La mostra, a cura di Valeria De Sierom visitabile fino al 17 novembre al Consorzio “La Giacinta” in Via della Giustiniana 959 a Roma, riflette sul concetto di “ambiente” nelle sue molteplici declinazioni
Nella mostra “Umwelten – ambienti” il tema centrale è la pluralità degli sistemi, vissuti e percepiti non solo come spazi, ma come mondi costruiti e vivificati dalla presenza di ciò che gli antichi chiamavano “pneuma”, ovvero quel soffio vitale che infonde lo spirito in ogni elemento vivente. La riflessione di J. Von Uexküll “Gli ambienti sono tanti quanti gli animali” sintetizza la ragione ultima di questa esposizione: qui il concetto di “ambiente” si estende in senso relazionale, diventando un dialogo tra il soggetto e il contesto e al contempo restituisce una sintesi del pensiero dello studioso che vedeva la pluralità di questi sistemi come “mondi individuali”.
Il percorso non propone un mero raggruppamento di installazioni, ma una narrazione che esplora la molteplicità delle esperienze e dei punti di vista, riflettendo sull’interazione tra creature e paesaggio grazie alle proposte di dieci artisti contemporanei. Francesca Romana Cicia, Marco Fedele Di Catrano, Alberto Emiliano Durante, Daniela D’Amore, Anica Huck, Giulia Manfredi & Steffen Klaue, Emanuela Moretti, Cristallo, Agnese Spolverini, Stefano Ventilii sono gli artisti che hanno contribuito al progetto nato da un’idea di Alberto Emiliano Durante e Giulia Manfredi, proprietari dello spazio destinato alla mostra, in accordo con la curatrice Valeria De Siero: il concept restituisce con estrema efficacia la dimensione di intervento corale e collettivo che domina il giardino inteso come luogo di scambio e incontro delle varie componenti naturali che lo compongono, coinvolgendo personalità che raccontano la propria ricerca con medium che dialogano e si influenzano tra loro.
Il confronto con il luogo avviene con diverse modalità: alcune opere sono concepite appositamente per lo spazio, in un dialogo intimo e site-specific, mentre altre sono reinterpretazioni di lavori precedenti che si fondono armoniosamente con gli elementi già presenti. In questo senso, la mostra invita a riflettere sulla coesistenza di visioni e sensibilità, suggerendo un dialogo tra le opere stesse e il contesto che le accoglie. L’elemento chiave che attraversa l’intera mostra, il giardino, viene presentato come uno spazio aperto e permeabile, in contrapposizione alla sua tradizionale rappresentazione chiusa e protetta. Gli alberi, in particolare gli ulivi, si stagliano come figure di confine: evocano percorsi non più esistenti se non nel ricordo, e al contempo rimandano a un senso di abitare che è sinonimo di attraversamento.
È un richiamo a una dimensione di memoria e immaginazione che riporta alla mente un passato che continua a influenzare il presente, vista anche l’ubicazione della location in prossimità del Parco di Veio. La riflessione sull’alterità si innesta su questo percorso: la mostra esplora come l’individuo possa rapportarsi al non umano, alle creature e ai loro spazi, in un dialogo costante che esprime una storia di coesistenza. In questa trama, si intrecciano i temi del passaggio dal mondo esterno a quello interiore, tra l’Umwelt e l’Innenwelt, una transizione che indaga i confini sottili tra pubblico e privato, tra ciò che è destinato a rimanere intimo e ciò che si apre alla dimensione collettiva.
Quest’analisi del confine tra l’interiore e l’esteriore porta con sé un interrogativo essenziale sull’essenza stessa dell’atto creativo: il processo artistico è qui un percorso di scoperta invisibile, un sottile interludio che precede la concretizzazione dell’opera. La mostra celebra questa fase embrionale e quasi intangibile, fatta di riflessione, intuizione e gestualità, in cui l’artista si immerge nell’ambiente per poi plasmarlo secondo una propria sensibilità.
Il percorso si apre con l’opera “Riflesso interiore” di Alberto Emiliano Durante: una struttura composta da uno specchio e balle di fieno, la cui disposizione ricorda l’architettura megalitica. All’interno dell’installazione l’artista ha provveduto a innestare le spore di alcuni funghi, provocando il progressivo deterioramento dei componenti dell’opera. Il rimando all’archeologia, in particolare alle testimonianze etrusche veientane adiacenti al giardino, si fonde con la prospettiva panistica che domina l’opera grazie alla presenza dello specchio, che consente l’ingresso del paesaggio all’interno dell’architettura effimera di Durante.
Anche “Delle cose nascoste”, lavoro di Francesca Romana Cicia, sembra suggerire un rimando ad un mondo “archeologico” che esplora il concetto di Umwelt, inteso come ambiente e percezione soggettiva del cosmo. Cicia sfrutta questa suggestione per approfondire il tema del tempo e del passaggio dalla dimensione esteriore a quella interiore, come se ogni frammento contenesse tracce di storie personali e mondi passati che aspettano di essere riscoperti. Gli oggetti scultorei, spaccati e cavi, rievocano antiche anfore o recipienti che, sebbene spezzati, conservano all’interno segreti nascosti, suggeriti da superfici decorate e inserti in blu e bianco che spuntano dai gusci.
