Le mille e una piazza, un festival teatrale per stabilire presidi culturali nelle periferie di Milano. Intervista al direttore artistico

Atelier Teatro presenta “Racconti d’autunno”, la sessione autunnale del festival di teatro popolare “Le mille e una piazza 2024”, sostenuta dal Comune di Milano all’interno del palinsesto Milano è Viva nei quartieri 2024 e realizzata con il contributo di Fondazione Cariplo nell’ambito del bando Sottocasa 2023.

32 spettacoli, quattro concerti e tre eventi speciali, tutti gratuiti e nei luoghi di ritrovo e aggregazione dei nove municipi di Milano, compongono il programma della V edizione del Festival “Le Mille e Una Piazza. Racconti d’Autunno”. Una manifestazione sui generis, progettata da Atelier Teatro e realizzata grazie alla collaborazione con le associazioni di territorio.

Lo scopo di “Le Mille e Una Piazza” è stabilire presidi culturali nelle periferie, in armonia con la riqualificazione territoriale e la lotta al degrado urbano, diffondendo la cultura teatrale a un pubblico vasto, di tutti i gradi sociali e di tutte le età. Per questo gli spettacoli in programma comprendono le grandi storie della letteratura, ma anche della Storia e del Teatro moderni.

Noi abbiamo intervistato il Direttore Artistico di Atelier Teatro e organizzatore del festival, Ruggero Caverni.

Direttore, come è nata l’idea di un Festival così particolare come “Le Mille e Una Piazza”?

L’idea del festival è nata nel modo più semplice. Da qualche anno stavamo lavorando a riscritture di classici del teatro antico con l’idea di rivisitarli con alcuni elementi della commedia dell’arte, a partire dalle sue maschere e dall’immagine di un teatro fisico e popolare. Ci era molto chiaro che intendevamo rivolgerci a tutte le classi sociali e a tutte le età. In questo contesto abbiamo provato a proporre una riscrittura delle “Metamorfosi” di Apuleio, “L’Asino d’oro”, appena terminato con la complicità di Carlo Boso.

Era un tardo pomeriggio di Carnevale, di fronte a un mercato coperto in un quartiere popolare. I preparativi per lo spettacolo destavano curiosità, alcuni ragazzi giocavano a pallone molto vicini a noi, quasi a mettere in chiaro che noi del teatro eravamo tollerati ma non necessariamente benvenuti. Qualche anziana signora si fermava a chiedere la ragione del trambusto di fronte ai negozi… Lo spettacolo è iniziato in sordina con una trentina di persone tra qualche amico, alcuni bambini in costume di carnevale coi genitori, i ragazzi del pallone, qualche anziano sceso da casa con la sedia della cucina. Piano piano però, mentre calava la sera e le luci diventavano indispensabili, la piazza ha cominciato a riempirsi.

I bambini partecipavano alle interazioni e anche i più grandi abbassavano la guardia. Gli applausi cominciavano ad arrivare alla fine delle scene, insomma il rito antico del teatro prendeva vita e come ogni volta era magico. Quella sera è successo qualcosa dentro di noi; abbiamo deciso che avremmo fatto teatro in piazza più spesso possibile e che erano quei luoghi e quelle persone a cui intendevamo rivolgerci.

Il Festival coinvolge nove municipi di Milano, tra zone centrali e periferiche. Che ruolo hanno i diversi quartieri nella cultura di una città metropolitana come Milano?

A questa domanda si può rispondere solo con l’esperienza personale. Io, nato a Milano negli anni ‘80, ho fatto in tempo a conoscere anziani che sapevano identificare il quartiere di provenienza di un milanese solo dalle diverse sfumature del dialetto. Nei quartieri periferici storici c’era una forte identità di quartiere che era entrata in crisi con il boom economico. In un certo senso mi pare che il processo abbia raggiunto il culmine negli anni ‘90, con una città divisa tra un centro che cominciava a diventare esclusivo e le periferie che si appiattivano sull’anonimato del degrado. Negli ultimi trent’anni abbiamo invece assistito a processi di riscoperta dei quartieri meno centrali, a volte fortemente sostenuta da interessi economici, a volte a partire da associazioni di territorio, di genitori delle scuole, di commercianti, da associazioni culturali o di promozione sociale.

