La chimera di Alice Rohrwacher è una fiaba postmoderna e antichissima

Alice Rohrwacher torna al cinema con La Chimera, un film che racconta una storia d’amore tragica, una fiaba postmoderna e antichissima in cui il passato e il presente si intrecciano in modo sorprendente. Il protagonista è Arthur (Josh O’Connor), un ex archeologo inglese che vive in Toscana negli anni ’80. Arthur è ossessionato dal ricordo di Beniamina, la figlia di una nobile decaduta (Isabella Rossellini) di cui si era innamorato e che è morta in circostanze misteriose.

Arthur vorrebbe riunirsi a lei nell’aldilà, ma nel frattempo si dedica a una pericolosa attività: il saccheggio delle tombe etrusche. Arthur ha un dono particolare: riesce a individuare i luoghi dove sono sepolti preziosi reperti etruschi; è considerato una sorta di mago dai suoi compagni, perché riesce a scovare i luoghi più ricchi di tesori con un ramo biforcuto che usa come pendolo, ma che gli consuma le energie ad ogni ritrovamento. Così, si allea con una banda di vagabondi e disperati, che di notte scende nelle necropoli e rubano statue e oggetti antichi. Poi, li rivendono a un losco intermediario, Spartaco, che li spaccia per eredità di famiglie nobili, e li esporta all’estero a prezzi esorbitanti. 

I suoi compagni di avventura, che sembrano usciti da un film di Fellini, sono personaggi pittoreschi e buffi, che litigano, cantano e ballano. Le loro incursioni notturne portano di solito a ritrovamenti modesti, come vasi dipinti e statuette, che erano stati messi nelle tombe dei defunti come offerte per le loro anime. Questi oggetti hanno un valore limitato per il ricettatore con cui fanno affari. Ma una notte, sulla costa, all’ombra di fabbriche inquinanti, l’intuito di Arthur li conduce a una scoperta eccezionale, un santuario sacro del V secolo che contiene tesori incommensurabili, che però sfuggono al loro controllo prima che possano impadronirsene. 

Rohrwacher ci fa entrare in un mondo fantastico e surreale, in cui il passato e il presente si mescolano e si confondono. Ci fa vedere l’Italia come un tesoro di glorie antiche, ma anche come un paese di fantasmi e di ladri. Ci fa capire che il mondo dell’arte e della cultura è basato su una menzogna: non esistono antichità che non siano state rubate, saccheggiate, sottratte. 

Alice Rohrwacher è una regista unica nel suo genere: la sua trilogia composta da Le meraviglie, Lazzaro felice e La Chimera riflette sul rapporto tra vita e morte, presente e passato. Quest’ultimo è ancora molto presente in Italia, dove le tracce dell’antichità si intrecciano con la realtà contemporanea. Rohrwacher realizza film che richiede un’immersione profonda, in cui i personaggi e le trame si svelano gradualmente. La Chimera è un’opera che ci rammenta il valore delle cose perdute, di chi ne custodisce la fine, e che ci fa capire che il nostro viaggio in questo mondo non si limita alla nostra vita individuale, ma si inserisce in un arco temporale molto più ampio, che abbraccia civiltà intere che sono nate, cresciute e scomparse; ci apre una finestra su altre dimensioni, su altre terre e memorie che ci appartengono e che ci collegano attraverso un fil rouge spazio temporale. 

Arthur indossa per quasi tutto il film un abito di lino color crema, sporco e stropicciato, che lo fa sembrare un archeologo decaduto o un viaggiatore sfortunato, che per sua stessa natura vive in un mondo di confine, dove la realtà e il sogno si mescolano, dove il sacro e il profano si sfiorano, dove la vita e la morte si confondono. Arthur è ossessionato dal ricordo della sua amata e cerca disperatamente di ritrovarla in una dimensione parallela, dove lei è la sua chimera, il suo ideale irraggiungibile. Arthur riuscirà a liberarsi dalla sua illusione e a guardare la realtà con occhi nuovi? Oppure resterà prigioniero della sua chimera, che lo allontana dalla vita vera? 

Rohrwacher non si preoccupa di situare la sua storia in un luogo preciso, ma la trasporta in una dimensione onirica e fiabesca, dove il reale e il fantastico si mescolano. La Chimera è un film che esplora le contraddizioni di un mondo al margine, dove la natura è stata stravolta, la terra saccheggiata, le comunità abbandonate e i morti profanati per un profitto effimero. Ma Rohrwacher non si arrende alla disperazione, e attraverso la sua regia sensibile e la fotografia luminosa di Helene Louvart, ci mostra che la bellezza resiste ancora, anche nelle situazioni più difficili.

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