È possibile raccontare oggi un artista non solo tramite le sue opere, ma anche attraverso i suoi interessi culturali, le sue letture, le sue collezioni, i suoi amori intellettuali?
Un nuovo punto di vista che getta una luce diversa sulla vita di Vincent Van Gogh (1853-1890), autore di solito conosciuto per le peculiari vicissitudini esistenziali e familiari, che ne hanno tramandato il mito di artista maledetto, che vive la sua breve vita tormentato da enormi angosce e disagi, al punto di concludere tragicamente la sua vita suicidandosi.
Una tesi coraggiosa ma adeguatamente avvalorata da fonti documentali di diversa natura e tipologia è quella della mostra in corso ora al MUDEC di Milano fino al 28 gennaio 2024, intitolata “Vincent Van Gogh. Pittore colto”, realizzata in collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, a cura di Francesco Poli con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari.
Il progetto, nelle intenzioni dei curatori, intende andare proprio in questa direzione: vuole ribaltare la prospettiva dello stereotipo-Van Gogh e presentare un Vincent Van Gogh meno pittore maudit e più autore colto, attento, consapevole e aggiornato sul dibattito culturale del suo tempo: appassionato lettore e collezionista di stampe, oltre che attento osservatore delle tendenze artistiche più attuali.
Il percorso della mostra, sia cronologico che tematico, si suddivide in varie sezioni che approfondiscono le due tematiche di grande importanza per l’artista olandese: da un lato l’interesse per i libri e la letteratura, dall’altra il Japonisme (Giapponismo), cioè l’influenza dell’arte giapponese, qui testimoniata dall’amore per le stampe giapponesi.
Quattro sono i grandi nuclei che scandiscono le fasi storiche fondamentali della vita dell’artista.
La prima fase riguarda il periodo trascorso da Van Gogh tra i minatori del Borinage (1879-1880), dove vive come predicatore evangelico nella comunità dei minatori. Qui prende molto a cuore le condizioni dei lavoratori, le fatiche e le sofferenze che segnano la sorte dei poveri e diseredati, per cui le letture fondamentali del momentosono quelle di scrittori contemporanei che affrontano i grandi temi sociali, come Jules Michelet, con la sua monumentale Storia della Rivoluzione Francese e Beecher Stowe con La capanna dello zio Tom.
In questo periodo elegge a proprio maestro d’arte e di vita Jean-François Millet, di cui conosce la biografia illustrata La Vie et l’oeuvre de J.-F. Millet di Alfred Sensier (pubblicata nel 1881). Millet diventa il modello di riferimento a cui Van Gogh si ispira sia per la sua scelta definitiva di diventare artista sia per lo stile ancora legato alle forme del realismo francese. I primi disegni di Van Gogh sono, infatti, copie di opere di Millet, tra cui il celebre Angelus, gli Zappatori e Il Seminatore.
L’attenzione agli elementi della natura, del paesaggio e della realtà, nel successivo periodo olandese all’Aia, si caratterizza invece per lo studio del padre del naturalismo francese Émile Zola, di cui possiede varie opere tra cui L’Assommoir, e per la rilettura dell’opera di Charles Dickens, lo scrittore che denuncia la povertà della Londra dei suoi giorni. In due anni di intenso lavoro (1883-1885), disegna moltissimo e dipinge circa duecento quadri dai toni monocromi, scuri e terrosi, tra cui la sua prima grande composizione de I mangiatori di patate (1885) e la serie di studi di teste e ritratti di contadini in cui singolare è la rappresentazione del volto e delle mani dipinti in modo caricaturale.
Questa prima grande sezione si chiude con una sala immersiva dedicata a un’opera audiovisiva di Karmachina che recupera le pagine dei libri visti in precedenza nelle teche, assieme a schizzi, illustrazioni e dipinti, accompagnate dalla voce narrante che riporta citazioni dalle lettere indirizzate a Theo. Un invito a entrare nella mente di Van Gogh, nel suo universo di suggestioni e ispirazioni letterarie e artistiche.
