Netflix, nel suo perenne tentativo di offrire qualcosa di raffinato e socialmente rilevante, ha servito su un piatto d’argento “Delicious”, un film che ambisce a essere una critica feroce alla disparità di classe, ma finisce per essere un’operazione pretenziosa, priva di mordente e, ironia della sorte, assolutamente insapore. Un thriller sociale che si crede un banchetto gourmet, ma che in realtà è il fast food del cinema impegnato.
Il film, diretto da Nele Mueller-Stöfen, si svolge in una sontuosa villa nel sud della Francia, dove una ricca famiglia tedesca si gode una vacanza da cartolina. La loro serenità viene interrotta dall’arrivo di Teodora, una giovane donna misteriosa coinvolta in un incidente con la loro auto. Da quel momento, il film si sforza disperatamente di tessere una tela di tensione psicologica e scontri sociali, ma il risultato è un’opera che scimmiotta senza vergogna capolavori come “Parasite” o “The Menu” senza possederne l’intelligenza o l’ironia.
Uno dei problemi principali di “Delicious” è la sua totale mancanza di originalità nella caratterizzazione dei personaggi. Abbiamo il padre distratto e distante, la madre frustrata, il figlio adolescente problematico e la figlia innocente. Teodora, interpretata da Carla Díaz, è l’unica che tenta di donare un po’ di vita alla storia, ma è intrappolata in una sceneggiatura pigra e prevedibile che la riduce a un mero strumento narrativo piuttosto che a un personaggio con una vera profondità psicologica.
Mueller-Stöfen si illude di raccontare una storia universale, ma in realtà ricicla dinamiche già viste e abusate, senza mai riuscire a donare loro una scintilla di freschezza. La tensione che il film cerca di costruire si dissolve rapidamente a causa di un ritmo incerto e di dialoghi che sembrano usciti da un seminario di scrittura per principianti.

Dove “Delicious” tenta di eccellere è nell’estetica. Le inquadrature sono studiate, la fotografia è elegante, i colori sono bilanciati alla perfezione, la costruzione degli interni è “squisita”. Ma qui sta il problema: è tutto sterile, freddo, costruito per impressionare senza mai coinvolgere. È come un piatto gourmet bellissimo da vedere, ma che al primo assaggio si rivela privo di sapore.
La regia di Mueller-Stöfen è ossessionata dall’apparenza, puntando su simmetrie millimetriche e movimenti di camera controllati fino all’ossessione, ma il contenuto resta vacuo. Non c’è anima, non c’è passione, solo il desiderio disperato di sembrare più raffinato di quanto il film effettivamente sia. Lo spettatore è costretto a sorbirsi un’estetica affettata e autoreferenziale che non fa altro che aumentare la distanza emotiva dal racconto.
Alla fine dei conti, “Delicious” è un film che si prende troppo sul serio, senza averne il diritto. È un prodotto che tenta di lanciare messaggi politici e sociali, ma lo fa nel modo più superficiale possibile. I ricchi sono superficiali e insensibili, i poveri sono enigmatici e moralmente superiori. Fine della storia. Non c’è un vero approfondimento della lotta di classe, non c’è una riflessione autentica sulla disuguaglianza sociale. C’è solo un film che sbatte in faccia allo spettatore concetti triti e ritriti, sperando che basti la bella confezione a renderli digeribili. Spoiler: non basta.

Netflix avrebbe fatto meglio a investire in una sceneggiatura più solida e meno pretenziosa piuttosto che confezionare l’ennesimo thriller pseudo-intellettuale che, alla fine, non lascia nulla. Se “Delicious” fosse un piatto, sarebbe una zuppa annacquata servita in un piatto d’argento: elegante in apparenza, ma totalmente priva di sostanza.
Se siete in cerca di un film che sappia davvero raccontare la tensione sociale in modo intelligente, guardate altro. Se invece vi accontentate di una pellicola che si atteggia a cinema impegnato ma che, alla fine, è solo un esercizio di stile fine a sé stesso, allora “Delicious” potrebbe fare al caso vostro.
Ma attenzione: potrebbe lasciarvi con una gran fame di cinema vero.