Alla base di ogni creazione artistica, esistono i materiali, fonte originaria di idee. Un materiale può ispirare un determinato stile, per mezzo delle proprie caratteristiche, consistenza, colore, luminosità, per la loro presenza o assenza.
Adonai Sebhatu, artista bolognese ultra-contemporaneo, ne sente il richiamo e, nell’interagire con queste presenze apparentemente prive di energia vitale, ma in attesa di interazione, costruisce un nuovo alfabeto concreto. Tra i sostantivi materia e materiale, c’è una differenza che si riflette nell’azione creativa visiva e nel conseguente risultato.
Nel primo caso la propensione alla mimesi avviene tramite ingrandimento macroscopico del particolare di una superficie fisica, fino alla perdita del riferimento figurativo. La realtà appare camuffata dall’astrattismo, la presenza della materia grezza è fisicamente aggettante, ma assolutamente descrittiva, in macro, del vero. Spesso il materico può sembrare informale, ma in realtà è il particolare in close-up di una forma.
Nel secondo si definisce, invece, qualsiasi cosa appartenga già alla dimensione reale, oggetti industrialmente fabbricati, finiti, pronti per essere commerciabili, votati all’utilizzo o alla contemplazione, adatti esteticamente ad un approccio pop e concettuale, pur collocando i due ambiti del secondo 900 all’estremo di due poli, tanto stilisticamente, quanto poeticamente.
Nel lavoro di Sebhatu, l’attrazione per il materiale prevale sul materico, mentre la componente concettuale dell’oggetto sembra cedere il passo al didascalico/descrittivo (appunto di un nuovo alfabeto) e in chiave assolutamente anti-pop, di recupero del materiale in sovrapproduzione, proveniente dal bene di consumo che la cultura pop, ormai involuta e degenerata, continua a rigurgitare. Nei suoi lavori si ha l’impressione di vedere subito, chiaramente, un’immagine conosciuta, ma la sovrapposizione di ritagli su livelli composti da superfici trasparenti e semi-trasparenti, spinge l’occhio a scrutare oltre il primo sguardo, ed indagare quella profondità appena intuita.
Il materiale originario, proveniente dall’ambito della tecnologia commerciale, viene smontato dall’artista, nell’intento di vedere cosa contiene di utilizzabile al suo interno, allo scopo di rigenerare qualcosa che abbia un nuovo senso estetico. Smontare lo schermo digitale di una tv è come aprire un organismo pieno di elementi, o componenti, che evocano qualcosa. Una scheda video, ad esempio, può sembrare una città o una mappa, con quell’insieme schematico di centri (piazze), collegati tra loro da linee rette (strade).
E del resto quello che notiamo ad un primo sguardo sono paesaggi cittadini, spazi urbani, architetture industriali, il riferimento è ad opere come Plan Hypothesis del 2022 e Nowhere del 2023. L’aspetto figurativo di questi paesaggi, così decadente, è una visione tutt’altro che lontana dalla sfera del possibile. I complessi industriali spesso si stagliano neri e sporchi in luoghi naturali, ormai definitivamente contaminati, appare evidente in The Hiding Place sempre del 2022.
Questa prima impressione, tuttavia temporanea, lascia poi spazio alla realtà dell’oggetto che stiamo contemplando. Lo sguardo si concentra ad un tratto sul dettaglio delle forme composte, che trasportano il pensiero lontano dalla prima immagine decifrata. Adattando lo sguardo al linguaggio di un secondo livello di lettura, geometrico e assolutamente concreto, prende vita la composizione di circuiti elettrici riportati su acetato trasparente e sovrapposti.
L’interferenza di fogli lucidi, semitrasparenti, agendo come un filtro sulla linea del circuito sottostante, compone un disegno astratto ritagliato, applicato sulla superficie in frammenti, al fine di completare un insieme esteticamente armonico, nella sua visione globale. In continuous trasformation, Attack of Titans o Super high horizontal ways del 2023.
La superficie di base è spesso composta da fogli da disegno architettonico su cui sono stati abbozzati progetti, attraversati da punti e linee sovrapposte e in trasparenza. Lavori del 2019 sui quali l’artista sentiva ancora la necessità di intervenire in maniera sfacciatamente figurativa, come nei Contadini o Scene di fattori del 2021.
In questi casi la carta occupa ancora una posizione di secondo piano rispetto al disegno, ma non nasconde affatto la propria volontà di riaffiorare in superficie.
Nel caso dei Troni di Arezzo del 2024, una volta registrata la struttura concreta tecnologico/geometrica, il paesaggio urbano ormai si intravede solo con uno sguardo periferico, non è più protagonista rispetto alla forme del rettangolo e del cerchio nella loro semplicità. Forme regolari si muovono sulla superficie bianca come esplose, reduci di un nuovo Big Bang.
L’impatto ipnotico diventa una componente del gioco visivo ed è a questo punto che risulta difficile tornare indietro allo scopo di ritrovare la figura, la realtà delle prospettive degli edifici e le mappe geografiche.
Con i Troni il materiale che ispira queste opere, diventa protagonista nella rappresentazione, ed in effetti sembra proprio questa la direzione che vuole prendere l’artista, un viaggio interstellare simile a quello di un certo astrattismo concreto russo della prima metà del 900, ma filtrato dalla tecnologia contemporanea. In un certo senso un modo diverso di approcciare al digitale nell’era del digitale.
Adonai Sebhatu, artista del 1986 da seguire nel suo percorso creativo perché è in costante crescita, con numerose mostre negli ultimi due anni in Italia, e all’estero per la FiloARTE Gallery a Locarno con la personale Re-Genesis, o al DIFC Sculpture Park di Dubai con l’opera tridimensionale Digital Self nel 2023.
Ad maiora semper.