La sezione successiva coincide con il soggiorno parigino del 1886-1887 fino al periodo ad Arles del 1889. Con l’arrivo a Parigi Van Gogh fa i conti con la scoperta della luce e del colore e l’incontro con la vivacità accecante della pittura impressionista. La sua tavolozza cromatica diventa più luminosa e materica con l’adozione di una tecnica che si ispira alle virgolettate impressioniste e alle macchie del pointillisme.
Questo è anche il periodo della scoperta del Giapponismo e della nascita, in Van Gogh, di una grande passione per le stampe giapponesi, che saranno una fonte di ispirazione per la sua pittura e di cui diventa accanito collezionista. Molti dei dipinti di Van Gogh di questo periodo imitano lo stile e i temi dell’ukiyoe (cioè le stampe giapponesi a blocchi di legno), ad esempio il Ritratto di père Tanguy, il proprietario di un negozio di articoli per pittori e artisti, che mostra sei ukiyoe diverse sullo sfondo.
In mostra al MUDEC sono dunque presenti anche una quindicina di stampe giapponesi, e xilografie originali di maestri come Hiroshige e Shunsen, provenienti dal Museo Chiossone di Genova, che conserva la più importante collezione di stampe ukiyoe in Italia, e il famoso volume illustrato Cento vedute del Monte Fuji di Hokusai.
Sempre alla ricerca della luce, Van Gogh si trasferisce ad Arles dove affitta delle stanze nella famosa “Casa Gialla” e dipinge paesaggi della campagna circostante e delle marine a Saintes-Maries-de-la-Mer (salici al tramonto, frutteti, vigne ecc…). Come nel periodo parigino, anche nella sezione dedicata ad Arles ritorna il fil rouge del Giapponismo, qui l’interesse è soprattutto nei confronti della rivista Le Japon Artistique, nuovo mensile che Van Gogh riceve dal fratello Theo e che racconta vita e costumi, arte e artigianato giapponese. In mostra vengono, infatti, presentate alcune pagine tratte dalla rivista e le stampe originali dei maestri giapponesi Hiroshige, Hokusai, Shunsen, che lo stesso Van Gogh commentava con ammirazione nelle lettere al fratello Theo e che hanno ispirato la stesura di alcuni dei suoi ritratti più famosi, tra cui quello di Joseph-Michel Ginoux (1888), per la similitudine con attori del teatro kabuki e per l’uso di colori intensi e di forti contorni neri che delineano le campiture piatte.
Infine, l’ultima sezione ci riporta all’internamento nell’ospedale di Saint-Rémy, dove Van Gogh continua incessantemente a dipingere opere materiche e informali, drammatiche e cariche del peso della vita, come Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto. Qui l’artista ritorna alle vecchie letture, tra cui Shakespeare, e alle biografie come quella di Rembrandt di Émile Michel. Anche in questo periodo si rinnova il riferimento visivo agli stilemi delle stampe giapponesi: in mostra, per esempio, viene riportato all’attenzione dello spettatore il confronto fra Paesaggio con covoni e luna che sorge e la Luna Autunnale a Ishiyama di Hiroshige.
Ecco quindi svelata la chiave di lettura del titolo “Vincent van Gogh. Pittore colto” che ci mostra un Van Gogh inedito, intellettualmente stimolato dal dibattito culturale di fine Ottocento sui temi sociali, fervido lettore e curioso conoscitore del contesto non solo storico-artistico, ma anche letterario del suo tempo, aggiornatissimo sulle novità della pittura contemporanea francese e della grafica giapponese, di cui fu appassionato collezionista.
Vincent van Gogh. Pittore colto
In collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo
a cura di Francesco Poli, con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari
MUDEC
Via Tortona 56, tel. 02/54917
Dal 21 settembre 2023 al 28 gennaio 2024
Orari Lun 14.30 -19.30 | Mar, Mer, Ven, Dom 09.30 – 19.30 | Gio, Sab 9.30-22.30
Biglietti Intero € 16 | Ridotto € 14 Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura