Un ribelle a Parigi: un film su Picasso, tra Arlecchino e Joker

Sarà nelle sale cinematografiche solo il 27, il 28 e il 29 novembre il nuovo film Picasso, un ribelle a Parigi, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con la collaborazione del Museo Picasso di Parigi, quello che vanta la più completa collezione dell’artista. Il minotauro riunisce intorno a sé una squadra di donne d’eccellenza: da Cécile Debry, presidente del museo, ad Annie Cohen-Solal, storica e scrittrice, fino a Didi Gnocchi e Sabina Fedeli che firmano soggetto e sceneggiatura. Donna anche la voce narrante, che nell’originale è quella dell’artista iraniana Mina Kavani, perfetta per sottolineare il senso di estraneità e di esilio (Picasso non rientrerà mai in Spagna) vissuto a Parigi e più in generale in Francia dall’artista.

La regia raffinata e l’ottima fotografia – che portano lo spettatore direttamente dentro i dipinti, quasi ad annusare la tela – compensano la sensazione che in fondo il film non aggiunga molto a quello che di Picasso già si sa. 

Lascia un po’ perplessi il malcelato tentativo di assoluzione dell’uomo per salvare l’artista, con la depressione di Dora Maar, la complessità del rapporto con Françoise Gilot e la seduzione (il plagio) della diciassettenne Marie-Thérèse Walter raccontati un po’ en passant, come aneddoti su cui non vale la pena soffermarsi. Le cause si ricercano nelle difficoltà della vita dell’artista, arrivando a dire – lo fa nel film Eugenio Carmona – che quando Picasso dipingeva una donna che piangeva, in realtà a piangere era lui. Più credibile lo storico François Hartog, nell’analizzare il legame stretto nell’artista tra amore e morte e nel definirlo un cannibale. Poi ecco lo zoom della regia sull’autoritratto come Arlecchino. La mano chiusa intorno al bicchiere, lo sguardo torvo, Picasso qui è il Jocker di Joaquin Phoenix: folle, solo e disperato.

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