Giuseppe Veneziano è il vincitore della prima edizione di Artist of the Year, il concorso indetto dal nostro magazine e votato dai lettori – che ha ricevuto oltre 20mila interazioni in appena 2 settimane –, per decretare l’artista che, nel 2023, si è maggiormente distinto nel panorama dell’arte italiano. In questa intervista esclusiva, la critica Chiara Canali, che da sempre segue il lavoro di Veneziano, dialoga con l’artista, ripercorrendo le tappe del suo lavoro, le motivazioni, i segreti, i ragionamenti e i “dietro le quinte” della sua pratica artistica, i suoi sogni e progetti futuri.
Caro Giuseppe, con questa intervista vorrei ripercorrere alcuni episodi della tua carriera artistica, a partire dal tuo esordio nel 2004 con la mostra dal titolo “In-Visi” curata dallo scrittore Andrea G. Pinketts presso il locale “Le Trottoir”. In quell’occasione fece discutere un ritratto dell’artista Maurizio Cattelan con un cappio al collo che successivamente, assieme al ritratto di Bin Laden, conquistò la copertina di “Flash Art”.
Due anni dopo, nella mostra “American Beauty” (2006), che ti curai assieme ad Ivan Quaroni presso la Galleria Luciano Inga-Pin, presentasti un’altra opera controversa intitolata “Occidente, Occidente”, raffigurante la famosa scrittrice Oriana Fallaci decapitata, che scatenò una reazione immediata da parte della stampa nazionale e internazionale.
Con quest’opera, ma anche con la successiva Madonna del Terzo Reich (2009), una dissacrante rivisitazione classica della Vergine con in braccio un piccolo Adolf Hitler, sembra tu abbia volutamente architettato lo scandalo a fini mediatici.
Il tuo intento era solo quello di provocare oppure avevi delle intenzioni diverse?
Non ho mai voluto provocare a tutti i costi, anche se ritengo la provocazione un elemento espressivo dell’arte contemporanea. Al termine provocazione ho sempre voluto dare un’accezione positiva, nel senso che mi piace provocare una reazione del pubblico per non lasciarlo indifferente. Alcuni temi sono legati alla cronaca del momento, altri a fatti storici del passato che hanno una qualche attinenza con il presente. Penso che questo modo di operare sia simile a quello di uno scrittore. Nella narrazione di un romanzo, lo scrittore cerca di mescolare fatti reali e di fantasia, intrecciando diversi sentimenti umani. Così in una mia mostra troviamo opere drammatiche, alcune più violente, altre ironiche o romantiche. Un modo per vivisezionare la vita che spesso coincide e supera l’arte. Forse è proprio la realtà che è più scioccante della sua rappresentazione.
Qual è l’opera d’arte a cui sei più legato e che reputi fondamentale per l’evoluzione della tua professionalità?
Penso al primo quadro che ho realizzato proprio con l’intenzionalità di fare un’opera d’arte contemporanea: il ritratto di Osama Bin Laden che avevo già dipinto poco prima dell’11 settembre. In quell’opera trovai tutto quello che stavo cercando: la cronaca, la storia, la politica, il colore, il fumetto…
Quante opere d’arte produci all’anno e qual è il modus operandi della tua ricerca artistica?
Ogni anno non è mai uguale al precedente. Sono molto lento nell’esecuzione. Di solito non più di 10/12 opere. Solitamente quando preparo una mostra e voglio affrontare un tema, mi documento molto per venire a conoscenza di più informazioni possibili, ed è proprio mentre faccio queste ricerche che mi vengono le idee.
Da tempo sei riconosciuto come uno dei massimi esponenti del movimento New Pop italiano, grazie al tuo stile definito “pop mediterraneo”, per la palette cromatica virata su tonalità rosate, zuccherine e caramellose, e per i riferimenti all’iconografia classica italiana più che alle icone americane. Certamente la cifra di riconoscibilità è fondamentale per l’affermazione di un artista. Quali sono a tuo parere i caratteri distintivi del tuo stile e come sei riuscito a declinarlo in un linguaggio unico e inconfondibile?
