Il racconto intimo di “Tuttomondo”, ultima opera d’arte di uno dei protagonisti più celebri del panorama della street art.
Tuttomondo di Keith Haring è l’ultima opera pubblica da lui realizzata nel 1989 sulla parete esterna della canonica della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa.
Circa 180 metri quadrati di superficie che l’artista statunitense ha riempito con i suoi iconici omini colorati poco prima della sua morte.
La vicenda che ha portato alla creazione del murale di Keith Haring coincide con un periodo molto complicato: poco più che trentenne, scopre di essere malato di Aids, e in quello stesso periodo le grandi star dell’arte newyorkese Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat muoiono.
Da quel momento si trova ufficialmente al centro della scena pop e la pressione del mercato si concentra tutta su di lui, conteso da galleristi del calibro di Tony Shafrazi e Leo Castelli. L’artista sente il bisogno di mettere un freno a tutte queste tensioni, e proprio allora, incontra la sua via di fuga inattesa.
Tra le strade di New York prende vita un curioso corteo organizzato dagli Hare Krishna, capace di attirare l’attenzione di Haring e di un giovane studente pisano, Piergiorgio Castellani, in viaggio con il padre per esplorare il mondo. Ad un tratto, Castellani si accorge della presenza dell’inconfondibile Haring e, data la sua forte passione per l’arte, non può fare a meno di presentarsi e di parlare con lui.
“Lo ‘aggredii’ subito, lo riempii di domande e lui mi ascoltava, avrebbe potuto salutarmi rapidamente, invece era a suo modo affascinato nel vedere un ragazzino italiano così preso” – racconta Piergiorgio Castellani, “Allora lo provocai con tono scherzoso dicendogli che in Italia mancava una sua opera permanente, aveva lavorato a Milano per Fiorucci e poi a Roma, ma non c’era un lavoro davvero per tutti e di tutti e lui mi rispose: ‘domani vieni nel mio studio e ne parliamo’”.
Così, tra una chiacchiera e l’altra, per tutto il 1988 i due trascorrono del tempo insieme negli Stati Uniti, fino a quando Castellani non convince ufficialmente l’artista a creare una grande opera in Italia.
Haring non può fare altro che accettare: parte per Pisa, pronto a portare un tocco della sua arte oltreoceano. Con sé ci sono i suoi inseparabili taccuini dove annota idee, progetti, stati d’animo.
Giunto finalmente nella città toscana, Haring percepisce fin da subito il calore del posto, l’entusiasmo e la curiosità della gente. Ha in mente solo qualche idea per il lavoro che andrà a realizzare per il Comune di Pisa sulla parete bianca della chiesa di Sant’Antonio Abate.
Prima di donarsi completamente al progetto, Haring trascorre diversi giorni e diverse sere assaporando l’estate italiana, vivendo sulla propria pelle le dinamiche della comunità pisana.
In men che non si dica arriva il fatidico momento: l’artista, dopo aver disegnato in nero i contorni di 30 figure, completa l’opera in quattro giorni, colorandola con l’aiuto di alcuni studenti e artigiani dell’azienda di vernici Caparol Center di Vicopisano, che aveva donato la vernice necessaria per realizzare l’impresa.
Portato a termine l’ambizioso progetto, si poneva l’interrogativo del nome. Raramente Haring attribuiva un titolo alle sue opere, perché spesso si trattava di graffiti metropolitani destinati a scomparire col tempo. Ma questa volta tutto era diverso:
«Titoli? Una domanda difficile, perché non do mai un titolo a niente… Nemmeno questo dipinto ne ha uno, ma se dovesse averlo sarebbe qualcosa come… Tuttomondo!».
Simbolo di pace, il murales di Keith Haring racchiude messaggi di tipo socio-ecologico, messi in scena da gruppi di personaggi con un preciso ruolo all’interno della composizione.
“In questo murale ho disegnato tutto quello che riguarda l’umanità. Questo murale è fatto da simboli delle differenti attività umane, è una sintesi delle problematiche della vita di oggi. E non mi sono dedicato solo alla vita degli uomini ma anche alla vita degli animali, ecco perché vedete delfini, scimmie e altro. E’ un affresco della vita in generale”.
L’artista con il suo lavoro ha dato vita a una piccola grande rivoluzione. Ogni singolo passante tutt’oggi alza lo sguardo e rimane incantato da quel dipinto dinamico, pieno di vita.
Per non lasciare che tutte le emozioni provate durante quest’impresa svanissero, appuntò ogni cosa nei suoi diari:
«Il tempo era bellissimo e il cibo ancora meglio. Ho impiegato quattro giorni per dipingere. Sto in un albergo direttamente di fronte al muro, così lo vedo prima di addormentarmi e quando mi sveglio. C’è sempre qualcuno che lo guarda (l’altra notte anche alle 4 del mattino). È davvero interessante vedere le reazioni della gente.»
Nel 1990, un anno dopo la creazione di Tuttomondo, Haring muore di Aids. Questa grande impresa si può quindi definire come il suo testamento, il lavoro ultimo che l’artista consegna alla città di Pisa e al mondo intero, scrigno dei suoi più profondi tesori interiori, del suo modo di vedere le cose, convinto che la sua arte potrà vivere di vita propria negli animi di chi la osserva.
Non si trattava solo di una convinzione: il 16 febbraio del 2010, a 20 anni esatti dalla scomparsa di Keith Haring, la città di Pisa ha reso omaggio all’artista tramite un evento celebrativo che ha avuto luogo proprio ai piedi del murales. Questo avvenimento ha confermato il fondamentale ruolo che l’artista ha avuto non solo nel mondo dell’arte, ma anche nel mondo intero.
Cover Photo Credits: Opera “Tuttomondo”