Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 13)


Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime undici puntate
 sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 4) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 5) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 6) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 7) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 8)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 9) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 10) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt.11) e qua (Speciale Artisti Biennale pt. 12) Di seguito, ecco la tredicesima puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.

Anna Maria Maiolino (Scalea, Italia 1942)

Anna Maria Maiolino

È un’artista italiana residente in Brasile, dove ha vissuto un periodo tragico segnato dal regime militare. La sua ricerca artistica matura proprio in relazione con una quotidianità surreale, quella di una nazione oppressa dalla dittatura. Vissuto personale e vicende politiche si intrecciano nel lavoro di Maiolino, che usufruisce di diversi linguaggi artistici dalla performance, all’installazione, al cinema, al disegno, alla scultura, fino alla fotografia, per esplorare i rapporti umani e le difficoltà comunicative. L’artista percorre una strada in bilico tra l’attenzione per la corporeità, la fisicità e la dimensione spirituale. Le sue opere pittoriche e incisioni degli anni Sessanta risultano estremamente radicali, unendo l’immaginario pop ai temi caratteristici della Nova Figuração. In esse, l’artista si focalizza su personaggi e narrazioni politiche, intrecciandoli con riferimenti personali, corporei e familiari.

Anna Maria Maiolino performance Entrevidas


Tra i suoi lavori più noti troviamo “Entrevidas” (Tre le vite), opera scaturita da una performance realizzata a Rio de Janeiro nel 1981 e presentata come installazione a San Paolo nello stesso anno. Si tratta di un lavoro nato dalla riflessione sull’instabilità politica brasiliana: all’epoca il Presidente del Brasile, il Generale João Figueiredo, promise un ritorno alla democrazia, alimentando una speranza al tempo impossibile. Anna Maria Maiolino restituisce la diffidenza dei brasiliani rispetto alla promessa occupando lo spazio espositivo con delle uova e invitando i visitatori a “camminare tra le uova”, costringendoli a immergersi in una situazione delicata che richiede cautela e concentrazione, originando così una sensazione di precarietà.
Anna Maria Maiolino partecipò alla mostra seminale “Nova Objetividade Brasileira” nel 1967, confermando la sua posizione di artista concettuale nel corso degli anni. La sua arte è connotata da un approccio minimalista e dall’esplorazione della materialità, spesso utilizzando materiali da costruzione come l’argilla e il cemento. Ha esposto in diverse istituzioni e spazi in tutto il mondo, quest’anno ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale d’arte di Venezia.

Anita Malfatti (San Paolo, 1889-1964)

Anita Malfatti

Considerata una pioniera del Modernismo Brasiliano, Anita Malfatti nasce nel 1989 a San Paolo in Brasile, tuttavia completa la sua formazione a Berlino al Royal Museum of Arts and Crafts e New York alla Independent School of Art. L’influenza di queste due città è chiaramente visibile nelle sue prime opere: una serie di ritratti dal gusto espressionista nei quali coglie i dettagli della personalità e della psicologia dei soggetti raffigurati. Per esempio nell’opera “A mulher de cabelos verdes” (1915), l’artista delinea la figura attraverso una serie di macchie rosse e verdi alternate sulla tela, generando così un forte contrasto tonale. L’influenza del movimento espressionista si palesa nella resa del volto, che presenta proporzioni allungate e una trattazione distorta di elementi come orecchie, naso e mento che sembrano rimarcare l’età avanzata della figura raffigurata. L’opera fu parte dell’esposizione tenuta da Malfatti a San Paolo nel 1917, mostra destinata a segnare l’avvento dell’arte contemporanea in Brasile.

Anita Malfatti A mulher de cabelos verdes

Tra le influenze che possiamo riscontrare nella produzione della pittrice brasiliana è d’obbligo citare quella dell’arte post-impressionista, alla quale si ispira sia nella tavolozza che nella scelta delle ambientazioni e dei soggetti dipinti. L’artista fu una delle protagoniste della Settimana dell’arte Moderna del 1922, evento fondamentale per l’arte brasiliana. La sua produzione è connotata da tonalità brillanti, pennellate veloci ed espressive e dalla costante presenza di temi e soggetti della tradizione culturale brasiliana.
Anita Malfatti rimase una figura di spicco nel panorama artistico brasiliano fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1964. Le sue opere sono state esposte in occasione di mostre e fiere in tutto il mondo, entrando a far parte di numerose collezioni prestigiose.

