Ron Mueck, seduzione e sorpresa alla Fondation Cartier di Parigi

Non chiamatelo iperrealismo. Ciò che contraddistingue la poetica dello scultore asutraliano Ron Mueck è quello che Freud chiamava col termine Unheimliche, “il perturbante”, che ha a che fare con tutto ciò che, pur non interamente spiegabile neppure a noi stessi, induce in noi un senso di “terrifico”, “spaventoso”, in grado di far traballare le nostre certezze acquisite. E spaventose sono, non c’è dubbio, le sculture di questo enfant prodige della scena artistica contemporanea, nato nel 1958 da produttori di giocattoli tedeschi, cresciuto aiutando i suoi genitori a realizzare bambole da bambino e che, da ragazzo, inizia a realizzare figure e pupazzi per l’industria televisiva e cinematografica (come nel film “Labyrinth” del 1986, con David Bowie, per il quale l’artista ha progettato personaggi indimenticabili come Ludo, la gigantesca bestia divenuta nel tempo oggetto di culto).

Oggi, le opere di Mueck sono esposte (fino al 3 novembre) alla Fondation Cartier di Parigi, con un effetto di sorpresa, di meraviglia, di sottile angoscia ma anche di un misterioso senso di straniamento esistenziale. Il tema della mostra è infatti quello della sorpresa, della morte, della minaccia in un mondo che sembra aver perso ogni fiducia nel futuro, tra guerre, cataclismi, cambiamenti climatici e tensioni globali. Ma anche della speranza, della rinascita e della vita.

Mass by Ron Mueck 2023 courtesy of FondationCartier

L’installazione principale è rappresentata da 100 teschi di dimensioni giganti, realizzati in fibra di vetro e resina poliestere nel 2017 per la National Gallery of Victoria di Melbourne, accatastati sul pavimento come a rappresentare i reperti archeologici di un’immensa ecatombe avvenuta in tempi remoti, quasi ci trovassimo di fronte alle vestigia di un’antica gigantomachia, la guerra che si dice che i giganti ingaggiarono, nella notte dei tempi, contro gli Dei dell’Olimpo.

E, se il tema della morte può fare spavento, certo è che la trasformazione su scala gigante rende anche questa straordinaria installazione una strana attrazione stupefacente, incredibile, quasi giocosa. “Il teschio umano è un oggetto complesso. Un’icona potente che riconosciamo immediatamente”, ha dichiarato l’artista in una delle sue rare interviste.

“Allo stesso tempo familiare ed esotico, respinge e attrae contemporaneamente. È impossibile ignorarlo, richiedendo la nostra attenzione a livello inconscio”. E se il tema è certamente quello classico del “memento mori” (“ricordati che devi morire”), che ha alle spalle una lunga tradizione nella storia dell’arte – “Il memento mori e la tradizione della vanitas nell’arte ci ricordano la brevità della vita”, sottolinea ancora l’artista –, certo è che il cambio di scala, da quella naturale a quella gigante, rendono il tutto spaesante, indecifrabile, “perturbante” appunto. Del resto, quella del cambio di scala (dal gigante o minuscolo) è un tratto caratteristico dell’opera dello scultore australiano. “Non ho mai realizzato figure a grandezza naturale perché non sembravano mai interessanti”, ha detto ancora l’artista, dal momento che “incontriamo persone a grandezza naturale ogni giorno”. La chiave, dunque, è sempre quella della sorpresa, del muovere le emozioni dello spettatore a un’esperienza nuova, come se si trovasse a provare un’intensissima scossa emotiva.

Anche le altre sculture presenti in mostra non sono da meno: tra queste, A Girl, del 2006, rappresenta un’immensa e spaventosa bambina appena uscita dal grembo della madre, con ancora le tracce di sangue e il cordone ombelicale, o, al contrario, Baby, del 2000, che è invece il suo esatto opposto, ovvero una minuscola scultura di un bebè, ispirata a un’illustrazione scientifica tratta da un manuale di medicina, appesa a una parete come una strana icona religiosa.

Grandi e piccoli miracoli, che ci inducono a riflettere sul mistero della vita e della nascita. “In un certo senso, Mueck ci ha sempre offerto un’esperienza coinvolgente”, ha detto Charlie Clark, curatore associato della mostra e direttore dello studio Ron Mueck, dal momento che “la più piccola delle sue sculture ci trascina in uno spazio intimo e personale, anche nella sala affollata di una mostra”.

Three Dogs by Ron Mueck 2023 courtesy of FondationCartier

Le uniche due installazioni realizzate appositamente per la mostra (le opere di Mueck necessitano di molti mesi per essere realizzate, a volte anche anni) è invece Untitled (Three Dogs), composta da tre grandi cani neri, perfettamente modellati nella loro tensione muscolare, che sembrano resuscitare in noi antiche paure infantili (ma possono ricordare anche, per similitudine, il famoso Cerbero, cane a tre teste messo a difendere la porta dell’inferno); e This Little Piggy, un’opera che l’artista ha voluto presentare incompiuta, che mostra un gruppo di uomini che macellano un maialino, azione al contempo “normale” per una comunità rurale, e spaventosa e crudele per l’uomo contemporaneo (che tuttavia tollera l’orrore degli allevamenti intensivi e mangia la carne degli animali macellati in maniera industriale, senza grandi problemi di coscienza). 

Infine, la mostra si chiude con Man in a boat, un’opera misteriosa con un uomo nudo, seduto su una grande barca, perfetta metafora dell’umanità di oggi, che vaga alla deriva del tempo, in preda alla paura del futuro, all’incertezza e a un senso di perenne straniamento.

Ron Mueck

Fondation Cartier pour l’Art Contemporain

261, boulevard Raspail – Paris

Fino al 5 Novembre 2023
Orari: 11:00 – 20:00 (Chiuso il lunedì. Il martedì aperto fino alle 22.00)


Altre informazioni
https://www.fondationcartier.com

Photo Courtesy: Installation View ‘Ron Mueck’ à la Fondation Cartier pour l’art contemporain. Photo © Marc Domage for the Fondation Cartier

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