Era notizia di qualche anno fa che uno dei primi gorilla a cui fosse stato insegnato il linguaggio dei segni, poco prima di morire, avesse lasciato un messaggio all’umanità (esiste un video che gira su youtube con questa sorprendente testimonianza). “Io sono gorilla, io sono i fiori, gli animali. Io sono natura. Koko ama uomo. Koko ama Terra. Ma uomo stupido. Koko dispiace, Koko grida. Tempo fretta. Aiutare la Terra! Presto! Proteggere la Terra. Natura ti osserva. Grazie”. Trascritto in parole, questo era il messaggio che Koko, seguita dalla sua insegnante Panny Patterson da quando aveva un anno, aveva affidato a un video realizzato dall’associazione ambientalista francese Noe Conservation.
Viene in mente questa sorprendente quanto inquietante testimonianza nel vedere la mostra di Giuliana Cuneaz al Museo di Scienze Naturali di Brescia intitolata “Il Processo” (aperta per gli ultimi giorni questa settimana), che indaga i rapporti tra l’uomo e la specie animale attraverso l’arte e la tecnologia. Concepita nell’ambito della diciottesima edizione del progetto Meccaniche della Meraviglia, con la regia di Albano Morandi, l’installazione site-specific della Cuneaz si distingue come sempre non solo per l’uso sorprendente ed estremamente caratterizzato, dal punto di vista estetico e concettuale, delle tecnologie, ma anche per la capacità di impegnare lo spettatore sulle questioni fondamentali dell’evoluzione e del rapporto tra uomo, cosmo e natura, attraverso rovesciamenti e spostamenti di prospettive, uscita dalle nostre tradizionali comfort zone riguardanti la nostra percezione del mondo, riattivazione di riti e credenze arcaiche, come quelle degli spiriti-guida animali, ma sempre attraverso il mezzo tecnologico. Cuneaz, tra le pioniere della sperimentazione tecnologica e digitale nell’arte, torna così nuovamente, come aveva già fatto con installazioni precedenti come “I cercatori di luce”, a porsi come una sorta di artista-sciamana, in grado di aprire, attraverso i mezzi tecnologici, quelle “porte della percezione” che ci aiutano a comprendere, superando il punto di vista antropocentrico, i meccanismi della vita, del mondo vegetale e del mondo animale nel loro rapporto con gli uomini e con il cosmo. L’intero processo di ricambio di sguardi tra uomo (lo spettatore) e animali (tassidermizzati e “congelati” nell’installazione video) si trasforma così in un ribaltamento percettivo che è anche ribaltamento di significati, di gerarchie, di sensibilità: chi solitamente osserva, l’uomo, diventa infatti l’osservato. Un “lavoro politico”, l’ha definito l’artista, “dove gli animali rappresentano gli oppressi che, con sguardo indagatore, ci chiedono di riflettere sul nostro agire e sulla nostra arroganza“.
L’installazione, infatti, propone una visione che riproduce il modo in cui gli animali vedono il mondo. Gatti e cani, per esempio, vedono la realtà in modo dicromatico, mentre gli uccelli percepiscono l’ultravioletto e le api possiedono una visione composta. “Siamo giudicati dalla Natura per ciò che le abbiamo fatto e, di conseguenza, abbiamo fatto a noi stessi”, scrivono le curatrici della mostra Ilaria Bignotti e Camilla Remondina, riprendendo le parole di Jacques Derrida “l’animale ci guarda e siamo nudi davanti a lui”. Nudi di fronte al mondo animale e al mondo vegetale, ma, paradossalmente proprio grazie alle tecnologie, di nuovo capaci di uno sguardo “altro”, che ci spodesta per un attimo dal nostro posto di dominatori per vedere come l’animale, e con lui tutta la natura, ci guardano, ci osservano, ci giudicano.
La mostra si arricchisce con una seconda parte, composta da dieci opere realizzate con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale, che rappresentano i nostri spiriti guida, entità simboliche che fungono da numi tutelari dell’umanità. Ogni opera rivela il suo spirito guida animale attraverso la Realtà Aumentata: inquadrando il QR code con uno smartphone, un’animazione svela nuovi significati. L’animale torna così, attraverso la tecnologia, a diventare protettore e messaggero di istanze ancestrali, spirituali, cosmiche, quasi un risveglio di quel “mondo invisibile”, di quel coacervo di forze latenti, di energie, di linguaggi segreti che da sempre uniscono gli esseri umani col mondo vegetale e animale, che proprio l’avvento della società tecnologica ha spento alla nostra percezione e alla nostra coscienza. Quello di Giuliana Cuneaz prende così l’aspetto di un esperimento insieme estremamente arcaico e ipercontemporaneo, mescolando nuove tecnologie e riferimenti antichissimi, che affondano nel mito e nei saperi più antichi.
“Ciò che mi consente di creare l’invisibile è sicuramente l’utilizzo della computer grafica e del 3D che utilizzo dai primi anni Duemila per restituire le meraviglie che percepisco dalle mie esplorazioni all’interno della materia”, aveva spiegato l’artista in una intervista qualche tempo fa. “L’aspetto interessante è che puoi veramente costruire i tuoi mondi nei quali aggirarti senza dover utilizzare oggetti posticci o set ingombranti. Non hai bisogno di scendere a patti con qualcosa di finto ma di realizzare un concreto universo sebbene virtuale. Non devi ricreare ma finalmente creare. Tutto ciò accentua nell’opera d’arte, quel senso di magia e di incantamento che è già propria del mondo quantistico in cui pullulano miliardi e miliardi di particelle che “spumeggiando all’unisono”, come direbbe Richard Feynman, generando più meraviglia di una fiaba”. Anche il dialogo muto con gli animali e con i loro spiriti guida, vissuto attraverso il media tecnologico, sembra riallacciarci a questo mondo invisibile, alle energie cosmiche che guidano il mondo e la natura, e, con questi, al mondo della magia e delle fiabe.