Ernest Mancoba

Ernest Mancoba (Johannesburg, Sudafrica, 1904, Clamart, Francia, 2002)

Artista sudafricano, originario di Johannesburg, noto per aver fatto parte del gruppo CoBrA, movimento d’avanguardia parigino. Ernest Macomba è discendente del popolo nomade degli Mfengu, figlio di un predicatore e di un’insegnante con una rigida istruzione anglicana, scopre la sua passione e il suo talento per l’arte durante una missione religiosa.
Macomba unisce le tradizioni artistiche africane alle istanze del Modernismo Europeo, costruendo interessanti riflessioni sui concetti di identità e spiritualità osservati come due elementi intrecciati. L’artista subì numerosi attacchi razzisti per via della sua attività politica, offese che non rallentarono la sua prolifica produzione composta da dipinti e sculture che illustrano il suo legame con le radici africane e l’eredità artistica europea.

Ernest Mancoba Composition

Le lunghe visite al British Museum hanno influenzato il suo lavoro, nel quale il riferimento alle maschere centrafricane e la riduzione astratta delle forme hanno un chiaro richiamo con le avanguardie.
Presenzia alla Biennale di Venezia con l’opera “Composition”, lavoro precedente alla sua adesione al collettivo CoBrA, in cui è evidente un progressivo distacco dallo stile realistico adottato nelle opere realizzate prima di lasciare il Sudafrica. Il pittore viene a mancare nel 2002 in Francia, lasciando dietro di sé un’eredità fondamentale che continuerà a lungo ad influenzare i giovani artisti africani contemporanei.

Edna Manley

Edna Manley (Bournemouth, Regno Unito, 1900 – 1987, Kingston, Jamaica)

È stata una figura fondamentale nell’arte giamaicana del Novecento, diventata nota per la sua ricerca artistica scaturita dalla volontà di esplorare la cultura giamaicana restituendone l’incredibile ricchezza. Edna Manley nasce nel 1900 in Inghilterra, tuttavia si trasferisce nel 1922 in Giamaica accompagnata dal marito. La sua opera più rappresentativa intitolata “Negro Aroused” (1935), può essere considerata un manifesto del suo impegno politico durante un periodo fondamentale per la storia del lavoro in Giamaica. Eseguita in legno di mogano (ne esiste anche una copia bronzea), la scultura raffigura un uomo che si erge faticosamente in piedi rivolgendo lo sguardo verso il cielo alla ricerca della libertà opponendosi all’oppressione del colonialismo. A rendere particolarmente allusiva l’opera è il periodo di realizzazione che riflette le proteste per i bassi salari e le pessime condizioni di lavoro che hanno travolto la Giamaica negli anni ‘30. “Negro Aroused” è un simbolo di lotta, che punta a comunicare e potenziare la volontà rivoluzionaria.

Edna Manley Negro Aroused


Manley ricoprì un ruolo fondamentale nell’affermazione dell’arte giamaicana sia attraverso le sue opere sia per via dei suoi sforzi nel promuovere la nascita di istituzioni artistiche nel Paese. Le sue sculture ritraggono persone, lavoratori ed elementi della tradizione giamaicana messi in relazione con le tecniche e lo stile modernista, che non prevale sul legame con la terra adottiva. L’artista continuerà ad influenzare la scena artistica giamaicana fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1987.

Josiah Manzi

Josiah Manzi (Zimbabwe, 1933–2022)

È stato un esponente cruciale della comunità artistica di Tengenenge presso Guruve. Considerato uno dei pionieri del movimento della scultura contemporanea, è celebre per l’utilizzo della pietra dello Zimbabwe, il cui utilizzo si diffuse negli anni Sessanta.
Nella sua ricerca artistica indaga i temi dell’identità, della tradizione e del mutamento esplorando la complessità delle società africane moderne unite dal passato coloniale. Nella produzione di Manzi possiamo trovare sia tele che sculture, entrambe connotate dalla scelta di colori accessi e dall’inclusione di simboli derivanti dalla tradizione africana. Infatti, tra i motivi ricorrenti nella sua produzione figurano elementi zoomorfi e antropomorfi fusi insieme in figure con testa a forma di cono, colli allungati, esseri parzialmente umani e in parte animali allegorici, totemici, come rinoceronti e uccelli.