Queste associazioni generalmente si basano sul volontariato e sono quasi completamente prive di fondi con il solo interesse di rendere più vivibile il loro quartiere e hanno un valore inestimabile per la qualità della vita dei quartieri. Questo tipo di associazionismo che si è rivelato il miglior alleato della nostra proposta culturale nel quartiere. I cittadini che hanno cura dei quartieri li valorizzano e fanno l’interesse comune. Bisogna stare bene attenti alle politiche che tendono a dividere la città in un centro dorato, luccicante e inarrivabile, e periferie senza servizi e senza speranze. Una città grande e complessa come Milano dovrebbe investire sulle identità e sui servizi locali, di quartiere.

La periferia è un valore aggiunto alla vita cittadina o rimane solo un luogo da risanare?

In una città come Milano, per la stragrande maggioranza dei cittadini le periferie sono la realtà mentre il centro è il sogno. Se la città fosse un ristorante, il centro sarebbe la vetrina mentre le periferie la cucina e la toilette. La vetrina è certo importante per attirare i clienti ma la qualità complessiva dell’esperienza viene da quello che succede dietro le quinte. Di conseguenza direi senz’altro che il valore e il potenziale della città abitano nelle periferie e che sono le periferie i luoghi su cui è più interessante e gratificante investire. Certo ci sono criticità, ma la politica culturale e sociale di una città dovrebbe rivolgersi alla maggioranza, non a un’élite. In tutti i quartieri ci sono cittadini con una comprensione profonda delle risorse e delle criticità della propria zona; la politica dovrebbe sviluppare degli strumenti adatti ad attingere a questa conoscenza per investire in maniera intelligente, mirata e capillare.

Anche la musica gioca un ruolo fondamentale in “Mille e Una Piazza”: il filo che unisce i quattro concerti di quest’anno sembra essere il sentimento e la coscienza popolare,un modo di essere innato che rende tutti i popoli, che siano del Mediterraneo o dell’Africa Occidentale, per esempio, in qualche modo affini. Pensa che questa affinità potrebbe essere il punto di partenza per l’integrazione di chi, straniero, vive tra noi?

Da qualche anno abbiamo cominciato ad affiancare al teatro la musica proponendo gruppi che hanno una sensibilità e una visione molto vicine a quella del festival. La musica unisce i popoli senza snaturarne le specificità. Le musiche del mediterraneo hanno continuato a influenzarsi vicendevolmente durante secoli in cui i popoli erano in conflitto tra loro. L’universalità della musica è fonte d’ispirazione per il teatro che dovrebbe puntare alla stessa capacità di fascinazione. Speriamo davvero che questi momenti di festa contribuiscano all’integrazione e alla fratellanza tra le diverse anime della nostra città.

Questo autunno è previsto un seminario internazionale di recitazione condotto dal Maestro Carlo Boso. Che valore hanno le iniziative di formazione attoriale all’interno del Festival?

La nostra compagnia segue percorsi di formazione permanente con diversi insegnanti, sempre aperti ad altri attori in formazione, professionisti e non. Il nostro obiettivo è non abbandonarci a una modalità di lavoro definitiva e continuare a raccogliere stimoli, sia dagli insegnanti che dai compagni di viaggio che partecipano a volte solo per qualche giorno e a volte invece per diversi anni.

La formazione è un momento cruciale, perché apre la compagnia e scompiglia le abitudini di lavoro, ci fa conoscere altre realtà stimolando la creatività. Quasi sempre le idee per le nuove produzioni della compagnia vengono durante questi periodi di formazione. Questo non riguarda solo Atelier Teatro, ma anche altre compagnie che hanno partecipato a questi seminari negli anni passati  e che hanno sviluppato il materiale per le loro produzioni.

Infine, quali sono i programmi di Mille e Una Piazza per il 2025?

Il 2025 vedrà la consolidata organizzazione in tre sessioni: Carneval, Primavera e Autunno, dedicati rispettivamente a Commedia dell’arte, Classici greci e latini e Classici moderni. In ottobre il festival raggiungerà i 180 spettacoli (in cinque anni, compresi i primi due, in cui ci siamo destreggiati tra un lockdown e l’altro), ed è un bel risultato. Siamo, però, ancora lontani dalle ambiziose “Mille e una piazza” che danno il nome al festival.

L’obiettivo è continuare a portare il teatro popolare nei quartieri consolidando e ampliando sempre più la rete di associazioni che sostengono il festival. Supporteremo sempre  il dialogo tra centro e periferie e favoriremo il ”turismo interno”, ovvero gli spostamenti dei cittadini da un quartiere periferico all’altro. Se avremo i fondi, aumenteremo il numero di concerti e di ospitalità per rendere ancora più ricca l’offerta culturale della nostra città.

Grazie, Direttore.

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