Tiziano Lera, l’architettura biosistemica? Nasce già negli anni Settanta. Prima di Boeri e del Bosco Verticale…

Tiziano Lera ha una folta barba bianca, indossa un grande cappello di paglia con le falde con tanto di piuma che svetta in alto, un giubbotto beige, un panciotto coloratissimo e una bella sciarpa, anch’essa colorata. Lo incontro al Festival dei Rifiutati, a Massa, nella sede del Cermec, l’azienda di smaltimento e trattamento dei rifiuti che quest’anno, per la volontà del suo fondatore, Lorenzo Porzano, si è resa protagonista di un evento che è rimasto memorabile (e che presto si trasformerà in evento itinerante): una due giorni no stop di performance, mostre, dibattiti, laboratori con gli artisti in cui erano coinvolti ragazzi e bambini, in un serrato confronto sul tema della sostenibilità ambientale ma anche del recupero sociale, che ha visto protagonista il pubblico, con i lavoratori dell’azienda e una serie di artisti ben conosciuti e apprezzati nel panorama nazionale (da Giuseppe Veneziano a Giovanni Motta ad Andrea Crespi passando per Giacomo Cossio, che ha verniciato in diretta un enorme mucchio di spazzatura in verde bio, a Florencia Martinez con le sue sculture in stoffa, continuando con Filippo Tincolini, Gabriella Kuruvilla, Paolo Nicolai e Sara Forte, per citarne solo alcuni).

Tiziano Lera è stato uno degli artisti invitati al Festival, anzi, uno dei protagonisti principali, con l’esposizione di diversi progetti realizzati e da realizzare, una grande sedia “apotropaica”, fatta di spirali che raccolgono energia e per la quale ha utilizzato quelle che lui chiama “le lacrime di Michelangelo”, ciottoli (dunque scarti) del marmo che Lera raccoglie nelle cave fin da quando è bambino, coniugate con un una forma d’arte apotropaica appunto, fatta di simboli che allontanano la sfortuna e convogliano energie positive. Eppure, Lera non si considera proprio un artsista, o per lo meno non soltanto: è infatti prima di tutto un architetto e un designer, ma di un genere di architetto assai particolare, che coi temi del riciclo, dell’ambiente, della sostenibilità ha molto a che spartire, fin da tempi non sospetti, da quando cioè del tema dell’ambiente e dell’architettura sostenibile si parlava ancora poco o per nulla. Figlio d’arte, non nel campo dell’architettura ma dell’arte (la sua famiglia gestiva una delle più antiche fonderie d’Italia, che ha realizzato opere in tutto il mondo, dalla cancellata dello zoo di New York alla Sirenetta di Copenhagen, e da casa sua, quando lui era piccolo, passavano artisti celebri e affermati), Tiziano Lera ha da sempre studiato e praticato forme d’arte in cui si coniugassero l’amore per l’ambiente col desiderio di fare progetti improntati al rispetto della natura.

Molti i progetti in corso e in arrivo: dalla moda sostenibile, all’arte, all’urbanistica: attualmente, ha appena terminato il restilyng della piazza di Marina di Massa davanti al pontile, con una fontana di marmo nero con una “corona” floreale, panchine poetiche e molto verde. In questa intervista, ci siamo fatti raccontare da Tiziano Lera la sua storia, le sue esperienze più importanti, la sua filosofia dell’arte e dell’architettura e i progetti avviati e quelli che sta mettendo in cantiere.

Architetto Lera, può raccontarci delle sue origini e di come si è sviluppata la sua passione per l’architettura e la natura?

Nasco a Lucca, una città d’arte, e ho trascorso i primi venticinque anni della mia vita a Viareggio. Da bambino ero molto solitario, per un periodo sono ho avuto una malattia che mi ha costretto a letto per un anno. Avevo otto anni, pesavo 18 chili e, non potendo uscire a giocare, chiedevo anche a mio padre enciclopedie sugli animali e sulle piante, immergendomi nella natura attraverso quelle pagine così, costretto a letto, mi circondavo di tartarughe, serpenti e altri animali. Era come se viaggiassi in una natura ideale e perfetta. Credo che ciò che siamo da adulti abbia una profonda connessione con ciò che eravamo da bambini, e questo amore per la natura è sempre rimasto profondamente radicato in me.

