Uno degli artisti che ha prodotto le opere che più ho amato è José Molina, in particolare i suoi filoni “Cosas humanas” e “Los olvidados“. Una volta gli chiesi come stabilisse, dopo mesi di lavoro, quando un’opera fosse finita. Egli mi rispose: “Non sono io a decidere quando un’opera è terminata, è lei che lo decide“.
Sono passati circa 10 anni da quella frase e oggi la trovo simile a un’altra affermazione: l’uomo continuerà a porsi domande finché tutto ciò che c’è da capire non sarà compreso. Questo lo ha detto il teologo Bernard Lonergan in (Insight A Study of Human Understanding, 1957). Con questa frase, Lonergan afferma la superiorità dell’uomo sulla macchina. È Robert J. Spitzer in Why is Human Self-Consciousness Different from Artificial Intelligence and Animal Consciousness a rievocare questo ragionamento, che vede Lonergan come l’ultimo di un ragionamento che parte da Platone e prosegue con Albert Eintein, Michael Polanyi, Alfred North Whitehead ed Sir Arthur Eddington. Lo avevamo accennato in un precedente articolo, come evidenziato dai fondamentali teoremi di Shannon (Come si misura l’informazione e perché è Dio la fonte di ogni dubbio), ipotizzando come il dubbio fosse originato da Dio, o diciamo da una forza sovranaturale, in questo paper scientifico ci è parso di ricevere un contributo formale in tale direzione.
“Essere”, per Lonergan, equivale alla consapevolezza che tutto ciò che vi è da sapere deve essere saputo. Nessun algoritmo, come dimostra Spitzer, potrà mai “essere”, in questa accezione. Solo uno stato di bisogno precostituito, oseremmo dire insito nell’ontologia dell’uomo e correlato ad una realtà pre-chimica e pre-biologia, può creare questo bisogno, come una luce che spinge la creazione. Non vi è mai riferimento a Dio o ad un dio, nei paper scientifici che citiamo, ma, come abbiamo più e più volte segnalato nei nostri ragionamenti, senza una dimensione trascendente rispetto alla materia, non è possibile dimostrare la superiorità dell’umanità biologica rispetto a una ipotetica umanità bionica, questo lo diamo per assodato.
Nel ragionamento viene accennato anche al tema della fisica quantistica, che tanti filosofi indicano come la vera artefice della nostra coscienza, ma che invero usano come sinonimo di Dio. Perché parlare di Dio è da bigotti, mentre parlare di fisica quantistica fa scienziati. No, nessuno ha correlato la fisica quantistica ad alcuna eccedenza per l’uomo, solo fumo negli occhi per ora, a noi pare. Però la “fame di sapere” non è solo un fatto gnoseologico, ma è ravvisabile empiricamente e potrebbe resistere allo scetticismo di David Hume, come al positivismo di Auguste Comte, come alla visione neo positivista di Karl Popper (in altre parole: regge ogni filosofia del sapere). Colui che è (sempre nella accezione del teologo), non è guidato solo da una curiosità situazionale, ma da una curiosità universale. Questa curiosità universale e totale è contenuta in ogni domanda, anche la più banale, che poniamo. Cosa obbliga l’uomo a voler sapere tutto di tutto, cosa lo spinge a sentirsi incompleto, finché a tutto non si è data risposta? Questo è quello cui alludavamo nel precedente articolo relativo alla natura della informazione, Lonergan fornisce una risposta: l’origine di tutto è la necessità dell’uomo di ottenere completa intellegibilità, altri la chiamano illuminazione (metafora nostra). Ma un cervello che possa capire tutto molto probabilmente non esiste nella natura umana, quindi come può essere stato inculcato questo desiderio di totalità per il cervello, che non potrà mai essere raggiunto? È su questa domanda che Lonergan si appella alla trascendenza.
