Ci siamo lasciati dopo la nostra prima esplorazione tra le rovine di Villa del Vinaio. La mia speranza è che vi sia piaciuta l’immersione in una dimensione parallela in cui spazio e tempo non hanno più un’unità di misura propria. Tra fotografie, storia e aneddoti si ha la sensazione di dare a questi luoghi la possibilità di non essere del tutto dimenticati. Oggi sarete nuovamente miei compagni di viaggio, immaginandoci esploratori di fantasia come i noti Indiana Jones e Lara Croft che hanno riempito negli anni le sale cinematografiche.
L’urbex non è solo passione per la fotografia, è un intreccio a incastro perfetto tra fotografia, arte, storia e adrenalina. Si scavalcano muri, ci si arrampica per finestre, si cammina per campagne e anche tra la melma, ci si avventura per boschi, ove dalla vegetazione difficilmente penetrano raggi di luce, tra rovi, erbacce e insetti.
A volte il nostro passaggio, oltre a rompere il silenzio, può disturbare la tranquillità degli animali: non ci si può sorprendere se lungo il nostro percorso trovassimo vipere, volpi o addirittura cinghiali. Ecco perché ricordo di essere sempre consapevoli di ciò che si sta facendo e di usare sempre la massima attenzione. In questo spazio che Artuu mi concede scrivo di esperienze ed emozioni vissute all’interno di edifici disabitati, privi per anni di manutenzione, a rischio crollo, non improvvisatevi dalla curiosità, non è una competizione, tantomeno un gioco, non mancherò mai a ripetervi che questa è una pratica pericolosa, di cui purtroppo alcune volte si leggono notizie di incidenti e di tragedie. Possediamo meraviglie di cui spesso non ci accorgiamo, perle di assoluta bellezza nonostante l’incuria e la decadenza.
Noi urbexer amiamo profondamente ciò che ci circonda e la condivisione sui socials di scatti fotografici, mostre espositive, articoli, libri sono modi per continuare a tenerli in vita. È il caso di questo palazzo, ubicato sulle prime pendici delle colline in cui si trovano i cinque laghi di Ivrea, fatto erigere dopo il 1732.
È soprannominato Villa Magnificat, capirete le motivazioni continuando a leggere l’articolo e guardando le fotografie ivi pubblicate. Inizialmente era un castello molto modesto e con poco terreno, poi intorno al 1818 fu trasformato in un’ampia e grandiosa dimora.Il giardino, su progetto dello scozzese Wallace, venne poi esteso a tutta la collina, nel quale furono inserite molte piante esotiche.
Dell’antico splendore oggi è rimasto solo il secolare cedro dell’Atlante. Fu di proprietà di una famiglia nobiliare fino ad arrivare al 1939, anno in cui divenne, per oltre sessant’anni, sede di un monastero in cui risiedevano le suore benedettine cistercensi di semiclausura.
Oggi la struttura è in totale disuso e stato di abbandono, ma vengono tenuti in ordine i giardini.Durante la mia esplorazione ricordo di avere incontrato una piccola e minuta suora, con il suo tipico abito monastico dal velo nero e un camice azzurro, mentre era intenta a raccogliere tarassaco per farne, chissà, una povera pietanza per la sera.Siamo riuscite purtroppo a scambiare poche parole, disturbate dall’imminente arrivo di un temporale: mi ha detto di esser la sola rimasta a vivere nelle vicinanze dell’edificio poiché ancora legata al monastero e alla vita che in esso si conduceva, all’insegna della fede e della devozione.Una delle esplorazioni sicuramente più affascinanti che io abbia fatto, un luogo straordinario, dai muri carichi di storia e uditori di tante preghiere.
Al suo interno un ampio scalone che conduceva al piano superiore, un passaggio tra una stanza vuota e l’altra, fino ad arrivare a quel meraviglioso corridoio, in cui pareva essere risucchiati all’interno di un dipinto dai colori caldi, dal quale impossibile distogliere lo sguardo rivolto al soffitto.
Mi piace ricordare questa citazione mentre scrivo di Magnificat…“Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima”. George Bernard Shaw