La sua è anche una famiglia con una storia particolare, avevate una delle più importanti e storiche fonderie d’Italia…

Sì, venendo da una famiglia che, sin dal 1500, gestiva la fonderia artistica più antica d’Italia, ho sempre avuto un contatto diretto con il mondo dell’arte: a casa mia bazzicavano artisti di tutti i generi, ricordo Henry Moore, Arturo Dazzi... Questo ha sicuramente influenzato la mia crescita. Io ho iniziato a scolpire e dipingere come ho mosso i primi passi, così come mio fratello e mia sorella. Nello stesso tempo, però, ho sempre cercato di unire la mia passione per la natura con l’arte, che ha avuto un impatto profondo su di me.

La villa di Botero e Sophia Vari a Pietrasanta

Ha anche realizzato case e abitazioni di artisti molto noti, come Fernando Botero, ma anche di cantanti e stilisti, come Zucchero Fornaciari e Coveri…

Assolutamente, sono molto legato a quei progetti. Quello della villa e dello studio di Botero, poi, ha un forte valore affettivo, perché stimavo e volevo molto bene a Fernando Botero e a sua moglie, Sophia Vari. La casa si trova in una posizione davvero magica, tra la Rocca di Sala e la Piazza del Duomo, con una vista aperta che arriva fino al mare. È un vecchio rustico Leopoldino restaurato, che contiene, oltre alle loro opere, lavori di amici e colleghi, uno spazio che è un vero e proprio scrigno d’arte. C’è stata anche molta attenzione al recupero delle piante mediterranee, aggiungendo un tocco aromatico al giardino.

Nonostante la sua grande passione per l’arte, però, da giovane ha preferito studiare architettura…

Sì, mi sono iscritto al Politecnico di Milano, iniziando a comprendere le problematiche dell’architettura contemporanea, ma è all’Università di Venezia, dove mi sono laureato in Urbanistica, che mi sono innamorato della magia dell’acqua e dei suoi riflessi nell’architettura, e dove ho sviluppato l’architettura biosistemica

Quella che oggi, con il bosco verticale di Stefano Boeri, è diventata un’architettura di moda…

Guardi, io non voglio fare gare con nessuno, quello che è certamente vero è che su questo tema, io, con altri colleghi architetti e ricercatori, stiamo parlando ed eseguendo progetti fin dagli anni Settanta. Ci siamo ispirati ai giardini pensili di Semiramide, concentrandoci sul recupero della biomassa, poiché la costruzione spesso desertifica il territorio. Portando la vegetazione sugli edifici, rendiamo omaggio alla terra e restituiamo il verde occupato.

Successivamente, si è anche iscritto a scienze naturali, è corretto?

Certo, mi sono iscritto a Scienze Naturali all’Università di Pisa, per approfondire il mio amore per la natura, che è stato sempre il faro della mia ricerca e della mia vita. D’altra parte ancora oggi vivo in una zona ricchissima di natura, sopra a Forte dei Marmi, un luogo che mi ha ispirato moltissimo, con i grandi spazi delle ville di Roma Imperiale e la macchia mediterranea, tanto cara a D’Annunzio. Del resto, per me l’ascolto della natura è sempre stato fondamentale: prima di iniziare un progetto, io vado sul luogo e ascolto. Ascolto la natura, il vento, i suoni della flora e della fauna… anche Leonardo, del resto, diceva: vai nella natura e impara. Io ho fatto mio questo pensiero.

Influenze delle filosofie orientali, scienze naturali, arte: come ha fatto a fare entrare tutte queste esperienze differenti nel suo lavoro di architetto?

In ogni progetto, cerco di unire il rispetto per la natura con la tradizione culturale del luogo. Ho sempre cercato di progettare edifici in sintonia con l’ambiente, anche integrando il mio amore per l’Oriente, per le arti marziali e un approccio di grande attenzione all’armonia tra manufatti umani ed elementi naturali, come la cura per i bonsai e quei particolari oggetto che sono i “sesuikè” (ciotoli lavorati unicamente dall’acqua, ndr) che raccolgo sulle Alpi Apuane. Questi elementi, insieme alle filosofie orientali, mi aiutano a vedere l’architettura non solo come una costruzione fisica, ma come un modo per rispettare e interpretare il “genius loci”, quella forza spirituale che abita ogni luogo.

