Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Mostra Internazionale della prossima Biennale Arte di Venezia. In tutto saranno ben 332 artisti, provenienti da tutto il mondo e in molti casi ancora sconosciuti in Occidente. La prima puntata, con i primi 15 artisti in ordine alfabetico, l’abbiamo pubblicata qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1). Di seguito, ecco la seconda puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.
Iván Argote (Bogotá, Colombia, 1983. Vive a Parigi, Francia)
È un artista che sperimenta con diversi media, inclusi video, scultura, installazioni site specific e performance per esplorare le connessioni tra arte, storia e politica.
Argote indaga le modalità con cui la soggettività e l’affettività influenzano la percezione della sfera pubblica e privata con un approccio critico, spesso ironico, che esamina attentamente eventi storici e potere sociale.
Karimah Ashadu (Londra, UK, 1985)
Artista e regista britannica di origini nigeriane, vive e lavora tra Amburgo, Germania, Lagos e Nigeria. La sua è una pratica sperimentale che coinvolge video art e cinematografia per esplorare i temi legati all’identità, allo spazio e alla struttura sociale.
La sua ricerca artistica si focalizza sulle pratiche di lavoro e di autodeterminazione relative al contesto sociale, economico e culturale dell’Africa occidentale e della sua diaspora.
Dana Awartani (Jeddah, Arabia Saudita, 1987)
È un’artista visiva palestinese che vive e lavora a Jeddah. Nella sua ricerca artistica si intrecciano finemente tradizione e contemporaneità, attraverso la decodificazione simbolica traduce tecniche antiche per trasformarle in mezzi per studiare l’eredità culturale e spirituale.
Geometria e natura sono protagoniste nei suoi lavori in cui il linguaggio sacro si fonde ad un’estetica simbolista dalle infinite possibilità interpretative.
Aycoobo (Wilson Rodríguez) (La Chorrera, Colombia, 1967)
Artista colombiano, vive e lavora a Bogotà, portando avanti attraverso le sue opere le conoscenze botaniche della giungla amazzonica trasmesse dal padre Abel.
Attingendo dalle antiche radici legate alle tradizioni indigene per trasformare l’arte in un potente mezzo di salvaguardia e comprensione della cultura e delle pratiche spirituali colombiane.
Margarita Azurdia (Antigua, Guatemala, 1931–1998, Guatemala City)
Sebbene sia quasi sconosciuta in Europa, Azurdia è stata un’artista e una scultrice fondamentale per lo sviluppo del movimento femminista nel panorama artistico latinoamericano.
Il suo è un lavoro interdisciplinare capace di attraversare scultura, pittura, libri d’artista e poesia, rivolgendo uno sguardo critico verso le tematiche di genere, la politica e l’identità socio-culturale.
Leilah Babirye (Kampala, Uganda, 1985)
Artista e attivista ugandese, vive e lavoro a New York. Nella sua ricerca artistica esplora le questioni di identità, sessualità, diritti LGBTQ+. Dopo essere stata pubblicamente additata come omosessuale in Uganda, ha trovato rifugio a New York nel 2015 e ha ottenuto asilo politico nel 2018.
Le sue sculture, composte da materiali raccolti per le strade di New York, utilizzano spesso detriti e maschere tradizionali africane per esplorare l’identità LGBTQI. Attraverso il suo lavoro, Babirye cerca di affrontare le sfide che gli individui LGBTQI affrontano in Uganda e in Africa.
Libero Badii (Arezzo, Italia, 1916–2001, Buenos Aires, Argentina)
Pittore e scultore italiano, la sua opera si caratterizza per la ricerca sulla forma e il colore, con una particolare attenzione alle radici culturali latinoamericane e alla dimensione esistenziale dell’essere umano.
Artificio e naturale si uniscono nel suo immaginario creativo, chiaramente influenzato dal Surrealismo, per assemblare sgargianti automi per metà macchine e per metà uomini.
Ezekiel Baroukh (Mansoura, Egitto, 1909–1984, Parigi, Francia)
Pittore e sculture egiziano la cui carriera è stata fortemente segnata dalle vicende politiche del Paese che lo lo costrinsero ad emigrare in Europa. Barouk era un membro attivo del movimento Arte e Libertà che abbracciò il surrealismo. Nel 1946, Baroukh si trasferì a Parigi dove si sviluppò nell’astrazione e nel cubismo, allontanandosi dallo stile che lo aveva caratterizzato durante gli anni in cui visse ad Alessandria e al Cairo.
La sua arte riflette il conflitto tra le radici culturali egiziane e il periodo europeo. Nostalgia della propria terra e integrazione si scontrano nell’arte di Baroukh, evidenziando il forte e tragico impatto della seconda guerra mondiale e del suo successivo esodo.
Baya (Fatma Haddad) (Bordj El Kiffan, Algeria, 1931–1998, Blida, Algeria)
Artista e ceramista algerina, è conosciuta per le sue vivaci composizioni che ritraggono con nuance accese donne, animali ed elementi floreali. Scoperta dal gallerista parigino Aimé Maeght durante un viaggio ad Algeri, venne invitata a partecipare a una mostra a Parigi nel 1947, quando aveva solo sedici anni. Il suo lavoro, brillante e distintivo, affascinò l’ambiente dell’avanguardia francese, tra cui André Breton, e da allora divenne un’icona da una generazione di intellettuali francesi del dopoguerra.
Baya ha saputo combinare lo stile modernista con le influenze artistico-culturali algerine creando opere assolutamente uniche nel loro genere, che riflettono una gioiosa celebrazione della natura e della vita, con colori vivaci e motivi simbolici che richiamano la cultura algerina.
