Quando Bill Viola vide per la prima volta un’opera del Pontormo, specificatamente la Deposizione (1526-1528) in Santa Felicita a Firenze, pensò che l’unico modo per un artista di concepire un contrasto del genere tra i colori fosse stato l’assunzione di qualche sostanza particolare.
Le opere di Jacopo Carucci, detto il Pontormo, spesso votate a una rappresentazione che mescola la richiesta dei committenti alle sue idee morali e politiche, hanno subito vari spostamenti durante la storia, soprattutto per essere protette, in alcuni casi, da sicura distruzione (anche il Vasari si sospetta che abbia lasciato giudizi poco piacevoli a certa produzione dell’artista per questo motivo). Allievo di Piero di Cosimo e di Mariotto Albertinelli, le idee che permeano la sua formazione sono quelle del Savonarola, della fazione dei piagnoni, nella fede riguardo alla completa libertà di Firenze dalle spire di un’unica famiglia e nella speranza d’instaurare una Repubblica. Questa visione si riflette anche in una delle sue opere più famose, la Visitazione (1528), che a breve verrà spostata al Palazzo Pretorio di Prato per i lavori di restauro della Chiesa di San Michele Arcangelo a Carmignano in cui è attualmente collocata.
La pala è verticale, costruita su due piani: il primo rappresenta la Vergine Maria che incontra la cugina Elisabetta; entrambe aspettano un figlio. Dietro di loro posano due figure femminili che, con il loro sguardo, fanno da tramite con lo spettatore. Vi sono anche altri due protagonisti nascosti: Gesù e San Giovanni Battista. La luce, nonostante la scena sia all’aria aperta, non è diffusa; sembra, invece, di stare dentro a un teatro: è una luce diagonale che va da sinistra verso destra, dall’alto verso il basso, dalla nuca della Vergine al piede di Elisabetta. Luce divina che trascende la quotidianità dell’evento e ricorda il mistero dell’incarnazione.
Pontormo realizza quest’opera in un periodo molto turbolento: alla conclusione della pala siamo a un anno di distanza dal sacco di Roma, avvenuto nel 1527 ad opera dell’esercito di Carlo V. In questo periodo siede al soglio pontificio Clemente VII, l’ennesimo papa Medici, che predilige il suo amore per le arti rispetto alle faccende politiche. Come risultato di ciò, la Città Eterna è messa a ferro e fuoco, mentre lui è assediato in Castel Sant’Angelo, difeso dalle abilità di artigliere di un altro grande personaggio del periodo: Benvenuto Cellini. Firenze è uscita da pochi anni dalla peste che aveva costretto Pontormo alla certosa del Galluzzo, dove aveva potuto sperimentare un rinnovato interesse per le stampe nordiche di Dürer grazie alla commissione degli affreschi all’interno del chiostro della certosa da parte del suo proprietario Leonardo Buonafé. È proprio da qui che parte un suggestivo viaggio verso ciò che avrebbe portato Vasari nelle sue Vite a considerare questo periodo come l’inizio della decadenza della pittura del Pontormo.
Il tema della visitazione è ampiamente affrontato dalla pittura rinascimentale; la Vergine Maria è ritratta con la cugina Elisabetta: Maria è in attesa di Gesù, Elisabetta, molto più vecchia di lei, per anni ha pensato di essere sterile, ma rimane incinta di Giovanni Battista. Pontormo aveva già lavorato a questo tema nei famosi affreschi del Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata. La Vergine di profilo con un copricapo arancione e un abito rosso dal manto blu; Elisabetta, in veste arancione, si inchina davanti a lei in segno di deferenza, Giuseppe è ritratto in ginocchio. In realtà si presume che i personaggi maschili rappresentati ai margini siano Giuseppe e Zaccaria, anche se non appaiono in versioni precedenti. Sono ritratti solitamente come piccole figure sullo sfondo, così come si intuisce nell’opera di Carmignano. In quest’opera tutto lo spazio della pala è dedicato all’azione delle figure femminili, protagoniste dell’evento, rispetto a figure maschili che sono ausiliarie e non sostengono in alcun modo, come invece accade in tanta altra produzione religiosa e no, l’evento di cui le due donne sono protagoniste. Si sostengono da sole, accompagnate da altre due donne che fungono da tramite visivo per l’osservatore: si accorgono degli esterni che stanno guardando la scena e li autorizzano, o li invitano, a partecipare a questo incontro. Pontormo, così come molti artisti del suo tempo, utilizza molto spesso questo stratagemma.
Ricordiamo ancora la Deposizione in Santa Felicita dove abbiamo più sguardi delle comparse, tra cui quello dello stesso pittore ritratto in secondo piano, che ci chiedono di far parte del dolore di Maria per la perdita del figlio, così come la stessa Visitazione (1514-1516) della Santissima Annunziata dove una figura marcatamente in primo piano, quasi all’altezza del nostro volto, ci guarda per comunicare con noi dalla scena.