Se essere è andare in fondo e cercare di sapere tutto, partendo da qualunque cosa, allora per ogni domanda l’uomo procede con una metodologia, che consiste nel dare tridimensionalità all domanda, chiedendosi quindi cosa, dove, quando, perché, come, chi, quanto e quanto frequentemente (“what?” “where?” “when?” “why?” “how?” “who?” “how much?” and “how frequently?” ). Questi sono gli otto modi per poter sapere tutto di una cosa, se ad una sola di queste domande non si ha risposta, l’essere rimane insoddisfatto. Per Bernad Lonergan sono queste otto modalità di procedere che sono cablate nel nostro essere umani e che che costituiscono quindi la base della nostra eccedenza. Lonergan completa e supera Cartesio, non sono perché ragiono, ma sono per come procedo nel ragionamento. Sono questi modi che spingono l’uomo a creare livelli di astrazione, correlazioni e predicati e strutture complesse, come la logica, l’ontologia, la matematica, le scienze sociali, le arti e molto altro.
La dimostrazione
Ma andiamo per ordine e seguiamo il tutt’altro che scontato ragionamento di Spitzer. In molti, già dal 1972 con Hubert Dreyfus (lo abbiamo citato qui: Intelligenza artificiale, filosoficamente parlando pt. 1), per arrivare ai giorni nostri con Federico Faggin, Luciano Floridi e Noam Chomsky, grandi filosofi ed uomini di scienza hanno additato l’AI come realmente limitata dal fatto di non avere una coscienza, pur nella impossibilità di definire cosa sia una coscienza. La ricerca seguita da Spitzer però a noi pare molto intellegibile e formale.
Per prima cosa partiamo dal teorema di Kurt Gödel che ha dimostrato che il modo con cui gli uomini sviluppano la matematica non è, e non sarà mai, imitabile da alcuna macchina.
Il teorema formalmente postula:
1. Primo teorema di incompletezza: In ogni sistema formale coerente e sufficientemente potente da includere l’aritmetica dei numeri naturali, esistono proposizioni che sono vere ma che non possono essere dimostrate all’interno del sistema stesso. Questo significa che il sistema è incompleto: non può dimostrare tutte le verità matematiche.
2. Secondo teorema di incompletezza: Nessun sistema formale coerente può dimostrare la propria coerenza dall’interno del sistema stesso. In altre parole, per un sistema formale coerente non è possibile dimostrare, utilizzando solo le regole e gli assiomi del sistema, che esso non contenga contraddizioni.
Per farla semplice, noi uomini sappiamo alcune verità dell’artimentica che nessun computer potrebbe mai sapere, o meglio, se anche glielo insegnassimo, potremmo sempre trovare almeno una ulteriore verità per lui non comprensibile (non saprebbe dimostrare né la veridicità, né la falsità), e così all’infinito. Gödel ha dimostrato che la nostra comprensione della matematica è più ampia della comprensione che può avere qualunque sistema di computazione. Kurt Gödel ha dimostrato e pubblicato i suoi teoremi di incompletezza nel 1931. Il suo lavoro, intitolato Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme (in italiano: “Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e dei sistemi affini“), è stato pubblicato sulla rivista “Monatshefte für Mathematik und Physik”. Questo lavoro ha rivoluzionato la logica e la filosofia della matematica, mettendo in luce i limiti fondamentali dei sistemi formali.
Nella prossima parte vedremo come muovendo il ragionamento da Gödel, Spitzer sviluppa la dimostrazione.
In copertina: José Molina, There are men made by flowers, 2017, oil on wood, cm 94×74,5.
le puntate precedenti di queste riflessioni su coscienza, pensiero filolosofico e intelligenza artificiale le potete trovare qua:
Dio è nei dettagli? No, nei computer. Un’ipotesi sull’uomo, la Natura e l’Intelligenza Artificiale
Ockham ed Intelligenza Artificiale: rasoi per pelo e contropelo a confronto
Il Papa al G7 per parlare di AI, tra auspici, buone intenzioni e forse un poco di rassegnazione
Thomas Hobbes ed il deep learning. AI tra draghi ed algoritmi etici
Intelligenza artificiale, filosoficamente parlando (pt. 1)
76 domande cui non vorresti dover pensare. Tra cui fare l’amore con un robot
Essere o non essere, matematica o non matematica? Questo è il dilemma
Gombrowicz: arte, coscienza ed esistenza per la nostra immaturità
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