Josiah Manzi Rhino abstract

La maggioranza delle sue opere si ispirano alle cosmologie e al folklore delle popolazioni africane, possiamo quindi identificare nel suo universo visuale l’impatto esercitato dalla religione del popolo Yao del Malawi. All’interno della comunità l’artista ricopriva il ruolo di “chigure”: figura religiosa che costruisce maschere rituali. Josiah Manzi rimase una figura influente nel mondo dell’arte fino alla sua morte, avvenuta nel 2022.

Teresa Margolles

Teresa Margolles (Messico, 1963)

Artista contemporanea che esplora le tematiche della violenza, della morte e della disuguaglianza sociale, spesso utilizzando materiali provenienti dalla scena di crimini e da obitori per creare potenti installazioni e performance. Luoghi a cui ha accesso per via dei suoi studi in medicina forense. Attraverso l’arte pone gli spettatori di fronte alle problematiche di ordine politico e sociale diffuse in Messico, affrontate da una prospettiva femminista che ben evidenzia le crudeltà legate alla narcoviolenza. Con la sua pratica multidisciplinare è una delle artiste che più hanno affrontato un tema delicato come quello della brutalità della guerra tra narcotrafficanti e forze dell’ordine nella Repubblica Messicana, producendo lavori nei quali emerge una solida condanna alla violenza e alle problematiche che questa comporta per le famiglie delle vittime, le comunità e lo spazio pubblico.

Teresa Margolles Periferia dellagonia


Nonostante abbia esposto a livello internazionale, l’artista risiede a Città del Messico e a Madrid, dove lavora su progetti nati con lo scopo di sensibilizzare e informare il pubblico sulle conseguenze della presenza criminale sul territorio. Teresa Margolles è una delle fondatrici del collettivo artistico SEMEFO (Servicio Médico Forense), gruppo di ispirazione death metal fondato nel 1990, che ha esposto la negligenza governativa e il costo sociale ed economico della criminalizzazione e delle droghe tramite l’utilizzo delle tracce e gli odori della morte.

Maria Martins

Maria Martins (Campanha, Brasile, 1894 – 1973, Rio de Janeiro, Brasile)

Maria Martins è stata un’attivista e scultrice brasiliana nota per le sue opere surrealiste. L’artista ha trascorso molto tempo negli USA e in Europa, dove ha preso parte al movimento surrealista e si è confrontato con maestri del calibro di Marcel Duchamp. I suoi lavori raffigurano temi mitologici e fantastici, fondendo le influenze del patrimonio culturale brasiliano con le tecniche d’avanguardia.
La sua opera è stata in grado di mettere in discussione e ridefinire l’idea brasiliana di femminilità. Nel 1945, inizia la serie “Le mie idee e i miei mostri” e in parallelo crea delle vere e proprie mitologie personali che hanno come protagoniste delle figure femminili ibride e mostruose tramite le quali l’artista affronta i temi dell’erotismo e del desiderio. “However” (1948) riassume perfettamente questa serie: ritrae un soggetto femminile con il corpo circondato da serpenti, uno che le stringe le gambe, l’altro che le comprime il petto e il seno.

Maria Martins However

Il viso viene caratterizzato solamente da una bocca aperta e ambigua che suggerisce un grido di dolore o piacere. L’artista sceglie i serpenti come allegorie del mito, capaci di richiamare una minaccia esterna o interna, richiamando personaggi della mitologia antica, come Medusa, o riferendosi al peccato originale. Diventata celebre per le sue opere dal carattere progressista, Maria Martin è rimasta una figura significativa nella scena artistica brasiliana e  internazionale fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1973.

María Martorell

María Martorell (Salta, Argentina 1909 – 2010)

Figura cruciale per la scena artistica argentina, che con i suoi dipinti dai colori vibranti e dalle composizioni dinamiche ha contribuito allo sviluppo dell’arte astratta nel Sud America. Per la sua formazione sono stati fondamentali i soggiorni a Madrid e a Parigi, dove studia alla Sorbonne. Le correnti artistiche incontrate in Europa la accompagneranno anche dopo il suo ritorno in Argentina. Infatti, il suo lavoro verrà arricchito dalle nozioni di sociologia e psicologia della percezione apprese durante la formazione parigina.
A metà degli anni ‘60, inizia produrre e progettare vari arazzi, connotati da forme esagonali e poche tonalità cromatiche, ma dal forte senso di tridimensionalità. Le geometria sarà una costante del suo catalogo, che vedrà un’evoluzione dai poligoni più semplici alle ellissi, affiancate da bande colorate ondulate. In questo periodo comincia la ricca produzione in serie, scelta nella quale possiamo intravedere l’influenza del pittore astratto tedesco Josef Albers.