Questa scelta cromatica, un contrasto tra l’esterno ruvido e terroso e l’interno decorato: come un archeologo, il visitatore è chiamato a scoprire ed esplorare questi frammenti, percependoli non solo come oggetti, ma come finestre su una realtà che trascende il presente e si addentra in un tempo immaginario e indefinito. L’opera di Cicia ci invita a riflettere sul nostro rapporto con il passato e sull’importanza della memoria collettiva e personale rimanda alla complessità della memoria e all’ambiente come testimonianza di un retaggio antico e stratificato, sia dal punto di vista fisico e spirituale, che preserva e al contempo restituisce le tracce residuali di un tempo dell’uomo che fu.
L’opera di Daniela D’Amore “Balance 01”, invece, è una video-installazione collocata all’interno di un’automobile parcheggiata nel giardino, che esplora il delicato e complesso rapporto tra l’essere umano e il suo ambiente. Questa scelta di ambientazione è già di per sé un invito a riflettere su un luogo ambiguo: l’abitacolo di un’auto, che rappresenta uno spazio di transizione e isolamento, un piccolo microcosmo privato all’interno del mondo naturale.
Nel video, le immagini proiettate si fondono con l’interno dell’auto, creando un effetto straniante che trasforma lo spazio in un paesaggio mentale, riflesso dello stato interiore del visitatore. Attraverso la percezione visiva di scene che richiamano un contesto esterno, l’opera esplora il confine tra l’interno e l’esterno, tra il nostro ambiente personale e il mondo che ci circonda. L’auto diventa così un simbolo di chiusura ma anche di esposizione all’esterno, evocando la vulnerabilità dell’essere umano di fronte alla vastità e imprevedibilità della natura.
L’installazione di D’Amore indaga inoltre la sfera relazionale: l’automobile è spesso un luogo di incontri, di conversazioni intime o di attese, e in questo caso il visitatore si trova in un’interazione silenziosa e riflessiva con l’opera stessa. La scelta di utilizzare una macchina, che in genere separa e isola chi si trova all’interno, è in netto contrasto con la natura del giardino, che invece accoglie e connette. D’Amore, con questa installazione, spinge lo spettatore a riconsiderare il significato di abitare uno spazio mobile e limitato, riflettendo su quanto sia labile la linea tra protezione e separazione. L’opera invita a meditare sull’esperienza dell’ambiente come qualcosa di plasmabile e allo stesso tempo inaccessibile, mostrando come l’umano, nel tentativo di definire e controllare il proprio spazio, si confronti con la vastità di un mondo che non può mai veramente contenere.
La mostra prosegue con “C”, contributo di Agnese Spolverini, con cui l’artista mette in scena un intervento che trasforma lo spazio del giardino in un habitat immaginario, abitato da nuove creature nate dal suo intervento. La presenza di un’immagine raffigurante una chiocciola ingigantita su un tessuto semitrasparente, sospeso tra gli alberi, evoca la costruzione di un ecosistema artificiale, dove l’umano gioca un ruolo di creatore di nuovi limiti e presenze. La chiocciola, soggetto centrale e simbolo di lentezza e adattamento, rappresenta un microcosmo del mondo naturale che l’artista riporta alla scala del nostro sguardo umano.
Questa creatura diventa non solo oggetto di osservazione ma anche emblema di una coesistenza possibile, suggerendo un habitat creato ad hoc, in cui l’umano e il non umano si intrecciano e coabitano in una dimensione sospesa. Attraverso questa immagine, Spolverini riflette sulla capacità dell’uomo di plasmare l’ambiente circostante, intervenendo nel mondo naturale con una presenza delicata ma tangibile. L’effetto visivo del tessuto fluttuante, che si muove lievemente al vento, contribuisce a creare una dimensione onirica e intima, dove la natura e l’artificio convivono in armonia, evidenziando il ruolo dell’artista come mediatore di questa nuova sintonia tra artificialia e naturalia.
La mostra non solo indaga la relazione tra l’uomo e l’ambiente, ma invita anche a riconoscere la diversità di ogni singolo punto di vista, offrendo uno sguardo intimo su come l’arte possa interpretare e ampliare il significato stesso di ambiente e di abitare. A suggellare l’atmosfera della mostra, durante l’inaugurazione si è tenuto un concerto dell’In a large, open space ensemble, curato da Cosimo Fiaschi. Il gruppo prende nome dalla composizione omonima di James Tenney del 1994, emblema della ricerca contemporanea sul suono e lo spazio.
Tenney esplora la dimensione acustica non solo come oggetto, ma come esperienza plasmata dall’ambiente stesso: in questa cornice, il suono si modula secondo la percezione dello spettatore e incorpora elementi extramusicali, invitando il pubblico a percepire la composizione come un dialogo aperto con il paesaggio sonoro naturale e il contesto che la circonda. “Umwelten – ambienti” propone quindi un’esperienza immersiva, che si spinge oltre i confini dell’arte visiva e sonora, intrecciando il mondo esteriore con il vissuto interiore di ciascun artista. L’esposizione non solo omaggia il pensiero di Von Uexküll, ma invita il pubblico a confrontarsi con una molteplicità di visioni e a esplorare come, attraverso l’arte, la percezione di ogni individuo contribuisca a creare un dialogo profondo con il mondo naturale.