Oltre al “genius loci”, lei ha anche studiato molto il concetto orientale di Feng Shui. Ci vuole spiegare meglio di cosa si tratta?

Sì, mi sono avvicinato all’Oriente grazie al karate e allo yoga, e sono diventato docente di Feng Shui (disciplina che si propone di studiare le interazioni tra l’uomo e l’ambiente al fine di sviluppare un maggiore benessere individuale, ndr) in varie università, incluso il Politecnico di Hong Kong. La mia visione ha sempre unito Oriente e Occidente, cercando sempre un equilibrio tra le diverse storie e culture. Per me, il “genius loci” latino, il “karma” induista e il “feng-shui” cinese sono tre modi diversi di parlare della stessa cosa: la relazione tra l’uomo e le forze naturali che attraversano il territorio. Questi principi sono fondamentali per il mio lavoro. Quando progetto, non vedo solo un edificio, ma un nuovo equilibrio tra l’uomo e la natura, una sorta di dialogo tra il luogo e ciò che si costruisce. L’architettura non può essere solo funzionale; deve generare uno spazio che rispetti l’energia geomantica e che crei armonia tra tutte le forze in gioco. Come diceva Georg Groddeck (medico e psicoanalista tedesco, considerato il fondatore della medicina psicosomatica, ndr), credo che l’uomo e l’ambiente siano mossi da un “es” primigenio, qualcosa che va oltre la semplice razionalità. Questo “es” è anche il cuore di ogni progetto.

Le lacrime di Michelangelo di Tiziano Lera

Ci può parlare di qualche progetto specifico che esemplifica il suo approccio alla sostenibilità e all’integrazione di Oriente e Occidente?

Un esempio è il progetto delle “Lacrime di Michelangelo”, una linea di mobili che ho creato utilizzando gli scarti di marmo delle cave, trasformando ciò che sarebbe stato buttato in pezzi d’arte funzionali (presentati anche a White Carrara, manifestazione che celebra il design Made in Italy e le eccellenze del territorio, ndr). Ogni pezzo è progettato per catturare l’energia naturale, con sedute a spirale destrorsa che canalizzano l’energia dalla Terra verso l’uomo, creando un equilibrio tra corpo e ambiente. In questo progetto si fondono il recupero dei materiali, il rispetto della natura e la ricerca dell’armonia energetica, unendo tradizione e innovazione. Altri progetti che mi stanno a cuore sono che i progetti termali, ne ho realizzati in tutto il mondo, da Saturnia fino a Instambul… come le terme della Salamandra, a Santo Domingo, un complesso che, visto dall’alto, rappresenta una salamandra che morde un ragno, simbolo del mio approccio all’integrazione tra cielo e terra.

Ma oltre all’architettura e al design, lei ha spaziato anche in altri campi…

Sì, un esempio è la linea di abiti che ho realizzato con mia moglie Nita, la “collezione Lera”, dove moda, arte, eleganza, attenzione ai materiali e alla sostenibilità si coniugano in un solo progetto… Ma io non ho mai tollerato o messo barriere alla mia attività, per me la creatività, l’arte, l’amore per la bellezza e per la natura sono un tutt’uno: così ho realizzato poesie, sculture, e persino profumi: come la collana dei Profumi del marmo, studiati e realizzati per la maison di Sara Vannucci.

Per concludere, vorrei chiederle: come vede il futuro dell’architettura?

Credo che l’architettura debba ritornare a essere più naturale e rispettosa del territorio. Il futuro dell’architettura non dovrebbe essere fatto di gare di spettacolarità o di materiali obsoleti, ma di progetti che sembrano sempre essere esistiti, come se fossero parte integrante del paesaggio. La sostenibilità non è una moda, ma una necessità. Solo così possiamo costruire un futuro che rispetti il passato.






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