María Martorell Untitled


Successivamente, Martorell inizia a dedicarsi ai formati del dittico e del trittico, realizzando la sua opera più nota “Ekho Dos” (1968), parte di una serie omonima più ampia. L’opera presenta uno sfondo monocromo sul quale assistiamo all’infrangersi di segni dinamici, dal moto ondulatorio, che restituiscono movimento e modificano la superficie dipinta e, allo stesso tempo, comunicano una sensazione di calma e serenità.
La pittrice ottenne il riconoscimento internazionale e continuò ad esporre e dipingere fino alla morte.

Mataaho Collective

 

Mataaho Collective (Te Atiawa Ki Whakarongotai, Ngāti Toa Rangātira, Ngāti Awa, Ngāi Tūhoe, Ngāti Pūkeko, Ngāti Ranginui, Ngāi Te Rangi, Rangitāne Ki Wairarapa)

Collettivo di artiste Māori nato nel 2012 ad Aotearoa in Nuova Zelanda dal desiderio di esplorare le tematiche legate all’identità indigena tramite installazioni in fibra su larga scala, capaci di comunicare con le comunità autoctone e l’ambiente. La pratica artistica di Mataaho Collective è intrinsecamente collegata alle tradizioni culturali Māori trattate con un punto di vista contemporaneo, prospettiva da cui intendono rafforzare significativamente la scena artistica neozelandese.
I loro progetti sono realizzati in takapau, stuoia tessuta finemente tipica delle cerimonie religiose neozelandesi, in particolare quelle legate al parto. Nella cultura Māori l’utero è visto come uno spazio in cui i bambini sono temporaneamente connessi agli dei, il takapau veniva utilizzato come simbolo della nascita, momento di passaggio fra luce e buio.

Mataaho Collective


L’installazione presentata dal collettivo alla Biennale è sostenuta da tiranti nati dalla commistione di attrezzi per mettere in sicurezza e sostenere i carichi pesanti in movimento. La scelta ricade su questi materiali per offrire visibilità ai lavoratori troppo spesso ignorati, celebrando i mestieri tipici della storia del loro Paese. L’installazione “Takapau” è fruibile a tutto tondo, ogni prospettiva offre una visione differente della complessa struttura costruita per generare forti giochi di luci e ombre sui motivi del tessuto costruendo un’esperienza multisensoriale, hanno ricevuto il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale alla 60ma Biennale d’arte di Venezia.

<strong>Naminapu Maymuru White<strong>

Naminapu Maymuru-White (Djarrakpi, Australia, 1952, vive a Yirrkala, Australia)

Artista multidisciplinare australiana conosciuta per la sua pratica artistica che spazia dalla pittura all’intaglio, dalla stampa alla tessitura e al batik. La sua ricerca si focalizza sui racconti ancestrali, i quali narrano le energie naturali riflettendo il patrimonio culturale del suo popolo. I suoi miny’tji sono disegni che riflettono la mitologia legata al fiume Milniyawuy che attraversa il Paese dei Mangalili e la Via Lattea celeste. Nelle sue pitture realizzate su corteccia vivono fiumi di stelle che si intrecciano e ruotano sulla superficie riflettendo il cielo notturno.

Naminapu Maymuru White


Nell’operato dell’artista ogni stella rappresenta le anime mangalili passate, presenti e future. I cieli colmi di stelle e paesaggi fluviali raffigurati dalla pittrice sono realizzati con il marwat (pennello tradizionale composto da capelli umani). L’intricato rapporto tra il mondo ancestrale delle sue opere e quello contemporaneo vissuto da Maymuru-White, rappresenta il fulcro della sua arte, che grazie all’arte attraversa epoche, spazi e luoghi. I dipinti sono intrisi di energia naturale e donano matericità alla pittura, che trova il suo compimento nella forma e nell’alternanza del ciclo vita e morte.

Mohamed Melehi

Mohamed Melehi (Asilah, Marocco, 1936 – 2020, Parigi, Francia)

Pittore fondamentale per la crescita della Scuola di Casablanca, noto per le sue opere astratte caratterizzate da tonalità brillanti e arricchite da motivi della tradizione marocchina. L’universo visuale di Melehi incorpora le onde come immagini mutevoli, trasformate in parti del corpo umano, in esplosioni con magma, o ancora in forme completamente astratte, decostruite in una sintesi minimale. Queste onde derivano dalla personale interpretazione dell’artista dei manufatti noti come tappeti Glaoui, composti con un’ampia gamma di tecniche tessili volte a costruire fasce su trame piatte e allungate, oggetti comuni per la cultura tribale amazigh.