Non c’è mai stata la ricerca di uno stile. Quando ho iniziato a dipingere con una certa costanza e in modo professionale, i quadri sono venuti fuori con questo stile. Però prima della pittura ho frequentato il mondo del fumetto, dell’illustrazione e della satira politica, e credo che questo stile che tutti mi riconoscono, sia proprio la fusione di questi linguaggi.
Mi indicheresti tre aggettivi per descrivere il tuo lavoro?
Riflessivo, dissacrante, divertente.
Mi racconti un episodio o un aneddoto della tua vita?
Un episodio che mi piace ricordare fu quando all’inizio della mia carriera, convinto di scindere la mia attività di docente da quella di artista, non riferivo ai miei alunni di essere un pittore. Nella mia prima mostra in galleria da Luciano Inga Pin, fece scalpore il ritratto di Oriana Fallaci decapitata (Occidente Occidente, ndr). Quasi tutti i quotidiani e telegiornali diedero la notizia e in corrispondenza del quadro c’era anche il mio nome e la mia foto. Quando l’indomani rientrai in classe trovai tanti articoli ritagliati sulla cattedra e i miei alunni in piedi a battermi le mani, esclamando: “Prof, ma lei è famoso!!!”. Fu un momento molto imbarazzante per me e penso anche per loro, che da quel momento in poi si ritrovarono di fronte (dal loro punto di vista) un’altra persona.
Tra le opere recenti che hai realizzato, The blue banana, esposta nella piazza principale di Pietrasanta, è stata tra le opere più fotografate e istagrammate di quell’anno. Quanto conta la comunicazione, social e digitale, nell’affermazione di un artista?
Non credo che il vero valore di un artista dipenda dal numero di followers che ha sui social. Chi si afferma solo sui social è uno che sa utilizzare bene lo strumento tecnologico e ci investe molto del suo lavoro. Il mio successo sui social non è sicuramente dato dalla mia bravura nel saperli usare, mi limito semplicemente a pubblicare le foto delle opere, a dare la notizia delle mie mostre o eventi a cui partecipo. Il successo di “The Blue Banana” era dovuto alla monumentalità delle opere, alla cornice di una delle piazze più belle d’Italia e dal fatto che le opere erano installate a terra. Questa scelta di esporre le sculture senza un piedistallo ha creato un rapporto diretto con lo spettatore, favorendo un approccio creativo nel fotografarsi con esse.
La carriera di un artista è anche fatta di alti e di bassi, di successi ed insuccessi, legati ai momenti, agli incontri. Per esempio due anni fa, nel dicembre del 2021, Il Giornale dell’Arte ti aveva posto tra i peggiori artisti contemporanei insieme a Banksy, Beeple, Jeff Koons e JR. Come l’hai presa quella volta?
La presi con ironia. Anzi ero felice di essere insieme a 4 artisti di fama mondiale che stimo molto. Se quelli erano i quattro artisti peggiori, bisogna capire qual è stato il metro di valutazione. L’unico mio rammarico è stato il fatto di dover prendere atto che tra tutti della lista ero quello meno ricco…
Dopo l’esplosione del mercato degli NFT, hai realizzato opere digitali e le hai vendute sulle piattaforme di Crypto Art. In che modo intendi combinare il tuo lavoro fisico con quello digitale e come vedi il futuro della tua professione di pittore?
La crypto art è fenomeno artistico tutto da scoprire. È la vera novità dell’arte degli ultimi anni. Nel mio caso, la realizzazione di opere crypto è stata una curiosità per vedere quali sviluppi avrebbe avuto la mia arte nella dimensione digitale. Il risultato delle prime opere mi ha soddisfatto al punto da continuare la produzione. Anche le vendite sulle piattaforme specializzate hanno avuto un ottimo riscontro.
In qualità di artista contemporaneo, qual è la tua massima aspirazione per il futuro?
La massima aspirazione per un artista è essere citato nei libri di Storia dell’arte. Ogni tanto questo succede, qualche critico o storico dell’arte inserisce qualche mia opera nei suoi testi. Spero in futuro di ricevere più attenzione.
Quali consigli daresti, oggi, ad un giovane artista che vuole intraprendere il mestiere dell’arte?
Darei lo stesso consiglio che diede Picasso: lavorare 15 ore al giorno.