Nella pala di Carmignano le vesti delle due donne si gonfiano, i colori, ormai completamente staccati da qualsiasi pretesa di realismo, si accendono e vibrano nella loro più alta realizzazione cromatica: rosa, verdi, celesti che sembrano sollevare da terra le due figure che si incontrano e si abbracciano per comunicare l’un l’altra la novità che le accomuna. Non c’è nessuno sforzo per evocare l’emozione sui loro volti: tutto quello che vediamo è un meraviglioso esercizio di stile sui movimenti delle stoffe, vere protagoniste della pala. Tira una brezza leggera che muove i panneggi delle figure, li intreccia ai capelli, nasconde il corpo. Quattro sono i colori dominanti della pala e appartengono sempre alle vesti.
C’è chi ha ipotizzato che ci sia una complementarità tra le figure e che Maria ed Elisabetta abbiano il loro doppio ribaltato rispettivamente nella figura dalle vesti rosate e il velo azzurro e quella dal velo verde, al centro. Il movimento dei panneggi, delle stesse gigantesche figure, è incasellato nell’architettura di fondo; è come se avessimo davanti una fotografia ante-litteram: un istante catturato nel momento in cui si percepisce l’incontro. Sempre Bill Viola utilizza questa suggestione nella sua opera The Greeting (1995) per rappresentare, attraverso la dilatazione temporale, il gesto di un abbraccio tra due donne, nella stessa architettura, con la stessa impattante vibrazione cromatica.
Eppure, al di là di tutte le importanti suggestioni che quest’opera può aver ispirato ai posteri, ce n’è una in particolare che colpisce e che riguarda proprio Pontormo. Si immagina, infatti, che l’artista abbia utilizzato come modello la stampa di Albrecht Dürer Le quattro streghe (1497). Comunemente conosciute con i nomi più disparati – dalle quattro maghe alle quattro donne nude, fino ad arrivare al titolo La scena di un bordello – quest’opera non gode dell’aura di sacralità e reverenza in cui versa la pala pontormiana, anzi. Le quattro donne si trovano in uno spazio chiuso, completamente nude, due di loro di spalle, richiamano grottescamente le tre Grazie della Primavera del Botticelli. Il tema delle Grazie è ripreso dai neoplatonici fiorentini, tra cui Marsilio Ficino, che ne rivedono la circolarità dell’amore che dà, riceve e restituisce. Finché non si spezza questa triangolazione, il bene è assicurato. Tuttavia, le figure nell’incisione di Dürer sono quattro, così come lo sono nella pala del Pontormo: stiamo assistendo alla rottura di un equilibrio? I parallelismi sembrano essere molti: dalla postura delle donne, all’intreccio delle braccia e delle mani. Tuttavia, la scena del Pontormo si svolge all’aperto, mentre nella stampa siamo in uno spazio chiuso; l’esterno ci viene accennato solo dalle fiamme che escono dalla porta sulla sinistra e fanno intravedere un piccolo demonio. Due rituali si intrecciano: il saluto e l’incontro in Pontormo, il profano (?) in Dürer.
Molte sono le ipotesi circa la scelta dell’artista tedesco di inserire quattro figure. Quella che più si sposa con il titolo, Le quattro streghe, ha a che fare con il clima che l’Inquisizione aveva instaurato nel periodo in cui quest’opera viene rappresentata. Non è improbabile infatti – ma non ci sono fonti a riguardo – che Dürer fosse a conoscenza del Malleus Maleficarum (Martello delle streghe), testo fondamentale per l’individuazione delle streghe e per giustificarne la persecuzione. Una storia, tra le tante contenute per l’individuazione della “strega”, come ci viene spiegato da Sara Arosio sulla rivista Engramma, racconta di una donna che aveva rifiutato le cure di un’ostetrica per partorire a causa la sua reputazione; l’ostetrica, allora, si sarebbe vendicata portando con sé altre due compagne e maledicendo colei che l’aveva rifiutata puntandole il dito contro il ventre. Il finale è prevedibile: la donna partorisce con dolore dopo sei mesi, ma non un figlio, spine di rosa e pezzi di legno.
Il mistero riguardo a questa stampa in cui il peccato si insinua nella triangolazione della grazia, andando a creare una quadratura – termine tecnico in astrologia a indicare un momento in cui i pianeti sono in conflitto tra loro e creano tensioni, a differenza, appunto, del trigono – si collega al mistero dei modelli per il dipinto di Pontormo: scegliere una stampa dall’iconografia così controversa non sarebbe da escludere per uno dei massimi geni del primo Manierismo. Ancor più geniale la sua proposta di ribaltarne il significato: un quartetto composto da due donne che si benedicono l’un l’altra e che gioiscono per la futura nascita dei rispettivi figli, insieme a due compagne che invitano noi osservatori a far parte del miracolo. Da un lato colei che dovrebbe portare la vita, porta una promessa di morte; dall’altro una donna sterile che partorisce in tarda età e un’altra che porta in grembo il figlio di Dio.