Mohamed Melehi Soleil oblique

Dagli anni ‘70, Mohamed Melehi ha introdotto la vernice per auto a base di cellulosa nei suoi dipinti per restituire colori piatti e brillanti alla superficie lignea. L’intento dell’artista è quello di ottenere composizioni in cui non esiste traccia delle pennellate, nelle quali il piano appare completamente piatto esente da elementi materici. I suoi dipinti sono interessanti giochi visuali basati sulla direzione delle onde e sugli accostamenti di colore.
Il pittore è stato anche un influente educatore artistico e un fervente sostenitore dello sviluppo culturale del suo Paese fino alla morte, avvenuta nel 2020 a Parigi, sua città di adozione.

Carlos Mérida

Carlos Mérida (Città del Guatemala, Guatemala, 1891 – 1985, Città del Messico, Messico)

È stato un pittore modernista originario del Guatemala, che univa tecniche europee con tematiche tratte dalle culture indigene latinoamericane. Méridacompletò gli studi in Europa e fu dunque influenzato dai movimenti d’avanguardia del primo Novecento. I riferimenti all’arte primitiva e alle figure sinuose e allungate di modigliani appare evidente nella trattazione dei suoi soggetti femminili.
La sua pratica si distingue per il connubio tra gli stili modernisti europei e i simboli e gli elementi dell’arte popolare delle Americhe, spesso riflettendo il patrimonio culturale del Guatemala e del Messico, dove trascorse gran parte della sua carriera.

Carlos Mérida Motivo Guatemalteco


L’opera presentata alla Biennale di Venezia, “Motivo Guatemalteco” (1919), fa parte di un corpus di lavori incentrato sull’essenza dei popoli indigeni e sulla cultura Maya. Il pittore ritrae orgogliosamente una figura femminile maya quiché in posa con le vesti tradizionali che rappresentano la sua appartenenza alla comunità. La donna sembra portare abiti e manifestare connotati tipici dell’altopiano di Quetzaltenango in Guatemala, luogo d’origine dell’artista, tuttavia il lavoro risale all’anno del definitivo trasferimento a Città del Messico. La tela guida lo sguardo dell’osservatore catturato dai dettagli della fusciacca, del cerchietto e dell’huipil, dai motivi ornamentali e dai colori che simboleggiano la visione del mondo propria del popolo ritratto. Nei dipinti di Carlos Mérida possiamo riscontrare una profonda indagine dei mestieri popolari della tradizione e una sorta di esortazione del corpo femminile.

Gladys Mgudlandlu

Gladys Mgudlandlu (Peddie, Sudafrica, 1917 ca. – 1979, Città del Capo, Sudafrica)

Artista ed educatrice divenuta celebre grazie ai suoi dipinti fortemente espressivi ritraenti paesaggi e scene di vita rurale, fu una delle prime donne nere sudafricane ad ottenere un riconoscimento nel panorama artistico. I suoi paesaggi disturbanti sono dipinti di notte, attingendo all’infanzia trascorsa nella provincia rurale del Capo Orientale e al suo patrimonio culturale.
Gladys Mgudlandlu è stata l’artista visuale nera più importante del Sudafrica negli anni Sessanta. I suoi ritratti rappresentano fanciulle o donne appartenenti al gruppo etnico xhosa, solitamente ritratte in coppia o in trio. Nella sua produzione troviamo una forte presenza del bianco considerato un colore sacro e potente che racchiude i luoghi della sua crescita.

Gladys Mgudlandlu


L’opera selezionata per la Biennale è satura di sacralità, le donne ritratte sono raffigurate con forme ampie e tozze e portano l’uniforme della chiesa AmaZioni. Nonostante il dipinto sia riferito al periodo giovanile racchiude in sé le caratteristiche che saranno proprie dello stile maturo di Mgudlandlu. La scena è offerta allo spettatore da un punto di vista particolare ottenuto tramite la prospettiva “a volo d’uccello”, molto amata e utilizzata dall’artista, che si identifica nei volatili, ritratti spesso in opere come “The Oystercatchers” (1964), nella quale il rigore simmetrico prende parte ad un’estetica severa e geometricamente definita.

