Riscoprire il valore e la versatilità dell’arazzo, celebrando un linguaggio che continua a evolversi e a connettere culture, epoche e sensibilità.
È questo che ha voluto esprimere la Fondazione Dino Zoli di Forlì con la mostra “Trame Esplorative: un viaggio attraverso l’arazzo”, una mostra dedicata proprio all’evoluzione dell’arazzo in Italia dagli anni Cinquanta a oggi. Curata da Nadia Stefanel, direttrice artistica della Fondazione, e promossa in collaborazione con Dino Zoli Textile e il Comune di Forlì, l’esposizione esplora come l’arte dell’arazzo sia riuscita a rinnovarsi, affermandosi come un mezzo espressivo autonomo e innovativo.
Il filo conduttore della mostra è la fusione tra creatività e manualità, tra tradizione artigianale e innovazione tecnologica. In questo senso, l’arazzo rappresenta un punto d’incontro tra le competenze artigianali italiane, in parte ormai rare, e influenze artistiche contemporanee.
L’esposizione, aperta sino al 26 marzo, si concentra sui temi dell’astrazione e del colore, per mostrare come il tessile sia passato da semplice ornamento a forma d’arte capace di raccontare storie, intrecciare culture e unire linguaggi artistici diversi. Questo “viaggio” attraverso le arazzerie offre una visione del dialogo creativo tra artisti e artigiani, coinvolgendo alcuni dei principali maestri del secondo Novecento e artisti contemporanei.
“Parole come filo, trama, ordito, intrecci, tessuto sono utilizzate spesso per evocare suggestioni di percorsi, idee, relazioni, convivenze e collegamenti. Una tecnica antica incontra, con l’arte, la contemporaneità, e insieme, danno vita a rappresentazioni di emozioni. In un modo simile, Dino Zoli Textile, azienda capostipite di Dino Zoli Group che produce tessuti destinati a rivestire mobili imbottiti, si impegna quotidianamente a fornire materiale per decorare, ma soprattutto per consentire ad ognuno di esprimere la propria identità all’interno degli spazi più intimi, quelli della casa”, dichiara Monica Zoli, vicepresidente Dino Zoli Group.
L’allestimento della mostra “Trame Esplorative” è frutto di un intenso lavoro di studio, reso possibile grazie alla collaborazione con prestigiose istituzioni e maestri dell’arazzo. “L’arazzo, come linguaggio visivo contemporaneo, ci racconta di sperimentazioni e innovazioni tessili, di collaborazioni tra artisti e artigiani, tra tradizione ed esperimenti moderni, in dialogo con le tendenze artistiche contemporanee, in primo luogo l’astrattismo, e il design industriale. Un percorso di ricerca che attraversa l’Italia dalla Lombardia, all’Abruzzo, fino alla Sardegna, con alcune incursioni europee, proponendo un momento di riflessione su identità e tradizione. Un’odissea culturale che celebra la ricchezza e la varietà del Made in Italy, riconoscendo il valore di opere che, con il passare del tempo, continuano a raccontare storie e a ispirare nuove generazioni di artisti e appassionati”, racconta Nadia Stefanel, direttrice della Fondazione Dino Zoli.
Per intraprendere questo excursus la Fondazione si è rivolta alla Galleria Moshe Tabibnia di Milano e all’arazzeria di Esino Lario, famosa per aver prodotto l’arazzo di Gianni Dova del 1936, un’opera innovativa che unisce la canapa e la seta. Questa storica arazzeria nacque dall’iniziativa di Don Giovanni Battista Rocca, parroco di Esino Lario dal 1927 al 1965, il quale fondò la Scuola degli Arazzi nel 1936 per offrire opportunità lavorative alle giovani locali, contrastando l’emigrazione, e istituì il Museo delle Grigne nel 1947 per preservare e promuovere l’arte tessile.
All’Arazzeria Pennese, di Penne in Abruzzo, e all’Atelier di Elio Palmisano. Nato a San Michele Salentino nel 1935, Palmisano si trasferì a Milano, dove fondò nel 1962 la Galleria dell’Incisione, che ospitò importanti opere come le incisioni a punta secca di Umberto Boccioni. Nel 1968 creò a Saronno l’Atelier d’Arte Tessile, che fino al 2005 produsse una straordinaria collezione di arazzi e tappeti d’autore.
Tradizionalmente, i tappeti erano considerati un’arte preziosa, destinata a decorare palazzi prestigiosi, e spesso scelti come doni ufficiali per nobili e regnanti grazie alla loro facile trasportabilità. Questa percezione è rimasta fino ai primi del Novecento, quando il tappeto venne gradualmente abbandonato come oggetto d’arte di alto prestigio. Tuttavia, negli anni Cinquanta del Novecento, il tappeto conobbe una nuova rinascita grazie agli artisti contemporanei che lo reinterpretarono, trasformandolo in una forma d’espressione innovativa.
