Il sipario è calato per l’ultima volta su Nicoletta Ramorino, una delle colonne portanti del teatro italiano, scomparsa il 10 marzo 2025 a 93 anni. Una carriera lunga, intensa, vissuta con passione e rigore, che ha attraversato decenni di palcoscenico, insegnamento e dedizione assoluta all’arte drammatica. Attrice, insegnante, punto di riferimento per generazioni di attori, Ramorino non era un semplice nome sul cartellone: era una di quelle presenze che danno al teatro la sua anima.
Nata e cresciuta a Milano, ha calcato le scene fin dalla giovane età, entrando al Piccolo Teatro di Giorgio Strehler quando ancora il teatro era fatto di sudore, disciplina e arte vera, senza fronzoli. Con la sua recitazione misurata ma intensa, ha saputo lavorare con alcuni dei più grandi nomi della scena italiana, da Valentina Cortese a Piero Mazzarella, passando per Tino Carraro. La sua non è mai stata la carriera della prima donna capricciosa o della diva in cerca di riflettori: Ramorino era il teatro vissuto con dedizione assoluta, con la consapevolezza che il mestiere dell’attore non è quello di pavoneggiarsi sul palco, ma di servire il testo e la storia.
Ma il suo lascito più grande non è solo nei ruoli interpretati o nei palcoscenici calcati, bensì nell’insegnamento. Nel 1981 ha fondato il Centro Teatro Attivo, scuola che ha formato attori, doppiatori e professionisti della voce, contribuendo a diffondere un metodo serio e strutturato per chi voleva intraprendere la carriera teatrale. Niente illusioni di facile successo, niente fuffa da talent show: solo lavoro, tecnica e passione vera. In un’epoca in cui basta un video virale per essere definiti “attori”, la sua scuola è rimasta un baluardo della professionalità.
Era una di quelle figure che il teatro lo respiravano, lo sudavano, lo vivevano. Mai sopra le righe, mai alla ricerca dell’effetto facile, mai disposta a svendersi per un applauso. Oggi il mondo dello spettacolo è popolato da celebrità di plastica, da chi rincorre le tendenze più che il talento. Ramorino era l’opposto di tutto questo: una presenza solida, granitica, una di quelle attrici che il pubblico riconosceva per la voce, per lo sguardo, per quella naturalezza che solo i grandi possono permettersi.
Chi ha avuto la fortuna di lavorare con lei la ricorda come una maestra esigente, severa, ma giusta. Non regalava complimenti a caso, perché sapeva che l’arte drammatica non è questione di lusinghe, ma di dedizione. Eppure, sapeva anche riconoscere il talento quando lo vedeva e non esitava a spronare chi aveva la stoffa per emergere. Il teatro non era solo una professione per lei, ma una missione.
Con la sua morte, Milano perde un pezzo della sua storia teatrale, quel teatro che non si piegava alle mode, che non cercava lo scandalo per far parlare di sé, che non aveva bisogno di effetti speciali per emozionare. Ma la sua eredità resta, nei palcoscenici che ha calcato, nelle voci degli attori che ha formato, nelle scene che ha reso indimenticabili con la sua presenza. Il sipario cala, ma il suo nome resterà inciso tra quelli che hanno fatto grande il teatro italiano.