Aly Ben Salem (Tunisi, Tunisia, 1910–2001, Stoccolma, Svezia)
Considerato un pioniere della pittura moderna tunisina, ha saputo fondere nella sua arte il patrimonio culturale della Tunisia e le avanguardie europee, di cui l’influenza è evidente nel forte accento sulla colorazione e nelle ambientazioni di ispirazione post-impressionista, seppur unite al ricco decorativismo arabeggiante.
Alla fine degli anni Cinquanta, ha abbracciato una fase più sperimentale della sua carriera artistica, esplorando composizioni piatte e verticali e soggetti immobili. Questo cambiamento coincise con il suo matrimonio con l’artista tessile svedese Kerstin Nilsson, che influenzò la sua direzione estetica e la passione per l’arte musiva. La sua eredità come artista nazionalista e promotore della cultura tunisina persiste ancora oggi.
Semiha Berksoy (Istanbul, Turchia, 1910–2004)
Cantante lirica di fama internazionale e pioniera dell’opera in Turchia, figlia d’arte (la madre era pittrice e il padre poeta), è stata un’artista poliedrica che ha saputo unire nella sua arte una pittura fortemente espressionista alla performance, creando ambienti scenici onirici e dall’atmosfera tenebrosa. Ha iniziato la sua carriera negli anni Trenta e ha interpretato numerosi ruoli da protagonista in teatri e opere turchi e internazionali. i suoi quadri esplorano una giocosa interrelazione tra vita reale e performance artistica.
Semiha Berksoy è morta nel 2004 all’età di 94 anni, lasciando dietro di sé un’eredità significativa nel panorama artistico turco. La sua vita e la sua carriera hanno infranto barriere e ispirato generazioni successive di artisti in Turchia.
Gianni Bertini (Pisa, Italia, 1922–2010, Caen, Francia)
Artista di spicco nel panorama dell’arte del secondo Novecento, particolarmente attivo nel campo dell’astrattismo durante il secondo dopoguerra. Nel 1952-1953 si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con l’ambiente artistico internazionale e stabilì rapporti con critici e poeti locali, tra cui Pierre Restany. La sua pittura attraversò diverse fasi, dall’informale della pittura “nucleare” alle forme dell'”astrazione lirica”.
Nei primi anni Sessanta, Bertini sviluppò una personale sintesi delle nuove forme di figurazione attraverso la Mec-Art, una tecnica che combinava pittura e immagini fotografiche su tela. Inizialmente concepita come una risposta europea alla Pop Art, la Mec-Art caratterizzò gran parte della sua produzione successiva, sebbene fosse aperta a diverse integrazioni di forme e tecniche. L’artista prendeva spunto dalle immagini fotografiche prelevate dalle immagini della pubblicità e dalla cronaca, estrapolandole dai loro contesti originali per integrarli nelle sue composizioni.
Lina Bo Bardi (Roma, Italia, 1914–1992, São Paulo, Brasile)
Architetta e designer italiana, è stata una figura rivoluzionaria nell’architettura del Novecento, celebre per avere realizzato alcune delle più significative opere architettoniche brasiliane del XX secolo, unendo lo stile modernista alla sensibilità locale. Dopo la laurea a Roma nel 1939, si trasferì a Milano dove collaborò con Giò Ponti. Nel 1946 si stabilì in Brasile, diventando cittadina brasiliana.
La sua attività abbracciò architettura, design, museografia e restauro. Realizzò opere di straordinaria forza espressiva, come il Masp a San Paolo e il recupero della fabbrica della Pompéia. Bardi ha lasciato in eredità una concezione dell’architettura collettiva capace di coniugare natura, vita e comunità.
Maria Bonomi (Meina, Italia, 1935)
Nata nel 1935 a Meina, sul lago Maggiore, provieniente da una facoltosa famiglia lombarda, scappò giovanissima con la famiglia prima in Sviezzera poi a São Paulo, in Brasile, per sfuggire all’occupazione nazista. Da lì cominciò una carriera di artista, disegnatrice, grafica, che l’ha portata a collaborare con artisti importanti dell’arte e della cultura brasiuliana, oltre che, in Italia, con Emilio Vedova e Enrico Prampolini. In Brasile ha realizzato capolavori di arte pubblica.
Le sue opere si caratterizzano per lo scontro di volumi in una forte tensione tra curve e linee rette, e la sua ricerca artistica, profondamente radicata nella tecnica dell’incisione, si concentra sui temi sociali, politici e ambientali tramite un linguaggio visivo potente e impegnato che si manifesta nella sovrapposizione di forme e colori e nell’alternarsi di varie tecniche espressive.
Bordadoras de Isla Negra (Isla Negra, Cile, 1967–1980)
Collettivo di artiste e ricamatrici cilene il cui lavoro, fortemente ispirato alla poesia di Pablo Neruda, rappresenta una forma di narrazione visiva che intreccia storia e cultura cilena per produrre opere dai colori intensi che, attraverso il ricamo, sono capaci di risvegliare l’interesse per le tradizioni popolari.
Il gruppo è nato negli anni Sessanta, portanto all’attenzione del pubblico e dell’arte il lavoro di queste donne che utilizzavano il ricamo come forma di arte spontanea e popolare, venendo esposte in importanti centri espositivi in tutto il mondo, tra cui l’Institute of Contemporary Arts di Londra, la Biennale di San Paolo in Brasile e il Metropolitan Museum of Art di Miami. Le loro creazioni sono caratterizzate da scene vivide, calde e spontanee, che raffigurano scene di vita quotiudiana, attraverso uno stile semplice e lineare, tra animali, spazi famugliari, paesaggi rurali e urbani.
(schede a cura di Francesca Calzà)
La prossima puntata la trovate qua: Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 3)