La prima occasione di questa rinascita avvenne nel 1956 al MoMA di New York con la mostra “Textile USA”, che introdusse l’idea del tappeto come “quadro”. Questa visione trovò conferma nel 1962, con la prima Biennale di Tappezzeria a Losanna. Lo stesso anno, in Italia, durante l’XI Triennale di Milano, gli arazzi vennero presentati per la prima volta come veri e propri arredi artistici per la casa, riconoscendo loro un nuovo ruolo all’interno dell’interior design.
Nel percorso espositivo “Trame Esplorative” sono presenti artisti storicizzati come Mauro Reggiani, con un tappeto annodato, Eros Bonamini, ma anche autori contemporanei come Maurizio Donzelli, che ha realizzato un’installazione tridimensionale, e Stefano Arienti, che offre una rilettura degli antichi tappeti, riconfermandone il valore culturale ed estetico in una chiave moderna. Fabio Iemmi cheesplora la relazione tra texture e colore. I suoi arazzi e le sue opere su tela combinano superfici strutturate e profondità cromatiche.
L’apertura della mostra è affidata a un’opera dello Studio Pratha di Sarule, nel cuore della Barbagia, che celebra la tradizione sarda della tessitura, mantenuta viva grazie al progetto di Graziella Carta. “Pratha” in sardo significa piazza, evocando un luogo di incontro e dialogo simile all’agorà greca. Questo progetto ha permesso di recuperare la lavorazione su telaio verticale, creando un laboratorio inclusivo che, in mostra, presenta “A Diosa”, un’opera collettiva di Giovannina Coinu, Eloisa Gobbo e due tessitrici locali, Lucia Piredda e Alberta Pinna. L’opera è un omaggio a una famosa ballata sarda, simbolo della cultura locale.
Grandi nomi tra gli artisti esposti, Afro con “La scala d’oro”, esponente dell’informale italiano, è stato uno dei più grandi artisti del Dopoguerra. Gianni Dova presente con un’opera che richiama la sua esperienza all’XI Triennale di Milano. Dova, originario di Roma e trasferitosi a Milano, sperimentò con vari movimenti artistici, dal Movimento Spazialista alla Pittura Nucleare. Remo Salvadori, esponente di una generazione successiva all’Arte Povera e all’Arte Concettuale, esplora temi filosofici e mitici. Nella sua opera “La stanza delle tazze”, utilizza una composizione simbolica che vede nella tazza d’oro al centro un rimando all’uroboros, il serpente dell’eterno ritorno. Piero Dorazio famoso per il suo uso innovativo del colore e per il suo ruolo di primo piano nell’astrattismo europeo, i suoi colori e le sue forme geometriche trasformano i tessuti in campi di energia.
L’artista Sonia Delaunay, con il marito Robert Delaunay, studiò la luce e il colore, un tratto che emerge nell’arazzo esposto, caratterizzato da una geometria ipnotica. Da un disegno del futurista Gino Severini nasce invece il tappeto “Ballerina”, realizzato da Elio Palmisano con l’autorizzazione della vedova dell’artista. Alexander Calder, celebre per le sue sculture mobili, è presente con un’opera che interpreta il colore come esplosione giocosa, mentre Nathalie du Pasquier, designer bordolese, porta un grande tappeto ispirato ai colori e alle forme tunisine, montato su una struttura verticale pensata appositamente per la mostra.
L’artista Loredana Longo interviene su tappeti con fiamme, incidendo frasi dal significato sociale, come la citazione di Obama “Nessuno di noi è perfetto,” sul Tappeto Pechino di classico colore azzurro. Omar Galliani presenta un angelo disegnato con tempera bianca su una tela industriale, un’opera mai esposta prima. Anche lo stilista Antonio Marras è presente con i suoi Kilim afghani, realizzati con materiali di scarto dai suoi abiti, che le ricamatrici della Barbagia hanno arricchito con un effetto scenografico evocativo.
Un’altra opera interessante è “Geografia umana” di Armida Gandini, che utilizza tappeti di famiglia per raccontare il tema della migrazione, mostrando come il tappeto possa narrare un viaggio intimo e universale. Daniela Olivieri, alias Sissi, espone “Trasguardi”, una serie di telai in ceramica bianca opaca che riflettono sul legame tra tessitura e pazienza, suggerendo una lentezza che rievoca i ritmi artigianali di un tempo. E ancora Elena El Asmar che prende in prestito con consapevole poeticità suggestioni medio-orientali e le mescola con un rigore d’impronta rinascimentale, nelle sue carte, sulle superfici delle sue tele e dei suoi arazzi.
Niki Berlinguer, la signora dell’arazzo, che aveva realizzato un laboratorio in casa, terza moglie di Mario Berlinguer, padre di Enrico, che creava arazzi interpretati da grandi artisti.
Un omaggio, molto sentito quello a Guerrino Tramonti, importante ceramista e pittore italiano, e al suo arazzo alluvionato nel 2023 e restaurato grazie all’Università di Bologna.
La mostra si chiude con “Metapolis” di Francesca Müller, un arazzo che coniuga la complessità della tessitura artigianale con grafiche ispirate dall’intelligenza artificiale, evidenziando come l’artigianato possa essere preservato e contemporaneamente traghettato nell’era digitale.