BBZR23 è l’ultimo progetto realizzato da David Tremlett in occasione del decimo anno dall’apertura di Zazà Ramen, dell’imprenditore e collezionista Brendan Becht
David Tremlett (Saint Austell, GB, 1945) ha la straordinaria capacità di trasformare e modificare non solo l’estetica degli spazi, ma di riscrivere la storia dei luoghi con cui entra in relazione. Come accade per il territorio delle Langhe e con una serie di wall paintings su cappelle, chiese e edifici, ma anche con altri suoi lavori sia in Italia che all’estero. Le sue opere si inseriscono in una topografia urbana e non urbana, che restituisce una visione unica e riconoscibile.
Geometriche configurazioni, architetture spesso imperfette, meglio se antiche, diventano materiale d’elezione su cui irrompe la pittura. Una pittura totalizzante e generosa nella sua rappresentazione. Un’estetica costituita da forme piane che occupano porzioni di pareti e i pavimenti. Forme in cui il colore è pieno e vibrante, intenso e avvolgente. Gli ambienti si ridefiniscono a partire dalle irregolarità delle partiture interne, e dagli involucri esterni che appaiano con nuove armature integrate nei contesti che, a partire da quelle variazioni subiscono una metamorfosi.
BBZR23 è l’ultimo progetto omaggio a Brendan Becht, amico di lunga data, collezionista e proprietario di Zazà Ramen, ospitato nel suo ristorante in Via Solferino, per festeggiarne i 10 anni dall’apertura. Un intervento, questa volta temporaneo, a differenza di Construct #1, #2 e #3 realizzati per le nicchie al piano inferiore nel 2014. In occasione dell’inaugurazione David Tremlett ci racconta che l’idea è stata pensata prima su carta, con una serie di disegni. Aveva già presentato opere simili come The chapel drawings, per il Collegio Borromeo di Pavia, e una recente produzione in una dimora privata a Venezia, di cui ci mostra le foto, in cui spicca un rosso Tiziano che implode tra spazi pieni e vuoti.
Per BBZR23 l’artista ha lavorato intorno a una griglia costituita da linee verticali e orizzontali e da curve che si intersecano. Un percorso il cui esito è rimasto ignoto fino alla sua conclusione, come ci spiega, che si svuota di colore al centro per lasciarlo solo all’esterno da un lato del muro. Mentre dall’altro lato il bianco del contorno incornicia il colore che si appropria dello spazio, mostrando la natura geometrica della sua composizione.
I wall drawings si collocano nell’ambito del progetto artistico pensato fin dalla fondazione di Zazà Ramen, dall’imprenditore e chef Brendan Becht. Erede della Becht Collection ha da sempre gravitato intorno ai protagonisti dell’arte, tanto da proporre un format che si muove in un territorio ibrido. Pur nella oggettiva evidenza della sua distanza formale con le mostre tradizionali dei white cube, gli appuntamenti d’arte che si svolgono durante l’anno, rappresentano non solo un momento di condivisione e di convivialità, ma delineano un interessante sguardo sulla contemporaneità. Thomas Berra e Matteo De Nando, Goldschimied & Chiari, Jaqueline Peeters, Tetsuro Shimizu, Rafael Y. Herman, sono solo alcuni di coloro che sono passati da qui. Tutto nasce dai dialoghi e dagli incontri davanti a una ciotola di ramen, donduri e zensai. È da qui che hanno origine le opere temporanee, realizzate appositamente per lo spazio.
David Tremlett ha una relazione fisica con l’arte. Esplora gli spazi e gli ambienti come in un viaggio di scoperta. Successivamente arriva la pittura stesa direttamente con le mani sulle pareti, memoria di una relazione con la materia che deriva dai suoi esordi scultorei. Il passaggio dalla scultura al pigmento arriva quasi subito nella sua attività, e l’intento alla modellazione prosegue nel tempo proprio con il colore, che diventa malleabile e si espande alla tridimensionalità dei suoi contenitori diffusi.
Talvolta declinato in tonalità smorzate per sposare l’integrazione con elementi già presenti, altre invece esplode su tavolozze di grandi dimensioni. “Somebody did something on the wall”, cita il testo scritto in occasione della mostra da Irene Sofia Comi, riprendendo il titolo di un‘opera dell’artista del 1991, espressione perfetta che simboleggia il suo lavoro. Gli interventi sono incursioni su architetture che acquisiscono in questo modo, una nuova conformazione. Matrici uniche che riscrivono la natura dei luoghi in cui si insinuano. Segni in grado di tracciare nuove storie contemporanee come quelle che scorrono tra i tavoli e sulle pareti di Zazà.