Omar Mismar

Omar Mismar (Taanayel, Libano, 1986)

Artista multidisciplinare libanese residente a Beirut, dove porta avanti una pratica che intreccia arte, politica ed estetica del disastro. Mismar ha sperimentato con diversi medium e materiali, creando riflessioni formali e nuove strategie di comunicazione visuale. Nel suo lavoro esplora le conseguenze del conflitto divenuto parte delle rappresentazioni quotidiane.
L’artista concentra le sue riflessioni sulla storia e sulle testimonianze del suo Paese, ricordandone le ferite e inneggiando al cambiamento. Nell’opera “Ahmad and Akram Protecting Hercules”, datata 2019-2020, manifesta un intento politico rendendo omaggio alle azioni eroiche dei guardiani di un museo archeologico in Siria.

Omar Mismar Fantastical Scene

In “Fantastical Scene” (2019-2020), sostituisce la testa di un leone, un predatore, con quella del toro che, per quanto potente, rimane una preda innescando un gioco di parole in arabo: il primo si traduce in “al- assad”, leone, e il secondo in “al-thawr”, che suona come “thawra”, o rivoluzione. Mentre in “Spring Cleaning” (2022) si concentra sui manufatti preziosi e le loro rappresentazioni ricoprendoli in poliestere, materiale emblematico che sintetizza le condizioni di vita dei rifugiati. 
Omar Mismar ha esposto in diverse importanti istituzioni e manifestazioni internazionali come l’Hamburg Phototriennale, il San José Museum of Art e il MoMA di New York. Inoltre, l’artista è anche l’art editor della rivista letteraria e artistica libanese “Rusted Radishes”.

Tina Modotti

Tina Modotti (Udine, Italia, 1896 – 1942, Città del Messico, Messico)

Attivista politica, fotografa e modella italiana nota per aver fatto parte del Movimento Muralista Messicano e del Partito Comunista. L’artista ha vissuto in Messico dagli anni ‘20 fino alla morte, rimanendo fortemente influenzata dalle questioni sociali e dalla vite della classe operaia messicana. La migrazione sarà fondamentale nel suo lavoro, come emerge dagli scatti di sua produzione, immagini importanti per il loro valore documentaristico, in quanto scattate negli anni che seguirono la Rivoluzione Messicana (1910-1917). 
L’artista iniziò il suo percorso lavorativo come assistente in camera oscura, successivamente si occupò della contabilità, per poi affermarsi definitivamente come fotografa. Durante questo periodo strinse profondi legami con numerosi artisti e intellettuali, tra cui figurano i coniugi Diego Rivera e Frida Kahlo, avvicinandosi rapidamente ai circoli bohémien di Città del Messico.

Tina Modotti Falce pannocchia e cartuccera


L’opera presentata in Biennale, “Falce, pannocchia e cartuccera” (1928), è uno scatto emblematico appartenente alla serie esposta nell’unica personale dell’artista tenutasi nel 1929 presso la Biblioteca Nacional de Mexico. Mostra composta da immagini in grado di riassumere perfettamente la pratica di Modotti, che coniuga forma e politica rivoluzionaria, affiancando oggetti evocativi appartenenti alla milizia comunista e ai lavoratori come: falci, cartucce, chitarre e mais.
L’esposizione fu apprezzata dalla critica e dalla stampa, ottenendo gli elogi del muralista Siqueiros, che la considerò: “la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. Tra le opere esposte, presenziavano alcuni scatti intitolati con i nomi degli articoli della costituzione messicana riguardanti i diritti dei lavoratori e la proprietà della terra.
Il suo stile si allontana da qualsiasi intento formalista per avvicinarsi alle storie della gente, del popolo, con uno sguardo senza giudizio, ma anzi partecipe e impegnato. La fotografa catturò i volti, l’umanità, la cruda realtà, raccontando i bisogni e le urgenze di una società travolta dal cambiamento.
Tina Modotti fu allontanata dal Messico poche settimane dopo la realizzazione dell’esposizione per via della sua attività di dissidente e per il coinvolgimento (falso) nel tentativo di togliere la vita al presidente Pascual Ortiz Rubio. La fotografa fu costretta ad emigrare in Europa, dove effettuò diversi viaggi sperimentando i dolori della guerra e dei totalitarismi, per poi tornare in Messico, dove vivrà fino alla morte.

(Schede a cura di Francesca Calzà)

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