta dal pennello è tragicamente trascinata.
Materia inzuppata in bicchieri di plastica e solitudine
Materia inzuppata in bicchieri di plastica e solitudine, dipinsi l’anima su tela anonima e mescolai la vodka con acqua tonica. Pittura che assorbe luce, pressione sanguigna, respiro, il segno registra tutto, il colore imprigiona e libera è retorico, ridondante, barocco minimalista, comunista. Opulento. Minimalista, soddisfa, registra in silenzio se ti sei lasciato con la fidanzata, o hai pianto, o se ti sei fatto una sega o sei un vincente, il colore assorbe tutto in olio su tela, è organico, segna la tua giornata, l’aura, lo spirito, l’anima, è tutto sensibile, malleabile, macchia lontano dal reale, cuore d’artista che sta tutto lì tra i tuoi vestiti da lavare, nella lavatrice. Ci sono pittori che si forzano molto nella forma, per fare di questa materia una strana caricatura del reale e della visione, niente paga di più del saper costruire con le mani un’immagine da zero.
Chi pratica la pittura, sa che è il mezzo più comune e complesso per allontanarsi dalla grande trappola della coscienza, la sua, la tua, la nostra coscienza cerebrale, macchina ingegnosa di inganno, registratorino di cassa aziendale e razionale montato sulla testolina, da teschio pinocchio umano ed immondo.
Attore per un mondo di attori, che non vuole ubbidire, cervellino che crede di essere personale magari insolito, obsoleto proiettore di vecchie diapositive di una realtà che crede di esistere solo perché respira e chiama la luce giorno e notte, illusorio libero arbitrio di sensi e senso compiuto, indipendente da spirito ed anima.
La pittura ci libera dalla tragica illusione che noi tutti chiamiamo intelligenza
La pittura ci libera dalla tragica illusione che noi tutti chiamiamo intelligenza, la pittura fa parte di quella coscienza stupida e sublime, innata, istintiva, che riesce a piegare illusioni psichiche, ed emotive, alla rigidezza del pennello e quindi è felice.
Cazzo intergalattico del pittore maschio alfa che dice no al mondo perché non se ne accorge, che dà di spalle al mondo, alla società, e all’intero universo, nell’atto stesso del dipingere, mentre respira romanticamente trementina e gli occhi un po’ bruciano, e un po’ piange nel cuore, sconfitto dall’economia reale, se il colore è puro la tela è l’inizio di qualcosa di grande e perfettamente inutile, bello retorico e raro come il fiocco di neve che cade a Natale.
La pittura per chi la pratica è spesso un incanto, dalla signora Pina che la fa per hobby al Dandy ventenne figlio di papà in accademia, fino ai freaks del mai dimenticato Diprè col suo Osvaldo Paniccia. Da Osvaldo Paniccia a Raffaello Sanzio democrazia pittorica, Paniccia il Picasso dell’umidità romana, Raffaello il pittore dell’umanità, Paniccia unico pittore italiano.
(1 – continua. La seconda parte la trovate qua).