Si intitola semplicemente opere -così, minuscolo- la personale di Rosalinda Celentano da Federico Rui Arte Contemporanea a Milano e il minimalismo sussurrato e schivo del titolo è inversamente proporzionale al carattere proteiforme e magmatico delle… opere, appunto, a parete.
C’è tutta Rosalinda Celentano in questa “pittura vocale“, così la definisce felicemente Federica Galizia nel catalogo edito da ArtsLife e con un testo di Lucien de Rubempré: ma la “pittura vocale” non si esaurisce in questo mezzo espressivo, perché spazia dal disegno alla tecnica mista all’installazione.
Ad ogni modo, siamo al cospetto di un’arte comunicativa nel pieno senso del termine, grazie alle epigrafi sintetiche e sentenziose che si accompagnano alle opere in mostra. I temi, innanzitutto: citando Andrè Malraux ci vien da pensare alla condition humaine perché questi lavori così espressionisti hanno per protagoniste figure affilate e in via di spegnimento ma, come ci insegna McLuhan, il mezzo è il messaggio e quindi ecco che il tratto scabro e nervoso di Rosalinda Celentano ci porta a un universo di discorso che ci riguarda tutti: questa è una delle ragioni per cui, come ci insegnava il compianto Inga Pin, l’arte è fedeltà al presente. Da Federico Rui facciamo un viaggio nella storia e nella sociologia così lontane e così attuali: la follia e l’edu-castrazione delle istituzioni totali con tanto di citazione della legge Basaglia che nel ’78 chiuse i manicomi, l’assassinio della verità (detta per via letteraria in quel celebre editoriale sul Corrierone) con la morte di PPP (a proposito, l’anno prossimo saranno 50 anni esatti), l’ipertrofia comunicativa dei tempi moderni quando il telefono non serve più a telefonare ma a ingobbirsi ficcando gli occhi nei reel di Instagram.
E poi e poi…e poi il ruolo dell’artista nella società, che è sempre contemporanea: “…la cosa più brutta x un artista o Poeta che sia… È di sapere quando fermarsi. Come quando io stessa di fronte al primo bicchiere… mi devo fermare prima della catastrofe“, leggiamo su una delle opere. Siamo di fronte a un espressionismo austriaco redivivo in una temperie storica, quella attuale, che per certi versi è anche peggio di quell’altra e i lavori di Rosalinda Celentano colpiscono e affascinano per la loro gaia brutalità, per quel laicismo devoto che ci sembra a un passo dalla zona pericolo, con quel manichino crocifisso installato in un’area oseremmo dire riservata dello spazio espositivo, a un centimetro dall’effetto Grand Guignol con l’altro gruppo installativo, una scia rosso sangue alla parete che a momenti ci fa ricordare Veronica Lario in quella scena di Tenebre mentre a pavimento troneggiano parti di manichini disassemblati e quindi pazienza, nell’ordinamento di una mostra càpita che slitti la frizione ma la macchina va lo stesso.
Opere è una mostra da guardare e da leggere, perché i dipinti e i disegni di Rosalinda Celentano sembrano pagine di un libro illustrato di pregio sfogliate fior da fiore e ri-esposte libere, sapendo però che il nostro vivere è un battere di ciglia e che questa nostra umanità caduca ma ostinata ha di fronte la verità di Schopenhauer, perché alla fine è vero quel che scrive/dipinge Rosalinda “...tutti siamo di passaggio, CERTO!, tranne Uno, IL MALE!“.