Buggiani, “il coccodrillo è un animale allo stesso tempo antico e contemporaneo”

Paolo Buggiani (1933) è un artista, scultore e performer pioniere nella street art, noto anche e per le sue installazioni urbane effimere. Formatosi presso l’Istituto d’Arte di Firenze, Buggiani si trasferì a Roma negli anni ’50, dove entrò in contatto con il vivace ambiente artistico della città. Nel 1968 si trasferì a New York, dove divenne una figura chiave nella scena artistica underground degli anni ’70 e ’80, lavorando a stretto contatto con artisti come Richard Hambleton, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat.

Buggiani è noto per le sue performance artistiche che spesso coinvolgono l’uso di fuoco e fumo, creando opere spettacolari e di breve durata che esplorano temi di transitorietà e cambiamento. Tra le sue opere più celebri c’è “La corsa di fuoco”, una serie di performance in cui l’artista correva per le strade di New York con grandi ali di carta in fiamme.

Paolo Buggiani Backstage in 2014 Iron and Fire Art Revolution by Paolo Buggiani

Le sue opere sono state esposte in importanti gallerie e musei in tutto il mondo, tra cui il MoMA di New York e il Centre Pompidou di Parigi. Nonostante il suo successo internazionale, Buggiani è sempre rimasto legato alle sue radici italiane e continua a vivere e lavorare tra New York e l’Italia.

Il 31 maggio ha inaugurato la sua ultima mostra “Rettili Meccanici” alla Galleria Quipu di Roma. Rettili Meccanici parte da quella che, per Buggiani, è in un certo senso una filosofia di vita dagli anni ‘50: “ricercare l’intuizione del tempo”. Questi animali trovano la loro genesi in una New York frenetica, veloce, dove tutto scorre, dove tutto appare alla ricerca di un tutto che in realtà cela al suo interno il niente più totale. Buggiani si sente profondamente estraneo a questo modo di concepire la vita, ha bisogno di ricercare qualcosa di più profondo, l’essenza intima delle cose, la verità dell’esistenza.

Negli anni ‘80 inizia quindi a dare forma alla sua Mitologia Urbana, una rivisitazione di antichi miti nella New York moderna. Da questo binomio tra passato e presente, tra irreale e reale, nascono i Rettili Meccanici. In un primo tempo si mostrano neri, scuri, a simboleggiare la pesantezza, la chiusura di un mondo buio, senza speranza alcuna. Con il passare del tempo, invece, assumono le sembianze di un arcobaleno: qualcosa, nella mente dell’artista, è mutato. Gran parte del cambiamento è dovuto all’incessante viaggiare di Buggiani che ha assorbito e fatto sue abitudini, speranze, storie e racconti dei più disparati popoli. I rettili giungono a Roma, allo Zoo e poi su Lungotevere. Adesso, a distanza di decenni, tornano nella Capitale più colorati e scintillanti che mai.

Abbiamo voluto approfondire questa sua ricerca in questa intervista esclusiva…

Come mai proprio i rettili? 

È stata un’idea che mi è venuta quando sono stato in America. A New York i tassisti sfrecciano come matti. Ho paragonato le auto che corrono a dei coccodrilli. Non mi chiedere bene perché, ho pensato che fosse un animale giusto. Ha in sé qualcosa di antico ma di contemporaneo insieme. Sono un simbolo dell’evoluzione dell’uomo. Io lavoro sempre con i simboli. 

Quelli che vediamo oggi sono multicolor ma i primi che ha fatto non lo erano…

I primi che ho fatto a New York erano neri neri, poi bianchi e neri. Erano giusti per l’atmosfera che vivevo lì. Poi piano piano si sono schiariti e sono diventati color arcobaleno.

Simboleggiano la speranza dell’umanità?

Mah, può essere. Penso di sì. I coccodrilli hanno qualcosa che li lega al passato dell’uomo. Facendoli arcobaleno ho pensato alla bellezza della vita. Il nero, come è sfumato dai miei rettili, sfuma anche nell’esistenza. Dura un po’, poi va via.

Come mai la scelta di questo materiale?

Non c’è una ragione precisa. È una cosa che sta sparendo, le tipografie ci lavorano poco. Queste sono delle lastre di stampa che man mano che sono grandi diventano più pesanti ma sono molto duttili. Quelle più piccole sono state perfette per fare i coccodrilli più piccoli.

Lei è uno dei primi ad essersi dedicato alla Street Art…

Sì, sono stato uno dei primi sei o sette artisti a farlo. Solo che adesso, qui a Roma, gli artisti di oggi fanno pubblicità a loro stessi. Non la trovo una cosa giusta. Fare Street Art non significa farsi belli, ma dare un messaggio all’umanità.

Che ricordi ha degli albori della Street Art?

Io sono o sono stato amico di Jenny Walker, di Barbara Kruger, di Kenny Random e di Keith Haring. Nessuno di loro ha mai pubblicizzato sé stesso. Tutti davano o almeno cercavano di dare un contributo al prossimo. Jenny Walker una volta ha messo sui bidoni della spazzatura un messaggio con scritto “La situazione adesso è talmente drammatica che il suicidio è quasi obsoleto”. Beh, questo è un messaggio fortissimo. Anche io ho sempre dipinto in posti dove tutti potessero vedere quello che facevo e potessero capire il messaggio che volevo dare. Questo è fare Street Art.

Quando ha capito che avrebbe fatto l’artista?

Ho capito che ci sono nato, artista. Ero il pittore della classe alle elementari. Poi quando ho compiuto diciotto anni mio padre mi ha detto “Tu continua i tuoi studi, vai all’università, poi quando avrai finito potrai fare quello che ti pare”. Allora io ho preso uno zaino, ci ho buttato dentro il necessario e me ne sono andato di casa. Subito. 

Da Roma però si è spostato presto…

Sono andato a Parigi, poi nel ‘62 a New York. Avevo fatto una mostra a Parigi, Bianchini è venuto a vederla e mi ha detto “Si parte, si va a New York”. Lui aveva una galleria là e mi ha promesso di farmi fare una mostra. Allora ho preso la Queen Mary e ho attraversato l’oceano.  Da lì è partito tutto. 

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